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venerdì 18 novembre 2011

La ragion d’essere dell’Istituto del Buon Pastore



Testo della relazione orale di don Stefano Carusi (IBP) al Convegno della Federazione internazionale di Una Voce - Roma 6 novembre 2011 (A.C.)

"Rev. di Padri, preg.mo Presidente della “Foederatio Internationalis Una Voce”, distinti signori,
Anzitutto ringrazio per questo invito e porto il saluto del Superiore Generale dell’Istituto del Buon Pastore abbé Philippe Laguérie, che mi ha delegato a indirizzarvi questa breve comunicazione sul nostro Istituto e questi cinque-sei anni trascorsi dalla sua nascita. Parlerò in italiano per scelta : ci troviamo a Roma, ove abbiamo una casa approvata dal Vicariato, e mi sembra un omaggio a questa nostra terra cattolica e anche uno sprone, se la Provvidenza permetterà, per una maggiore presenza del nostro Istituto nella Penisola.
L’Istituto del Buon Pastore è nato, come sapete, nel 2006. È importante sottolineare quanto sia stato voluto personalmente dal Santo Padre! Ed è stato eretto canonicamente da S. Em. il Card. Castrillon Hoyos, cui noi tutti abbiamo un debito di riconoscenza e – mi sia concesso – d’affetto. Per l’Istituto la scelta liturgica s’associa ad un preciso impegno nell’uso esclusivo del rito tradizionale, nella fedeltà ai propri statuti e in spirito di servizio alla Chiesa. Al contempo, la nostra posizione liturgica é collegata alla nostra posizione dottrinale: ad un’attitudine che sappia esternare, con fedeltà e con rispetto, le riserve in merito ai cambiamenti che hanno interessato l’ultimo quarantennio-cinquantennio. E' un punto che va trattato con il debito rispetto, ma anche nella franchezza teologica ed ecclesiale. Cito dal documento fondatore, in buona parte ispirato dal "Protocollo Ratzinger-Lefebvre" del 1988:
“A proposito di alcuni punti insegnati dal Concilio Vaticano II o concernenti alcune riforme posteriori della liturgia e del diritto e che ci sembrano difficilmente conciliabili con la Tradizione, noi ci impegniamo ad un’attitudine positiva di studio e di comunicazione con la Sede Apostolica"
Circa tali punti i nostri statuti prevedono espressamente la facoltà di una "critica costruttiva", volta ad offrire un servizio al Romano Pontefice.

È questa la nostra ragion d’essere: mentre lasciamo al solo Vicario di Cristo di pronunciarsi perentoriamente, di giudicare con autorità ciò che Lui solo può giudicare, noi, nella fedeltà al carisma espresso dai nostri statuti, intendiamo dare una testimonianza e un contributo in tal senso. Il Card. Castrillon disse : “ la critica costruttiva può essere un gran servizio da rendere alla Chiesa”. È questa la nostra linea.

E ciò anche in merito ad alcuni punti dell’ultimo Concilio, per i quali ove possibile l’interpretazione del testo magisteriale - Magistero autentico non infallibile - deve esser cercata nella “continuità dell’ermeneutica teologica”, per utilizzare un’espressione del celebre mons. Gherardini, ma ove ciò non dovesse rivelarsi possibile si può implorare che il Santo Padre, stante il potere della Chiavi, voglia riformulare espressioni infelici di testi magisteriali sì, ma non infallibili né vincolanti in ogni singola frase. Cum Petro et sub Petro quindi, e nel contempo nell’amore della verità e nella certezza che le opinioni teologiche restano tali e mai la Chiesa le ha imposte come oggetto di fede, ma restano solo oggetto di teologia e dei suoi criteri classici.

