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sabato 17 dicembre 2011

FSSPX - Avvenire di oggi (17.12.11): " Chiesa e dialogo con i lefebvriani secondo Miccoli" "... tesi semplicistica"

da l'AVVENIRE - RELIGIONE



DI Umberto FOLENA

Più la Chiesa si avvicina alla Fraternità di San Pio X, più si allontana dal Concilio Vaticano II. Più concede alle pretese [non sono pretese!, n.d.r.] dei lefebvriani, più si chiude al mondo [la Chiesa è nel mondo, ma non del mondo! E comunque essere fedeli a Cristo non vuol dire chiudersi. E qualora fosse necessario, bisognerebbe chiudersi pur di non tradire Cristo! n.d.r.] e rinuncia a seguire la strada indicata dai padri conciliari [la strada si può correggere, mica necessariamente abbandonare, n.d.r.]. La sintesi sarà forse sbrigativa, "giornalistica".
Ma questa è la tesi iniziale dell'autore, alla luce del dettagliato excursus dei contatti intercorsi in oltre 35 anni tra Santa Sede e Fraternità.
Miccoli - emerito di Storia della Chiesa all'Università di Trieste, già alla Normale di Pisa e a Venezia - è ricercatore leale.
Dice di non appartenere ad alcuna Chiesa, di riconoscere la grandezza di Cristo e di non nascondersi l'influenza della Chiesa cattolica nella società.
Dichiara all'inizio il proprio "debito" al metodo di Delio Cantimori e di aver guardato alla storia recentissima della Chiesa cattolica«di scorcio», al fine di afferrare, leggendo un singolo capitolo, la trama più generale.
La vicenda di Lefèbvre e dei lefebvriani, dunque, gli interessa in quanto «punta di diamante del variegato movimento anticonciliare», come chiave per comprendere l'indirizzo del pontificato ratzingeriano e gli orientamenti della Curia.
Leale, dunque, ma partendo da una tesi che rischia di costituire il limite stesso di un lavoro peraltro di spessore.
Eccola, la tesi: «Da tempo - afferma Miccoli - una lettura normalizzante e minimizzante del Concilio [o almeno di alcuni brani di alcuni documenti conciliari, n.d.r.] è in corso a Roma» . In questo senso, l'incontro con la Fraternità San Pio X riposizionerebbe della Chiesa di Roma «secondo modi di essere che sembravano abbandonati per sempre». La riconciliazione, in altri termini, comporterebbe la restaurazione.
I materiali messi a disposizione da Miccoli sono abbondanti. E tutto procede verso uno scontato esito finale.
Le contraddizioni sono minimizzate, gli elementi discordi sono eccezioni alla regola.
Il magistero di Benedetto XVI non convince Miccoli, che non perde occasione per sottolinearne quelli che lui considera i limiti.
Le encicliche elogiate universalmente per la profondità di analisi e l'attualità storica, ad esempio la Caritas in veritate, passano in secondo piano.
Altrimenti Miccoli non potrebbe rimproverare a Ratzinger una «sovrana noncuranza della storia», la «rimozione della storia»: «La manipolazione e la mutilazione della storia diventano uno strumento apologetico di autoaffermazione».
Miccoli sottolinea le presunte convergenze tra Ratzinger e la Fraternità nelle critiche al Concilio, a partire dal comune giudizio, nettamente negativo, delle «società occidentali scristianizzate». Tra i teologi della liberazione e i tradizionalisti, afferma Miccoli, Ratzinger predilige i secondi, [non potrebbe essere diverso! I tradizionalisti non sono "eretici", n.d.r.] perché ai primi, «manca quella fede e quella forza che egli riconosce alla Fraternità» [e vorrei vedere! n.d.r.].
Non può non annotare le dure critiche della Fraternità a Benedetto XVI, tra tutte la condanna drastica dello «spirito di Assisi», dell'ecumenismo e del dialogo intereligioso, che pongono Ratzinger nel solco di Wojtyla, la cui beatificazione non è accettata dai lefebvriani. Intollerabile è che anche Ratzinger entri nella sinagoga... Ma su tutto, osserva l’autore, prevalgono «le critiche al Concilio». La conclusione di Miccoli è sconsolata.
Ma basterebbe riordinare i suoi stessi dati per giungere a risultati più complessi, che renderebbero giustizia a un pontificato refrattario a etichette di comodo.

Giovanni Miccoli LA CHIESA
DELL'ANTICONCILIO I tradizionalisti alla riconquista di Roma - Laterza

( A.C.)

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