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Cari amici, a pochi giorni dall ’inizio de l  13º Pellegrinaggio  Populus Summorum Pontificum   a Roma da venerdì 25 a domenica 27 ottobre  ...

martedì 15 luglio 2014

" Et ut in musica in convivio vini "

Norcia. Basilica di San Benedetto Venerdì 11 luglio 2014 : c'erano tanti  fedeli, che abitualmente si abbeverano alle fresche sorgenti della Liturgia disciplinata dal Motu Proprio Summorum Pontificum, ad assistere alla Messa Solenne ( in terzo).
Un "pellegrinaggio" spontaneo ;  un ritrovarsi fra fratelli in modo del tutto casuale ed inaspettato  pur sapendo che i Benedettini festeggiano solennemente l'inclito Patriarca d'Occidente nel giorno della sua nascita al cielo il 21 marzo ...
"Nondimeno l'11 luglio, sin dal VII-VIII sec., era commemorata la traslazione (di parte) delle reliquie del santo all'Abbazia francese di Fleury, a Saint-Benoît-sur-Loire (11 luglio 660).
Di qui il significato, anche in ambito tradizionale, della celebrazione di questo giorno soprattutto per i benedettini ". 
Dal sito Scuola Ecclesia Mater prendiamo il testo dell'Omelia di Padre Benedetto Nivakoff, O.S.B, Vice Priore della Comunità Benedettina di Norcia, " onde far assaporare, nel rileggerle, pure a chi non era presente alla Celebrazione, l'aria ed i sentimenti da noi vissuti in quella circostanza.
Difatti la conclusione del III Pellegrinaggio Internazionale del Populus Summorum Pontificum sarà proprio nella Basilica di San Benedetto di Norcia Domenica 26 ottobre 2014. 


P. Benedetto Nivakoff, O.S.B. 
 Omelia In Festo Sancti P. Benedicti 
ET UT MUSICA IN CONVIVIO VINI 
Norcia, 11 luglio 2014 


