Le fonti filosofiche degli errori
“bergogliani”
Per loro il cristianesimo è storia ma
non giustista
Il prossimo Sinodo dei Vescovi è preceduto da
un frastuono mediatico che gli attribuisce un significato storico superiore
alla sua portata ecclesiologica di mera assemblea consultiva della Chiesa.
Qualcuno si lamenta per la guerra teologica che il Sinodo annuncia, ma la
storia di tutte le adunanze episcopali della Chiesa (tale è il significato
etimologico del termine sinodo e del suo sinonimo concilio) è fatta di
conflitti teologici e di aspri dibattiti sugli errori e sulle scissioni che
hanno minacciato la comunità cristiana
fin dal suo sorgere.
La migliore ricostruzione storica di
questo periodo resta quella del cardinale John Henry Newman ne Gli ariani del IV secolo (tr. It. Jaca Book , Milano 1981), un
approfondito studio che mette in luce le responsabilità del clero e il coraggio
del “popolino” nel mantenere la fede ortodossa. Il diacono Atanasio, campione
dell'ortodossia, eletto vescovo, fu costretto per ben cinque volte ad
abbandonare la sua diocesi per percorrere la via dell’esilio. Nel 357 papa
Liberio lo scomunicò e due anni dopo i concili di Rimini e di Seleucia, che
costituivano una sorta di grande concilio ecumenico rappresentante l'Occidente
e l'Oriente, abbandonarono il termine “consustanziale” di Nicea e stabilirono
una equivoca via media, tra sant’Atanasio e gli ariani . Fu allora che san
Girolamo coniò l’espressione secondo cui “il mondo gemette e si accorse con
stupore di essere diventato ariano”.
Atanasio e i difensori della fede ortodossa vennero
accusati di impuntarsi sulle parole e di essere litigiosi e intolleranti. Le stesse accuse vengono oggi rivolte verso
chi, dentro e fuori l’aula sinodale, vuole levare una voce di intransigente
fermezza nel difendere la dottrina della Chiesa sul matrimonio cristiano, come
i cinque cardinali (Burke, Brandmüller, Caffarra, De Paolis e Müller), che, dopo essersi espressi singolarmente,
hanno riunito i loro interventi in
difesa della famiglia in un libro che è ormai diventato un manifesto, Permanere nella verità di
Cristo: Matrimonio e Comunione nella Chiesa cattolica, appena dato alle stampe dalle edizioni Cantagalli
di Siena. Allo stesso Cantagalli si deve la pubblicazione di un altro testo
fondamentale, Divorziati “risposati” . La prassi della Chiesa
primitive del gesuita Henri Couzel.
I commentatori del "Corriere della Sera"
e de "la Repubblica" si sono stracciati le vesti per la “rissa
teologica” in corso. Lo stesso Papa Francesco, il 18 settembre, ha raccomandato
ai vescovi di nuova nomina di “non
sprecare energie per contrapporsi e scontrarsi”, dimenticando di essersi
assunto personalmente la responsabilità dello scontro, nel momento in cui ha voluto affidare al cardinale Walter Kasper
il compito di aprire le danze sinodali. Come ha notato Sandro Magister, è stato
proprio il cardinal Kasper, con la sua relazione del 20 febbraio 2014, resa
nota da “Il Foglio”, ad aprire le ostilità e ad innescare il dibattito
dottrinale, divenendo così, al di là delle sue intenzioni, il portabandiera di
un partito. La formula più volte ribadita dal cardinale tedesco, secondo cui ciò
che deve mutare non è la dottrina sull’indissolubilità matrimoniale, ma la
pastorale verso i divorziati risposati, ha in sé una portata dirompente, ed è
l’espressione di una concezione teologica inquinata nelle sue fondamenta.
