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sabato 17 marzo 2012

La correzione del paragrafo 27 dell’Institutio generalis Missalis Romani

Da Una Voce Italia. Per la prima volta – se non erriamo – nella storia della Chiesa, la Santa Sede ha corretto, a meno di un anno dalla sua apparizione, un documento pontificio ufficiale. Si tratta del sinistro paragrafo 27 della Instructio generalis che apre il nuovo messale di Paolo VI, pubblicato nell’aprile 1969. Questo paragrafo, nella edizione del marzo 1970, è radicalmente trasformato. Poiché esso contiene la definizione stessa della messa, non sarà difficile misurare l’importanza della trasformazione. Vittoria grandissima dei Cardinali Ottaviani e Bacci e della Fondazione “Lumen Gentium”, le cui critiche al nuovo messale si sono mostrate così pienamente giustificate, contro il parere di tutti quei cattolici per i quali l’obbedienza è divenuta una droga e che sostenevano l’illegittimità delle osservazioni dei Cardinali.

Diamo qui sotto le due definizioni; l’originale era questa:

N. 27 [versione 1969]: “La cena del Signore, o messa, è la sacra sinassi o assemblea del popolo di Dio, presieduta dal sacerdote, per celebrare il memoriale del Signore. Vale perciò eminentemente per questa assemblea locale della Santa Chiesa, la promessa del Cristo: “Là dove due o tre sono radunati nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt. XVIII, 20)”.


Ed ecco la seconda definizione (le sottolineature sono nostre):

N. 27 [versione 1970]: “Alla messa, o cena del Signore, il popolo di Dio si raduna sotto la presidenza del sacerdote che rappresenta il Cristo, per celebrare il memoriale del Signore o sacrificio eucaristico. Per conseguenza per questa assemblea locale della Santa Chiesa vale la promessa del Cristo: “Là dove due o tre sono radunati nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt. XVIII 20). In effetti, alla celebrazione della messa, nella quale si perpetua il sacrificio della Croce, il Cristo è realmente presente nell’assemblea riunita in suo nome, nella persona del ministro, nella sua parola sostanzialmente e in maniera ininterrotta sotto le specie eucaristiche“.

La differenza dei due testi è capitale: nulla più, nulla meno che una differenza di religione.

Purtroppo, sulla definizione originale (“che non contiene alcuna delle premesse dogmatiche essenziali alla Messa e ne costituiscono pertanto la vera definizione, sicché una tale omissione volontaria significa il loro “superamento” e, almeno in pratica la loro negazione”, secondo l’Esame Critico di Ottaviani e Bacci), su quella definizione è costruito l’intero messale paolino. E quel messale resta immutato.

Ma la vittoria dei Cardinali sul paragrafo 27 è la dimostrazione che: 1) è pienamente lecita la critica là dove fede e tradizione siano in gioco; 2) è pienamente lecita la richiesta di correzione dei testi che diano adito a tali critiche; 3) tali critiche e richieste di correzione non sono soltanto legittime ma utili.

Non si cesserà quindi di criticare, nelle forme dovute, il messale paolino, costruito, da capo a fondo sull’articolo 27 qual era nella sua forma originale.

Ma, più essenzialmente, non si cesserà di reclamare la conservazione della vera Messa cattolica, quella tridentina, e di celebrarla o farla celebrare ovunque, sine intermissione.

da: «Una Voce Notiziario», 2 (1970), pp. 3-4.

1 commento:

  1. Ma Gesù, che non aveva il Messale di Trento, come faceva? E tutti i 1570 anni di cristianesimo prima della "Quo primum tempore" di Pio V (che promulga il messale riformato a norma del concilio Tridentino) come hanno fatto? Sono stati senza una messa valida? E quei riti che Trento stesso a conservato perché "più antichi di 200 anni", come l'ambrosiano ad esempio, ancora oggi non sono "vera messa" perché non passano da Trento?

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La Redazione