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lunedì 4 aprile 2016

Perché non si può ricevere l'Eucarestia in stato di peccato mortale

di don Alfredo Morselli


* Articolo pubblicato sulla rivista «Il Timone», dicembre 2015. Ripubblicato qui per cortesia dell'Editore. Tutti i diritti riservati.

1 L’insegnamento costante della Chiesa

La Chiesa ha sempre proposto a credere che non si può ricevere l’Eucarestia in stato di peccato mortale; se dobbiamo riportare qualche testo magisteriale in proposito, abbiamo solo l'imbarazzo della scelta:
"Chi si comunicasse in peccato mortale, riceverebbe Gesù Cristo, ma non la sua grazia, anzi commetterebbe sacrilegio e si farebbe meritevole della sentenza di dannazione" (San Pio X, Catechismo maggiore, n. 632).
“…vige e vigerà sempre nella Chiesa la norma inculcata da san. Paolo e dallo stesso Concilio di Trento, per cui alla degna recezione dell’Eucaristia si deve premettere la confessione dei peccati, quando uno è conscio di peccato mortale" (San Giovanni Paolo II, Discorso ai membri della penitenzieria, 30 gennaio 1981).
“Chi è consapevole di aver commesso un peccato grave, deve ricevere il sacramento della Riconciliazione prima di accedere alla Comunione" (Catechismo della Chiesa Cattolica, §1385).
"Desidero quindi ribadire che vige e vigerà sempre nella Chiesa la norma con cui il Concilio di Trento ha concretizzato la severa ammonizione dell'apostolo Paolo affermando che, al fine di una degna ricezione dell'Eucaristia, «si deve premettere la confessione dei peccati, quando uno è conscio di peccato mortale»" (San Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, 17-4-2003 § 36).
2. Non è una imposizione arbitraria

Questa norma non deriva dal volere arbitrario di chi detiene l'autorità nella Chiesa, ma ha la sua ragion d'essere nella essenza stessa dell'Eucaristia che significa, produce e presuppone la perfetta unione dell'uomo con Gesù Cristo mediante la fede e la carità. Ora chi in stato di peccato mortale ha solo una
fede informe (conosce bene chi è Gesù Cristo, ma non lo ama abbastanza); chi ricevesse l'Eucarestia in questo stato, si ritroverebbe ad essere una "menzogna vivente", imprigionando Gesù fisicamente nel suo corpo e nel contempo rigettandolo con il peccato. Per questo San Basilio paragona la Comunione sacrilega alla viltà di un servo, che sfrutta ipocritamente la bontà del suo sovrano mangiando alla sua mensa, pur nutrendo ostilità nei suoi confronti (2º Discorso sul Battesimo, cap. 3). 

3. Anche la S. Scrittura parla chiaro

S. Paolo afferma chiaramente l'estrema gravità della Comunione sacrilega, dicendo che chi riceve indegnamente l'Eucarestia è "reo del Corpo e Sangue del Signore" (1 Cor 11, 27).
La parola greca che noi traduciamo con "reo" (énochos) è molto forte: nell'antico testamento, in  alcuni casi, è associata a delitti gravi, meritevoli della pena capitale e corrisponde all'ebraico "di morte deve morire". La somma gravità del gesto consiste nel rendersi direttamente colpevoli contro "il Corpo e Sangue del Signore"; secondo S. Giovanni Crisostomo è come se venisse colpito nuovamente il Corpo e versato nuovamente il Sangue di Gesù: "Con questo peccato - dice il santo - è calpestato il Corpo del Signore"
Se tutti i peccatori "crocifiggono di nuovo il Figlio di Dio e lo espongono all'infamia" (Eb 6,6), chi riceve indegnamente l'Ostia santa rinnova formalmente (non solo come causa remota, come gli altri peccati) la crocifissione di Gesù. Per questo San Cipriano dice che con la Comunione senza le disposizioni dovute "viene inferta violenza al corpo del Signore, e con la bocca e con le mani si delinque contro di Lui" (Discorso sui lapsi).
Si capisce bene come Giuda abbia consegnato ai Giudei Gesù immediatamente dopo essersi comunicato nell'ultima cena, quando "il satana entrò in lui" (Gv 13,27): l'esecuzione del tradimento, il primo oltraggio tra i supplizi della Passione, è il primo frutto diabolico - perfettamente conseguente - della prima Comunione sacrilega della storia.