Per comprendere il pensiero di Kasper bisogna risalire a
una delle sue prime opere, e forse la principale, L’assoluto nella storia nell’ultima filosofia di Schelling,
pubblicata nel 1965 e tradotta da Jaca
Book nel 1986. Walter
Kasper appartiene infatti a
quella scuola di Tubinga che, come egli scrive in questo
studio, “ha avviato un rinnovamento della
teologia e dell’intero cattolicesimo tedesco nell’incontro con Schelling ed
Hegel” (p. 53). La metafisica è quella di Friedrich Schelling (1775-1854),
“gigante solitario” (p. 90), dal cui
carattere gnostico e panteista il teologo tedesco tenta invano di liberarsi. Nella
sua ultima opera, Philosophie der
Offenbarung (Filosofia della
rivelazione), del 1854, Schelling contrappone al cristianesimo dogmatico
quello della storia. “Schelling
– commenta Kasper – non concepisce in
modo statico, metafisico e sovratemporale il rapporto tra naturale e
soprannaturale, bensì in modo dinamico e storico. L’essenziale della
rivelazione Cristiana è proprio questo, che essa è storia” (p. 206).
Anche per Kasper il cristianesimo, prima di essere dottrina è storia, o
“prassi”. Nella sua opera più nota, Gesù
il Cristo (Queriniana, Brescia
1974), egli sviluppa una cristologia in chiave storica
che dipende dalla Filosofia della
rivelazione dell’idealista tedesco. La concezione trinitaria di Schelling è
quella degli eretici sabelliani e modalisti, precursori dell’arianesimo. Le tre
Persone divine sono ridotte a tre "modi di sussistenza" di un'unica
persona-natura (modalismo), mentre l'essenza della Trinità si risolve nel suo
manifestarsi al mondo. Cristo non è intermediario tra Dio e l’uomo, ma la
realizzazione storica della divinità nel processo trinitario.
Coerente con la cristologia è l’ecclesiologia di Kasper. La Chiesa è innanzitutto “pneuma”, “sacramento
dello Spirito”, definizione che, per il cardinal tedesco, “corregge” quella
giuridica di Pio XII nella Mystici
Corporis (La Chiesa luogo dello
spirito, Queriniana, Brescia 1980, p.
91). Il campo di azione dello Spirito Santo non coincide infatti, come
vuole la Tradizione, con quello della Chiesa cattolica romana, ma si estende ad
una più vasta realtà ecumenica, la
“Chiesa di Cristo” di cui la Chiesa cattolica è parte. Per
Kasper il Decreto del Vaticano II sull’ecumenismo spinge a riconoscere che
l’unica chiesa di Cristo non si limita a quella cattolica, ma è divisa in
chiese e comunità ecclesiali separate (ivi, p. 94). La chiesa cattolica è “dove non c’è alcun vangelo selettivo”,
ma tutto si dilata in maniera inclusiva, nel tempo e nello spazio (Chiesa cattolica- Essenza, realtà, missione,
Queriniana, Brescia 2012, p. 289). La missione della Chiesa è di “uscire da sé stessa” per riacquistare
una dimensione che la renda veramente universale. Eugenio Scalfari, che si
atteggia a terzo Papa, dopo quello emerito e quello regnante, pur ignaro di teologia, attribuisce la
medesima concezione a papa Francesco, affermando che per lui la Chiesa missionaria è quella che “deve uscire da sé e andare nel mondo”, realizzando
il cristianesimo nella storia ("La Repubblica", 21 settembre 2014).
Queste tesi si riflettono nella teologia morale di
Kasper, secondo cui l’esperienza dell’incontro con Cristo dissolve la legge, o
meglio la legge è un impaccio di cui l’uomo deve liberarsi per incontrare la
misericordia di Cristo. Schelling nella sua filosofia panteista assorbe in Dio
il male. Kasper assorbe il male nel mistero della Croce, in cui vede la
negazione della metafisica tradizionale e della legge naturale che ad essa
consegue. “Il passaggio dalla filosofia
negativa alla filosofia positiva è per Schelling nello stesso tempo passaggio
dalla legge al vangelo” (L’assoluto
nella storia, p. 178), scrive il cardinale tedesco, che vede a sua volta il
passaggio dalla legge al vangelo nel primato della prassi pastorale
sull’astratta dottrina.
