I nostri lettori sono purtroppo abituati alle sconfortanti notizie che giungono dalla Diocesi di Bergamo, ma con il primo caldo estivo la situazione pare degenerata per giungere ad una vera e propria apostasia.
Nella tarda mattinata di lunedì 27 luglio è stato recapitato per posta elettronica a tutti i sacerdoti della Diocesi (ed in particolare ai parroci «dove si trovano centri culturali islamici») il comunicato, su carta intestata [vedi foto originale sotto], a firma di don (in realtà dal 2005 «mons.», ma è nota la refrattarietà ai titoli tra i prelati orobici) Patrizio Rota Scalabrini [nella foto a fianco, in borghese in camicia Brooks Brothers], direttore dell’Ufficio per il dialogo interreligioso, il cui contenuto ha fatto sobbalzare ben più di un destinatario, ponendo il serio dubbio che si trattasse di uno scherzo o di un grave colpo di sole accusato dai mittenti.
Appurato da fonti autorevoli che, purtroppo, la missiva è autentica e, ancor più purtroppo, nessuna insolazione risulta aver colpito gli addetti all’Ufficio per il dialogo interreligioso, la rendiamo nota ai nostri lettori.
La lettera si apre con una lunga introduzione sul significato ed importanza dell’imminente (venerdì 31 luglio) «Festa del Sacrificio» per i musulmani, precisando che tale festa «avviene laddove si trova ogni musulmano» e che «è la più sentita nel mondo musulmano: così anche in paesi di “diaspora” è occasione per rinsaldare i legami familiari e comunitari».
Già accennare all’Italia come «paese di diaspora» pone all’attento lettore ben più di qualche perplessità e preoccupazione, ma è dopo che lo sgomento prede forma, laddove mons. (ci voglia egli perdonare se ricordiamo che è Cappellano di Sua Santità) Patrizio Rota Scalabrini specifica che «in tale festa si ricorda Abramo che rigetta il demonio e sacrifica a Dio un montone al posto del figlio Ismaele»: falso! Il racconto biblico (come dovrebbe ben sapere Monsignore, che è anche insegnante residente di Scienze bibliche presso il Seminario vescovile «Giovanni XXIII», nonché delegato per l’Apostolato biblico dell’Ufficio catechistico diocesano) indica che Dio chiese ad Abramo di sacrificare il figlio Isacco, patriarca di Israele, e non Ismaele, considerato progenitore del popolo arabo, come invece i musulmani pretendono secondo la riscrittura che Maometto ha fatto del racconto «pro domo sua» (per tale motivo, la festa del sacrificio è stata provocatoriamente creata in insanabile contrasto ed opposizione con la fede cristiana).
Stravolgere un passaggio fondamentale nella storia della salvezza cristiana per compiacere l’interlocutore pagano lascia sbalorditi e la gravità è acuita dal fatto che l’autore sia un prelato ben consapevole (almeno stando ai titoli) di quanto scrive e delle implicazioni teologiche delle sue affermazioni.
Dopo questa claudicante introduzione, la lettera prosegue in un crescendo apostatico.
Preoccupandosi di ricordare che, a causa della pandemia, la comunità islamica di Bergamo ha subito più di cinquanta lutti e ha impedito ai suoi membri di festeggiare nei paesi d’origine compiendo il pellegrinaggio rituale alla Mecca (se questa stessa zelante preoccupazione fosse stata spesa per le decine di migliaia di Cattolici bergamaschi alle quali è stato impedito di celebrare santamente la Pasqua!), «raccomanda dunque di offrire sostegno ai fratelli e alle sorelle musulmani nel trovare le modalità migliori per poter celebrare questa festività con la propria comunità di fede, nonché nel ricercare e mettere in atto quei gesti di prossimità e benevolenza utili a sentirsi tutti parte di una comunità ampia che condivide lo spirito di fratellanza umana»: non c’è da stupirsi in una Diocesi che, da anni, organizza «Molte fedi sotto lo stesso cielo», festival che, in nome me di un malinteso ecumenismo, inneggia all’omologazione religiosa ed all’indifferentismo spirituale!
Ovviamente – chiarisce Monsignore – «lo spirito di fratellanza umana a cui Papa Francesco si appella»: non ci si premura più di trovare e citare circostanziatamente un fondamento nel Magistero pontificio (se mai ci sia…), basta il marchio di qualità «Papa Francesco» e la neochiesa ne esce soddisfatta.
Ma per essere certo che il «messaggio di auguri» giunga correttamente ai fratelli musulmani, mons. Patrizio Rota Scalabrini si mette d’impegno e verga la preghiera da recitarsi («mi permetto di suggerire») da parte della comunità cristiana: «Preghiamo per i credenti musulmani»… e per la loro conversione all’unico vero Dio, potrebbe pensare l’ingenuo lettore, ed invece no! «Chiediamo a Dio
onnipotente e misericordioso» (i due attributi più ricorrenti nel Corano: è lecito chiedere a quale «Dio» si riferisca Monsignore?) «che possano camminare alla Sua presenza in sincerità di cuore e nella ricerca del dialogo con i credenti delle altre tradizioni religiose»… ma sì, ebraica, buddista o cristiana, in fondo sono tutte «tradizioni religiose»!
Noi, invece, ci permettiamo di pregare – e di pregare veramente tanto – affinché le apostasie contenute in questa lettera siano cestinate dai destinatari, e le nostre autorevoli fonti ci confortano in tal senso: tanti saranno i coraggiosi parroci che non daranno seguito a queste indicazioni (ahimè, non frutto di passeggere, per quanto gravi, insolazioni estive) e rimarranno fedeli – essi ed il gregge loro affidato – all’unico vero Dio (Padre e Figlio e Spirito Santo… ché, di questi tempi, è bene precisare).
Una coraggiosa e strenua resistenza – del clero e del popolo laico – che a Bergamo non è certo una novità, ma che oggi assume forme ben più tragiche e decisive.
L.V.
P.S.: un ultimo fuggevole appunto che spero non contrarii Monsignore, il quale chiosa associando la festa islamica ed il pellegrinaggio rituale alla Mecca con il profeta Abramo, il quale «ci insegna e ci chiede di sentirci sempre pellegrini, in cammino in una terra che non è nostra ma che abbiamo l’onere e l’onore di amministrare ed attraversare insieme». Ecco – in nome della da lui auspicata « opportunità di incontro generativa, che rilancia la possibilità di creare relazioni amicali e fraterne» – con filiale devozione, invito Monsignore a sostenere l’amore verso la terra e tutte le creature che in essa vivono, chiedendo ai «fratelli e sorelle musulmani» di non procedere, durante la festa del sacrificio, al rituale sgozzamento di pecore, capre, buoi e cammelli, che a centinaia di migliaia vengono ogni anno brutalmente uccisi con questo metodo in ossequio alla tradizione coranica.