4. L'abito nuziale

Gesù stesso ci mette in guardia dalla Comunione in peccato mortale, quando, raccontandoci la parabola degli invitati al banchetto di nozze (Mt 22, 1-14), ci narra della triste fine di chi era entrato nella sala senza l'abito nuziale.
C'erano dunque un re (Dio Padre) e uno sposo figlio del re (il Figlio di Dio incarnato, Gesù Cristo); la sposa è la Chiesa, a cui sono chiamati tutti gli uomini, caldamente e ripetutamente invitati dagli Apostoli e dai loro successori etc. (i servi).
Le nozze incominciano con l'Incarnazione e si consumano nello stato di gloria. In attesa della gloria, bisogna indossare "l'abito nuziale", ovvero la fede informata dalla carità, dalla quale procedono le buone opere, che sono come "il vestito dell'uomo nuovo" (S. Gerolamo).
Ora, siccome Eucarestia è una reale anticipazione dello stato glorioso ("pignus futurae gloriae", pegno della gloria futura), come pure ė l'inizio della consumazione delle nozze, è necessario che colui che accede al banchetto nuziale eucaristico sia rivestito di carità, e non pretenda di presentarsi allo sposo in stato di adulterio.
Terribile è il giudizio del re nei confronti di quel malvagio invitato: il sacrilego "ammutolì", perché nel momento del giudizio particolare non ci sono più le giustificazioni di questa vita per fare i nostri comodi; la coscienza stessa constata quanto il giudizio di Dio è veritiero e come non ci sia altro da aggiungere.
Ammutoliranno quel giorno non solo i sacrileghi, ma anche quei teologi che spadroneggiano nei media e hanno il consenso del mondo, e portano alla rovina quelli che, incoraggiati dalle loro false dottrine, si accostano indegnamente all'Eucarestia.

5. Medicina sì, ma da assumere a determinate condizioni

L'Eucarestia non è un premio per quelli che sono già buoni (solo la Madonna, se così fosse, potrebbe fare la Comunione), ma una medicina per gli ammalati, che ricorrono al Medico celeste.
Tuttavia la S. Comunione è un farmaco non per tutti i peccati, ma "distrugge il peccato veniale [tanto quanto ci si comunica con fervore] e fa evitare il mortale" (Innocenzo III); invece, per i rimettere i peccati mortali, Gesù ha istituito il Battesimo e la Confessione.
Così insegnava San Giovanni Paolo II: "La celebrazione dell'Eucaristia, però, non può essere il punto di avvio della comunione, che presuppone come esistente, per consolidarla e portarla a perfezione". (Ecclesia de Eucharistia, § 35).
Una medicina data nel momento sbagliato può danneggiare il malato; non per nulla a Corinto si verificò una sorta di epidemia, e molti di coloro che si accostavano indegnamente all'Eucarestia morivano: "…chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti" (1 Cor 11, 29-30). E tutto questo fu permesso da Dio proprio per farci capire quanto sia nociva la Comunione in stato di peccato; continua l'Apostolo: "Se però ci esaminassimo attentamente da noi stessi, non saremmo giudicati; quando poi siamo giudicati dal Signore [cioè castigati in questa vita come i Corinti], siamo da lui ammoniti per non essere condannati insieme con il mondo" (1 Cor 11, 31-32). 


BIBLIOGRAFIA

GIOVANNI PAOLO II, lettera enciclica Ecclesia de Eucharistia (17-4-2003), LEONE XIII, lettera enciclica Mirae caritatis (28-5-1902), ANTONIO PIOLANTI «Comunione Eucaristica» I. Effetti, in Enciclopedia Cattolica, vol. IV, pp. 126-129, S. TOMMASO D'AQUINO, Somma teologica, III, 79.

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