Ricorrono oggi sette anni dalla promulgazione del
Motu Proprio "Summorum Pontificum".
Deo gratias.
" Il giusto riconoscimento alla Tradizione "
Alcune considerazioni sul Motu Proprio "Summorum Pontificum" di Benedetto XVI
( Articolo del 9 luglio 2007)
“Nullum temporis pretium”.
Così Seneca indicava il valore del tempo.
Ancora meglio i Santi hanno conosciuto quanto esso sia prezioso. S. Bernardino da Siena disse che tanto vale un momento di tempo, quanto vale Dio: perché in ogni momento l'uomo può con un atto di contrizione o d'amor acquistarsi la grazia divina e la gloria eterna: "Modico tempore potest homo lucrari gratiam, et gloriam. Tempus tantum valet, quantum Deus, quippe in tempore bene consumto comparatur Deus".
Con queste riflessioni suggeritemi da questi grandi uomini del passato vorrei fare qualche considerazione a proposito della recente Lettera Apostolica del Santo Padre Benedetto XVI “Motu proprio data” Summorum Pontificum sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla riforma del 1970, che tanto sta facendo discutere in questi giorni.
Noto infatti reazioni divergenti sia tra noi sacerdoti che tra i fedeli laici già da quando alcune indiscrezioni avevano anticipato la possibilità di questo pronunciamento papale; così, anche dopo la sua pubblicazione, mi sono trovato di fronte a chi ha accolto con gioia questo documento, ma anche davanti a chi, a proposito di questo intervento del Papa , si è posto in modo critico e oppositivo.
Penso che ci sia tanta disinformazione, sia perché le notizie riportate dalla maggior parte dei mass media sono state alquanto superficiali, sia perché, mi sono reso conto, molti non hanno neppure letto il Motu proprio.
Ed ecco allora i soliti luoghi comuni: si parla di ritorno alla “messa in latino”, di tradimento del Concilio Vaticano II e della riforma liturgica e le altre infinite varianti sullo stesso tema. Premesso che il Messale, pubblicato da Paolo VI e poi riedito in due ulteriori edizioni da Giovanni Paolo II, è sempre stato, nella sua editio typica , in lingua latina e che l’uso della lingua nazionale è stato solo una concessione della sede Apostolica per tutte le celebrazioni liturgiche con la partecipazione del popolo, vorrei precisare che, quanto alla possibilità di celebrare la Santa Messa in latino, essa è stata sempre mantenuta fino ad oggi e che è lecito, a ciascun sacerdote, la celebrazione in latino con il Messale Romano edito dopo il Concilio Vaticano II, la cui versione «tipica» per la lingua italiana, del 1983, è quella attualmente in uso.
Il Motu proprio del Papa non riguarda invece propriamente l’uso del latino nella Santa Messa, ma piuttosto la facoltà di usare il Messale anteriore alla riforma del Concilio Vaticano II, nell’edizione voluta nel 1962 dal Beato papa Giovanni XXIII, che in sostanza aggiornava il Messale Romano fatto pubblicare da San Pio V in osservanza ai dettami del Concilio di Trento.
Il Motu proprio intende fornire norme più dettagliate sulla possibilità di usare il Messale del 1962, che, fino alla pubblicazione del documento in questione, era regolata esclusivamente dagli Ordinari e dalla Pontificia Commissione ''Ecclesia Dei''.
L’intervento di Benedetto XVI, a mio parere, rende giustizia, tanto ad una veneranda Tradizione liturgica, quanto alla sensibilità di chi sempre più, anche tra le nuove generazioni, trova nella forma celebrativa del Messale di San Pio V l’occasione di un incontro più intimo con il Mistero dell’Eucaristia.
Tre ragioni mi portano ad una tale convinzione.
La prima di ordine teologico: la dottrina cattolica ci insegna che nel Magistero solenne della Chiesa, come è quello del Concilio Vaticano II, non può esserci contraddizione ed errore.
Anche in materia liturgica, i pronunciamenti magisteriali del Concilio vanno letti nel segno della continuità e della crescita e non della rottura col passato. Come sapientemente ribadisce il Santo Padre “ ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso”.
La seconda è di ordine giuridico: infatti il Messale del 1962, anche dopo la pubblicazione del Messale di Paolo VI, non è stato mai giuridicamente abrogato e dunque in linea di principio è rimasto sempre in vigore.
La terza ed ultima ragione, certo non meno importante delle precedenti, è infine di ordine pastorale ed ecclesiale.