Sotto quest’aspetto, la dottrina
morale del cardinal Kasper è, almeno implicitamente, antinomista. L’antinomismo
è un termine coniato da Lutero contro un suo oppositore di sinistra, Johann
Agricola (1494-1566), ma risale alle
eresie antiche e medioevali per indicare il rifiuto dell’Antico Testamento e
della sua legge, sentito come mera costrizione e vincolo, in antitesi al Nuovo
Testamento, cioè alla nuova economia della Grazia e della libertà. Più
generalmente si intende come antinomismo il rifiuto della legge naturale e
morale che ha la sua radice nel rifiuto dell’idea di natura. Per
gli antinomisti cristiani non c’è legge perché non c’è una oggettiva d
universale natura umana. La conseguenza è l’evaporazione del senso del peccato,
la negazione degli assoluti morali, la Rivoluzione sessuale all’interno della
Chiesa.
Si comprende in questa prospettiva come
il cardinal Kasper nel suo recente
libro apparso in tedesco nel 2012 e poi tradotto in italiano per i tipi della
Queriniana nel 2013, Misericordia. Concetto fondamentale del vangelo -
Chiave della vita, si proponga di rompere il
tradizionale equilibrio tra giustizia e misericordia, facendo di quest’ultima,
contro la tradizione, l’attributo principale di Dio. Ma, come ha osservato
padre Serafino Lanzetta
in un’eccellente analisi del suo volume, pubblicata da www.chiesa, “la misericordia perfeziona e compie la giustizia ma non l’annulla; la
presuppone, altrimenti non avrebbe in sé ragion d’essere”. La scomparsa della giustizia e della legge
rende incomprensibile il concetto di peccato e il mistero del male, a meno di
non reintegrarli in una prospettiva teosofica e gnostica.
Ritroviamo quest’errore nel postulato luterano
della “sola misericordia”. Abolita la mediazione della ragione e della natura,
per Lutero l’unica via per risalire a Dio è la “fede fiduciale”, che ha il suo
preambolo non nella ragione metafisica, da cui deve essere totalmente
svincolata, ma in un sentimento di disperazione profonda, che ha a sua volta il
proprio oggetto nella “misericordia” di Dio, invece che nelle verità da Lui
rivelate. Questo principio, come ha dimostrato Silvana Seidel Menchi in Erasmo in Italia 1520-1580 (Bollati Boringhieri,
Torino 1987), si sviluppa nella letteratura ereticale del sedicesimo secolo
grazie anche all'influenza del trattato di Erasmo, De immensa Dei misericordia (1524), che spalancava agli “uomini di buona volontà” le porte del
cielo (ivi, pp. 143-167). Nelle sétte
di derivazione erasmiana e luterana che costituiscono l’estrema sinistra della
riforma protestante riaffiorano inoltre gli errori antitrinitari del IV secolo:
arianesimo, modalismo, sabellianesimo, fondati sul rifiuto o sul travisamento
dell’idea di natura.
L'unico percorso penitenziale possibile per conoscere
l'abbraccio della Misericordia divina è il rifiuto del peccato in cui siamo
immersi e il riconoscimento di una legge divina da osservare e da amare. Questa
legge è radicata nella natura umana ed è incisa nel cuore di ogni uomo “dal dito stesso del Creatore” (Rm 2, 14-15). Essa costituisce il
criterio di giudizio supremo di ogni azione e delle vicende umane nel loro
complesso, ovvero della storia.
Il termine natura non è astratto. La
natura umana è l’essenza dell’uomo, ciò che egli è prima di essere una persona.
L’uomo è una persona, titolare di diritti inalienabili, perché ha un’anima. E
ha un’anima perché, a differenza di qualsiasi altro vivente, ha una natura
razionale. Naturale non è ciò che nasce dagli istinti e dai desideri dell’uomo,
ma ciò che corrisponde alle regole della ragione, che deve a suo volta
conformarsi a un ordine oggettivo e immutabile di princìpi. La legge naturale è
una legge razionale e immutabile, perché immutabile, in quanto spirituale, è la
natura dell’uomo. Tutti gli individui della stessa natura agiranno o dovranno
agire nella stessa maniera, perché la legge naturale è iscritta nella natura
non di questo o quell’uomo, ma nella natura umana considerata in sé stessa,
nella sua permanenza e nella sua stabilità.