La memoria del santo come musica in un banchetto di vino. 
Così dice il libro della Sapienza nell’Epistola (Eccli. 49). 
Come musica, che accompagna il vino, o anche la birra volendo, ma in ogni caso nel contesto di una grande festa, dove si mangia bene e si beve bene, e oltre a ciò si ascolta bella musica. 
Specialmente a noi, che viviamo qui a Norcia, questa descrizione poetica di un convivio festivo, in cui si celebra un’occasione particolare, un giorno solenne o una persona importante, risulta familiare. 
Pensiamo ad ogni 21 marzo, in cui festeggiamo il transito di San Benedetto, il suo passaggio all’eternità. 
Ci sono processioni, costumi, pranzi, intervengono le nostre autorità, ci sono i fuochi d’artificio e così via. 
Ma sebbene la grande festa renda quella ricorrenza solenne e felice, essa comporta anche il rischio di oscurare proprio la realtà che si celebra. 
Per questo motivo approfittiamo dell’11 luglio per una festa più intima, noi monaci, con i cittadini che venerano il Santo. 
La lettura del libro della Sapienza ci aiuta molto a comprendere la realtà di San Benedetto. 
Et ut musica in convivio vini (Vulg. Eccli. 49, 2). 
Possiamo dire tante cose su San Benedetto, o meglio sono già state dette tante cose, e spesso si ripetono anno dopo anno. 
Ma quando mai lo abbiamo sentito paragonato alla musica di un banchetto di vini? 
La musica piace a tutti, che sia rock, jazz, o canto gregoriano, e pochi non riescono ad apprezzarla almeno un poco. 
Ma per avere una festa, è veramente necessaria la musica? 
Non si può mangiare anche senza? 
Persino del vino, possiamo dire che sia indispensabile? 
Infine, abbiamo proprio bisogno di una festa per ricordare una persona? 
In realtà l’idea di fare festa appartiene profondamente al cattolicesimo; significa fermarsi dal ritmo quotidiano per celebrare, senza che ci sia necessità o utilità. 
Ma è proprio il fatto che una festa non sia necessaria, indispensabile, o utile da punto di vista produttivo, che le dà carattere di gioia e la rende veramente una festa. 
La festa non è necessaria e neanche la musica ... e neanche i monaci. 
Sì, è questo il punto importante da capire della vita monastica come la vuole San Benedetto, è una vita del tutto inutile. 
Al mondo piace sempre inquadrare le cose e così sono diventate famose massime spesso ripetute come “Ora et labora” (cfr. Reg. cap. XLVIII), o “Nulla anteporre all’amore di Cristo” (Reg. cap. IV, 21; cap. XLIII, 3), come se San Benedetto avesse avuto in mente di lasciarci un libro di frasi intelligenti ed accattivanti. 
No, San Benedetto riteneva la sua Regola un’umile guida destinata ai principianti nella vita spirituale (cfr. Reg. cap. LXXIII). 
Il suo scopo era di creare le condizioni per una vita in cui i monaci non si dedicassero che ad una cosa sola: cercare Dio (cfr. Reg. cap. LVIII, 7). 
E cercare Dio, cari fratelli, non ha lo scopo dell’utilità per il mondo. 
Che senso ha? 
Che cosa produce? 
Che fine ha? 
Praticamente, si tratta di una vita di far festa e di giocare. 
Sì, dico far festa e giocare – non come pensa il mondo, ma come pensa Dio. 
L’allora Cardinal Ratzinger descriveva anche la liturgia attraverso la similitudine del gioco (J. Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, ed. Paoline, Cinisello Balsamo, 2001, pp. 9 s.). 
Ci sono centinaia di regole, ad esempio, su come mangiare (senza carne, Reg. cap. XXXIX, 11; al più un bicchiere di vino, Reg. XL, 3), su come vestirsi (coltello alla cintura) (cfr. Reg. cap. XXII, 5), perfino su come pregare (ricordando che siamo alla presenza degli angeli, Reg. cap. XIX, 5-6) o su come camminare (capo chino, Reg. cap. VII, 63). 
Anche quanto alla disciplina della preghiera, il Santo prescrive un rito che va decisamente oltre la necessità: non solo tutti i 150 salmi ogni settimana (cfr. Reg. capp. IX-XVIII), ma in più quaranta salmi di ripetizione (cfr. Reg. capp. IX, XII, XIII, XVIII)! 
Nei giorni festivi, noi monaci non dormiamo per più tempo come molti fanno, ma ci alziamo ancora prima, cioè alle 3:20 anziché alle 3:40 (Reg. cap. XI, 1)! 
Parliamo di regole che per un mondo che cerca solo l’utilità non potranno mai avere un senso. 
E queste regole, che a volte sembrano non solo al mondo, ma anche ai monaci stessi, una grande assurdità, non hanno però l’effetto di farci prigionieri del monastero, ma di liberarci dal mondo ossessionato dalla ricerca dell’utile. 
È per questo motivo che la liturgia ha e deve avere il ruolo centrale nella vita del monaco; e questo era uno dei motivi per cui la nostra comunità ha adottato anche la forma più antica per il rito della Messa Conventuale, la cosiddetta forma straordinaria, la cosiddetta forma straordinaria: è proprio nei suoi apparenti arcaismi, in certi gesti che non sembrano avere utilità o senso (ad esempio “nessuno” sente il canone detto sottovoce!) che troviamo pienamente lo spirito di culto che un monaco deve avere. 
Tutto orientato verso Dio! 
La vita del monaco è come una vita di festa continua, perché mentre cammina, mentre mangia, mentre dorme, mentre lavora nei campi, mentre produce la birra, o fa qualsiasi altra cosa, egli agisce non per uno scopo immediato ed evidente, ma per onorare ed adorare un Dio che sembra essere sempre nascosto! 
Il monaco di Norcia resta quindi sempre un segno di contraddizione. 
Tutti si meravigliano della gioia dei monaci, del loro sorriso, del loro modo di vedere le cose diversamente. 
Per quanto ciò sia vero, la causa sta in questo spirito di gioco, per cui non si cerca l’utilità delle cose, ma la loro bellezza, come nella musica. 
E quanti di noi hanno visto dei bambini giocare sanno che sono tanto contenti perché nello stesso tempo non hanno niente da perdere e hanno tutto da guadagnare. 
Il monaco non ha da perdere perché egli ha già perso, o meglio ha già rinunciato, come dice il Vangelo, a madre, padre, fratelli, sorelle e campi, e anche ad una moglie! 
Mirabile dictu per il mondo di oggi. 
Ma, ciò che è più difficile di tutto, il monaco ha rinunciato, e continua a rinunciare ogni giorno, a se stesso. 
Alzarsi presto risulta facile se paragonato con il rialzarsi spiritualmente giorno dopo giorno, tra battaglie spirituali che non hanno mai fine. 
E quello che contraddice di più un’ottica solamente umana, è che il monaco vince di più quando perde di più. Dio vuole provare la nostra debolezza, non la nostra forza. 
Come dice Bernanos, il monastero non è una casa di pace, ma è una casa dove noi, attraverso la guerra della nostra preghiera, speriamo di vincere la pace per darla al mondo, a voi. 
Non possiamo tenere chiuso in clausura ciò di cui il mondo ha disperatamente bisogno. 
La vita di San Benedetto, che oggi in una atmosfera familiare celebriamo, ci offre grande motivo di far festa, di far musica. 
Ma la sfida del monaco è di ricordare sempre che la musica è la conseguenza e non la causa della nostra ricerca per Dio. 
San Benedetto lo sapeva bene, e l’ha condiviso con i suoi discepoli, i suoi monaci. 
Tocca a noi ricevere il suo insegnamento in maniera sempre più autentica e coerente, e poi offrire al mondo lo stesso messaggio; per questo il monaco centuplum accipiet, et vitam aeternam possidebit … (Matth. 19, 29). 



Foto di Elisabetta Nardi (g.c.)