Quando ero in Seminario, a Roma, mi colpì il racconto di un sacerdote amico che riferiva la sofferenza provata Giovanni Paolo II ( ora Santo N.d.R.) davanti alle lacerazioni interne alla Chiesa.
A chi infatti rimproverava il Papa di un eccessiva attenzione per coloro che avevano perso la comunione con il Successore di Pietro, egli avrebbe risposto che nessuno può comprendere quale dolore possa provocare uno scisma nel cuore del Papa, cioè di colui che deve garantire l’unità della Chiesa di Cristo.
Penso che il Motu proprio Summorum Pontificum si ponga tra quegli atti di verità che sono, tra l’altro, presupposti necessari, per conservare o recuperare la comunione anche con quei nostri fratelli ancora lontani, evitando, come già avvenuto in passato, che si consolidino le cause delle divisioni.
Credo dunque che sia necessario accogliere con la dovuta serenità, senza infondati timori, questo intervento di papa Benedetto. Il Messale Romano promulgato da S. Pio V e nuovamente edito dal Beato Giovanni XXIII infatti rimarrà l’espressione straordinaria dell’unico rito romano per la celebrazione del Sacrificio Eucaristico, la cui espressione ordinaria continuerà ad essere quella proposta nel Messale di Paolo VI , posteriore al Vaticano II.
Non c’è dunque nessuna rivoluzione rispetto all’attuale uso liturgico postconciliare piuttosto viene offerta a chi lo desidera la possibilità di celebrare secondo il rito precedente, quello che fino al Concilio era l’unica forma celebrativa del Rito Romano.
Vorrei concludere richiamando quanto detto all’inizio sul valore del tempo; la Liturgia infatti è il luogo e il tempo privilegiato dell’incontro con Dio.
Aver dato la possibilità di accedere con maggiore facilità alla celebrazione dell’Eucaristia secondo il messale di San Pio V, fortemente incentrata sulla dimensione sacrificale, oltre ad aver restituito alla Chiesa un monumento più che secolare della Liturgia e della cultura, è per tutti un invito alla riflessione, anche per quanti, non volendo avvalersi di tale possibilità, sono ugualmente chiamati ad annunciare nel nostro tempo che il sacrificio di Cristo rimane l’unica risposta definitiva al bisogno di amore che è nel cuore di ogni uomo.
In quell'occasione sette anni fa il noto vaticanista Andrea Tornielli scrisse un Articolo ( QUI) in cui mise bene in risalto i frutti del " buon ecumenismo " che la pubblicazione del Motu Proprio poteva generare soprattutto nei fratelli Ortodossi : Alessio II: «Bene il ritorno alla messa in latino».
Difatti per sottolineare il " gradimento in sacris " i Patriarcati di Costantinopoli e di Mosca inviarono il 14 settembre 2007 due loro delegati ufficiali nella Pontificia Basilica della Santa Casa di Loreto per assistere alla Messa Pontificale con la quale il Cardinale Castrillòn Hoyos " inaugurò " solennemente l'entrata in vigore del Motu Proprio.
Ai fratelli zelanti che scrivono : " Ma la liturgia non è tutto!" rispondiamo con le parole di una Teologa : " Non sarà "tutto"; ma è la fonte e il culmine della Fede !
Da essa tutto parte e in essa tutto confluisce!
La Liturgia - e nella specie il Rito Romano Antico - è il luogo e il tempo privilegiato dell’incontro con Dio.
Il Sacrificio di Cristo (sfociato nella Risurrezione) è l'unica risposta definitiva non solo al bisogno d'amore che è nel cuore di ogni uomo, ma anche sulla necessità della Redenzione, che ci riscatta e ci ricongiunge al Padre, ripristinando l'obbedienza violata ".
Spiritualmente edificante è la conclusione dello studio di Mons. Guido Marini " La Liturgia culmine della vita della Chiesa " che recita così: " Non c’è nulla che sia più importante della Liturgia, dell’Eucaristia.
Perché non c’è nulla che sia più importante del Signore, crocifisso e risorto, presente e operante oggi nella Sua Chiesa.
Possa essere realtà quotidiana per ciascuno di noi che l’Eucaristia è la nostra vita e la vita è la nostra Eucaristia, così come la Liturgia è la nostra vita e la vita è la nostra Liturgia. "
A.C.
Cari amici .vorrei proporvi . questa bella confessione appena letta su un sito che non ricordo già più (scusate, è colpa dell’età) , in perfetto stile Papa Francesco e l’infinita misericordia del Signore. Buona lettura:
RispondiElimina“Caro Francesco…
Hola, Jorge Mario, buon giorno!
Anzi, un augurio più laico, “hoy, para Ud., sea un dìa peronista!”
