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lunedì 26 dicembre 2011

Approfondimenti di don Jean-Michel Gleize - II parte

II PARTE


Pubblichiamo la seconda parte di uno studio di don Jean-Michel Gleize, membro della Commissione della Fraternità San Pio X per le discussioni con Roma, in risposta a quanto affermato da Monsignor Fernando Ocáriz apparso su "L’Osservatore Romano".




4 L’UNITA’ DELLA VERITA’ E DELLA RIVELAZIONE

Nella spiegazione sviluppata da Aristotele e San Tommaso , l’unità, lungi dall’escludere la molteplicità, la suppone e la supera, perché stabilisce giustamente un legame che mette in relazione e in ordine, gli uni in rapporto agli altri, diversi elementi che entrano in composizione e che per ciò stesso cesseranno di costituire una moltitudine informe. Questa composizione è precisamente ciò che riassorbe la molteplicità nell’unità.
Come ha dimostrato il cardinale Franzelin , l’unità della verità rivelata e della Tradizione è per prima cosa e innanzi tutto l’unità di significato dei differenti dogmi, nell’espressione ordinata di una stessa verità. I dogmi sono distinti gli uni dagli altri, ma compongono un’unità, perché sono ordinati gli uni agli altri, nella misura in cui significano tutti in maniera complementare, gli uni in dipendenza degli altri, i differenti aspetti della stessa verità rivelata. E questo si spiega perché questa verità rivelata da Dio suppone il principio stesso di ogni verità, che è il principio di non contraddizione, il principio di non divisione a livello di significato, il principio dell’unità della verità. Questa unità della verità dogmatica passa per l’unità di significato delle parole che esprimono la verità.
È per questo che nella costituzione Dei Filius, il concilio Vaticano I afferma: «il senso dei sacri dogmi che deve sempre essere conservato è quello che la santa Madre Chiesa ha determinato una volta per tutte e non bisogna mai allontanarsi da esso sotto il pretesto e in nome di una intelligenza più profonda» . E nel Giuramento antimodernista di San Pio X, al n° 4, è anche detto: «accolgo sinceramente la dottrina della fede trasmessa a noi dagli Apostoli per mezzo dei padri ortodossi, nello stesso senso e sempre nello stesso contenuto; e per questo respingo totalmente l’eretica invenzione dell'evoluzione dei dogmi, che passano da un significato ad un altro, diverso da quello che prima riteneva la Chiesa» .

5 . L’UNITA’ DEL MAGISTERO

L’oggetto della fede è la verità ontologica, cioè la realtà stessa del mistero, come viene colta dai credenti tramite concetti ed espressioni verbali . L’oggetto della rivelazione è la verità logica, cioè l’enunciazione concettuale del mistero, la cui espressione (o il segno verbale esteriore, scritto o orale) è il dogma. La predicazione del magistero o la tradizione è la comunicazione di questa rivelazione attuata con un linguaggio esteriore (scritto o orale) che esprime l’enunciazione concettuale del mistero. La rivelazione e la tradizione hanno per oggetto il fornire al fedele i concetti e le espressioni verbali per mezzo delle quali il suo atto di fede giungerà alla realtà del mistero. Il deposito della fede è l’insieme di queste espressioni concettuali e verbali. Questo deposito, affidato alla custodia del magistero, è sostanzialmente immutabile nel suo significato. Dunque, il magistero non può contraddire la rivelazione, proponendo delle verità il cui senso non sarebbe quello voluto da Dio. E nemmeno può contraddire se stesso, proponendo delle verità il cui senso sarebbe contrario a quello delle verità che esso stesso ha già proposto. Questo resta vero anche se l’espressione concettuale o verbale della verità rivelata può guadagnare in precisione e perfino quando il magistero esercita la sua azione per proporre delle formule dogmatiche più esplicite, cosa questa che autorizza a parlare di un certo «progresso omogeneo del dogma». Queste espressioni dogmatiche, peraltro, finiscono col diventare definitive quando esprimono in maniera sufficientemente esplicita la verità rivelata. Questo è affermato da Pio XII in opposizione ai falsi postulati della nuova teologia . La missione che ha per oggetto il dichiarare il deposito della fede, obbedisce alle stesse regole della missione che ha per oggetto il conservarlo, poiché ne è solo una conseguenza.
Ecco perché il magistero, definito per la dipendenza dal suo oggetto, è costante o tradizionale: tale costanza corrispondendo esattamente all’unità stessa del magistero, che deriva dal suo oggetto. L’unità del magistero è dunque quella di un insegnamento che propone sempre la stessa verità divinamente rivelata, dandole un significato immutato, anche se la sua espressione può guadagnare in precisione attraverso una formulazione concettuale e verbale più esplicita. (...continua)


(fine II parte)


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NOTE
[13] Si veda San Tommaso, Somma teologica, parte I, questione 11, articolo 1, corpus e ad 1.
[14] Cardinale Jean-Baptiste Franzelin, La Tradition, thèse 6, n° 67-76, Courrier de Rome 2008, pp. 71-76.
[15DS 3020.
[16] DS 3541.
[17] Somma Teologica, II, II, questione 1, articolo 2 corpus e ad 2.
[18] «Certuni intendono ridurre al massimo il significato dei dogmi; liberare lo stesso dogma dal modo di esprimersi, già da tempo usato nella Chiesa, e dai concetti filosofici in vigore presso i dottori cattolici, per ritornare nell'esporre la dottrina cattolica, alle espressioni usate dalla Sacra Scrittura e dai Santi Padri. […] è massima imprudenza trascurare o respingere o privare del loro valore i concetti e le espressioni che da persone di non comune ingegno e santità, sotto la vigilanza del sacro Magistero e non senza illuminazione e guida dello Spirito Santo, sono state più volte con lavoro secolare trovate e perfezionate per esprimere sempre più accuratamente le verità della fede, e sostituirvi nozioni ipotetiche ed espressioni fluttuanti e vaghe della nuova filosofia, le quali, a somiglianza dell'erba dei campi, oggi vi sono e domani seccano; a questo modo si rende lo stesso dogma simile a una canna agitata dal vento. Il disprezzo delle parole e delle nozioni usate dai teologi scolastici, di per sé conduce all'indebolimento della teologia speculativa, che essi ritengono priva di una vera certezza in quanto si fonda sulle ragioni teologiche» (Pio XII, Enciclica Humani generis del 12 agosto1950).

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