Il cardinale Kasper non crede
nell’esistenza di una legge naturale universale e assoluta e nell’Instrumentum laboris, il documento
ufficiale del Vaticano che prepara il Sinodo di Ottobre, questo ripudio della
legge naturale traspare con evidenza, anche se presentato in chiave
sociologica, più che teologica. “Il
concetto di ‘legge naturale’ risulta essere come tale oggi nei diversi contesti
culturali, assai problematico, se non addirittura incomprensibile” (n. 21)
– si dice – anche perché “oggi, non solo in
Occidente, ma progressivamente in ogni parte della terra, la ricerca
scientifica rappresenta una seria sfida al concetto di natura. L’evoluzione, la
biologia e le neuroscienze, confrontandosi con l’idea tradizionale di legge
naturale, giungono a concludere che essa non è da considerarsi ‘scientifica’” (n. 22). Alla
legge naturale viene contrapposto, secondo il programma kasperiano, lo spirito
del Vangelo, di cui occorre comunicare i valori “in modo comprensibile all’uomo di
oggi”. Si rende perciò
necessario “dare una enfasi decisamente maggiore al ruolo della Parola di Dio quale
strumento privilegiato nella concezione della vita coniugale e familiare. Si
raccomanda maggiore riferimento al mondo biblico, ai suoi linguaggi e forme
narrative. In tal senso, degna di rilievo è la proposta di tematizzare e
approfondire il concetto, di ispirazione biblica, di “ordine della creazione”,
come possibilità di rileggere in modo esistenzialmente più significativo la
“legge naturale” (…) Si raccomanda anche l’attenzione al mondo giovanile da
assumere come interlocutore diretto, anche su questi temi” (n. 30).
Le inevitabili conseguenze di questa
nuova concezione della morale, di cui dovranno discutere i padri sinodali, sono
tratte da Vito Mancuso, su “La Repubblica” del 18 settembre. La legge naturale
“è un peso troppo gravoso da portare”;
occorre perciò puntare a “un profondo
percorso di rinnovamento in materia di etica sessuale” che dovrebbe portare
alle “seguenti necessarie aperture: sì
alla contraccezione; sì ai rapporti prematrimoniali; sì al riconoscimento delle
coppie omosessuali”.
Di fronte a questo catastrofico itinerario verso
l’immoralismo, come meravigliarsi che cinque cardinali abbiano pubblicato un
libro in difesa della morale tradizionale e che altri cardinali, vescovi e
teologi, si siano associati a questa posizione? Contro chi invoca una nuova
disciplina dottrinale e pastorale, ha scritto il cardinale Pell, si eleva “una barriera insormontabile”, basata su
“la quasi completa unanimità su questo
punto di cui la storia cattolica dà prova da duemila anni” (Prefazione a
Juan Pérez-Soba, Stephen Kampowski, Oltre
la proposta di Kasper, Cantagalli, Siena 2014, p. 7).
C’è da sperare che il confronto sia libero e trasparente,
senza l’imposizione dall’alto di regole che falsino il gioco. La posta non è
una semplice divergenza di opinioni, ma
il chiarimento sulla missione della Chiesa. C’è da augurarsi inoltre che i presuli
fedeli alla Tradizione non si facciano intimidire e che siano capaci di
sopportare con pazienza le violenze mediatiche e le censure ecclesiali, anche
ingiuste e pesanti, che dovessero subire. “La
canzone migliore continua ad essere la nostra” (p. 8), scrive ancora il cardinal
Pell e Atanasio rimane un modello, nel nostro tempo, per tutti coloro che non
si ritraggono dalla giusta battaglia in difesa della verità.
Kasper è un eretico. Continuare a discettare su questo punto è ovviamente superfluo, quello che invece andrebbe chiarito è se le sue eresie sono realmente condivise da Padre Bergoglio, e da altri cardinali, come costui sostiene pubblicamente. Non che sia importante ai fini della retta dottrina, visto che anche Padre Bergoglio ha dato ampio sfogo alle sue idee ereticali, è solo per sapere meglio quanti cardinali eretici annovera al momento la tribolata chiesa postconciliare priva del papato e ridotta a serraglio.
RispondiEliminaDi sicuro farebbe meno danni alla Chiesa Cattolica il fantasmino Kasper di questo cardinale....
RispondiEliminaChe la Chiesa sia priva del Papato è pura illazione. Che il Papa possa esser più o meno idoneo a tale alta funzione è legittimo pensarlo.
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