La mia non è una classica confessione da dietro la grata e da genuflesso, ma una chiacchierata a viso aperto, da hombre a hombre, come hai fatto di recente e senza tanti preamboli anche confrontandoti col più superbo rivendicatore del proprio incrollabile ateismo.
In fondo, se dialoghi con chi ostentatamente nega l’esistenza di Dio e manifesti deferente stima nei suoi confronti senza l’ombra di volerlo neppure avvicinare all’ovile, perché non ascoltare uno come me, che già fa parte, indegnamente fin che si vuole, della tua stessa stalla?
Ti parlo di me peccatore, ma senza pretendere alcunché. In fondo, stando alla tua stessa domanda retorica dell’altro giorno, chi sei mai tu per condannarmi o darmi l’assoluzione? Visto che, mentre mi ascolti, non indossi neppure una stola, posso vuotare il sacco tranquillamente stando in piedi, finalmente in segno di riacquistata libertà e dignità, dopo venti secoli di oscurantismo e di rotule arrossate? Grazie, Jorge Mario!
Dopo migliaia di confessioni tradizionali, finalmente non mi è più dato di denunciare dolore, pentimento e contrizione, perché ormai al bucato della mia anima screziata di macchie e ombre ci pensa l’inesauribile misericordia di Dio, turbo-lavatrice onnipotente che, come hai pubblicamente sottolineato tu stesso, vanta ormai un’indiscussa primazia sui millenari precetti sempre uguali e immutabili della Chiesa.
Comincio per sommi capi il mio “èlenchos” o litania di biasimevoli colpe, consapevole che, in forza delle garanzie postconciliari, in ogni caso saranno condannati solo gli errori e non l’errante, e per me è già un bel passo avanti verso l’autoassoluzione.
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SEGUITO e fine
RispondiEliminaInnanzitutto ammetto di essere un intemperante dissipatore di ricchezze destinate ai poveri. Il mio anello nuziale, infatti, è d’oro massiccio e neppure placcato, anziché pauperisticamente taroccato come il tuo.
Sono anche un incorreggibile “cristianello di pasticceria”, diabetico frequentatore di confetterie devozionali intitolate alla mia Mamma celeste, come il Santuario di Maria Ausiliatrice o della Consolata di Torino, quest’ultimo significativamente affrontato allo sdolcinato “Bicerin” sulla piazzetta antistante, di cui sono affezionato cliente.
Vengo adesso al mio peccato più grave a patto che tu non mi chieda quante volte ci sono cascato.
Riconosco di essere un battezzato decisamente “sciocco”, hai ragione. Infatti, tento e ritento di adempiere come posso quel primordiale comandamento, solennemente sancito dalla Pentecoste, di evangelizzare, fare apostolato e convertire i lontani, increduli e non credenti, che popolano il mio prossimo. Talora ho osato addirittura “fare proselitismo” tra i dubbiosi, il che mi dicono sia stato da te recentemente cassato e aborrito come una gran sciocchezza.
Abbi pazienza, Jorge Mario, se a fin di bene ho creduto più al senso etimologico e letterale di quel verbo, “fare proselitismo”, che significa far sopraggiungere e sopravvenire, più che al buosenso volgare e comune, tanto caro ai postconciliaristi che vi intravvedono dispregiativamente una forzatura dell’altrui libero arbitrio e dignità creaturale.
Lo so che il proselitismo è poco dialogico, peccaminoso e indigesto ai modernisti, amanti invece di altri “ismi” più alla moda come il discussionismo, il pragmatismo, il relativismo, il populismo, il pauperismo e, dopo il tuo avvento, il peronismo, ma mi sembra eccessivo prendermi drasticamente dello sciocco da te per così poco.
Pazienza se tu mi apostrofassi sciocco, o anche peggio, te lo concederei, per un mio screzio in materia etica. Per esempio perché aderisco al relativismo della già condannata “morale della situazione”, barattando la volubilità della mia coscienza con l’intransigenza dell’immutabile legge morale tradizionale.
Prima di chiedere il perdono ti confesso un’ultima mia irreparabile inadempienza. Si tratta di un peccato di analfabetismo religioso, caro Jorge Mario, che tuttavia penso mi porterò dietro sino al temuto “regolamento di conti”.
Non mi arrendo infatti a “leggere i segni dei tempi”, il martellante “mantra” trionfale dei modernisti, cui sommessamente continuo a preferire “leggere i segni da sempre fluenti dell’eterna e immutabile volontà di Dio”.
Sia lodato Gesù Cristo e…buona confessione, cari amici