In questi termini parlavamo qualche tempo fa con apertura e spontaneità con il rev. mo Mons. Pozzo, il quale nel corso d’un colloquio informale, pur non condividendo appieno a titolo personale la nostra opinione, parlò della legittimità di questa libertà teologica, di questa discussione critica, e finanche della sua utilità nel panorama ecclesiale di oggi. Libertà che ha i suoi limiti nel Magistero infallibile - in necessariis unitas - e ha i suoi limiti anche, mi sia concesso, nell’espressione prudente e responsabile del dissenso tradizionale. Sempre infatti la carità ecclesiale deve informare e talvolta temperare la “rabies theologica”, senza mai scendere però nell’ipocrisia adulatrice: sarebbe quest’ultima la peggior mancanza di rispetto all’autorità ecclesiastica, sarebbe l’adulazione dei cortigiani e non la sincerità dei figli devoti.

La nostra scelta liturgica quindi é legata a quella dottrinale e va inquadrata nella considerazione dei problemi che attanagliano la Chiesa da alcuni decenni, tra cui certo l'importantissimo nodo della liturgia. Questione che va considerata con la debita umiltà, ma in una prospettiva sostanzialmente dottrinale.
Se qualcuno volesse può consultare alcuni degli articoli del sacerdote che vi sta parlando sul sito “Disputationes Theologicae”, che non è un organo ufficiale dell’Istituto, beninteso, ma è una libera rivista di area, che prova a tradurre tali coordinate.
Progetto ambizioso commenterà l’uditorio, lo concediamo volentieri. Ma, ripeto, non pretendiamo risolvere i problemi: ci accontentiamo di porli, lasciando a Pietro, quando vorrà e potrà, il compito di sciogliere e legare, così come il Divin Maestro ha stabilito. E il nostro contributo al bene della Chiesa consiste anche nell’esistere sui citati presupposti, dando così la nostra testimonianza di una realtà ecclesiale, di una posizione ecclesiale.
Questo lavoro di riflessione assorbe non poche delle nostre forze ed è alla formazione dei giovani seminaristi che il nostro sguardo in buon parte si volge. Si tratta infatti di saper offrire una formazione che si guardi bene dalla superba rinuncia alla saggezza tradizionale della Chiesa e alle immortali indicazioni di Trento, ma che sappia al contempo dare quegli strumenti che i problemi moderni, tante volte la drammatica situazione attuale, richiedono. Una formazione classica nella conoscenza delle lettere latine e greche, e della letteratura immortale che in tali lingue fu scritta, è il modo semplice e tradizionale per offrire quella forma mentis “naturale”; che ben si sposa con la filosofia aristotelico-tomista e la teologia, che su questa s’innesta. Il proseguimento degli studi è favorito per quanto possibile, e anche a questo serve la nostra casa romana.

L’Italia e non solo Roma è tuttavia anche terra d’apostolato: l’Istituto serve una cappellania, una delle due che risultano presenti in tutta Italia, nel Chiaravallese, ove una piacevole collaborazione con la Diocesi permette che un lavoro regolare di assistenza spirituale si compia, in serenità e con la garanzia permanente data da una struttura giuridica. In generale ove non possiamo risiedere in pianta stabile ci impegniamo a visite frequenti, nella convinzione che i tempi che viviamo esigono sacrificio da parte dei sacerdoti e dei fedeli, senza manie di grandezza e sogni di conversioni di massa. A Bordeaux la nostra "casa madre”, con la parrocchia personale di S. Eloi, con le sue attività multiformi e i suoi quattro sacerdoti, è un esempio concreto della possibilità di avere una vita parrocchiale nel quadro tradizionale, in una collaborazione amichevole con la diocesi, sotto l’autorità e la caritatevole disponibilità di S. Em.za il card. Ricard. Vicino Bourges la nostra scuola dell’Angelus, elementare e media, cresce sfiorando i quasi settanta allievi; così continuano le nostre attività d'apostolato in altri due istituti scolastici elementari. L’aiuto apostolico, dato finora come supporto puntuale in alcune diocesi, si fa più stabile e si inserisce in un quadro via via più canonico nella diocesi di Le Mans, dove una presenza è stabilita a partire da settembre in accordo con l’Ordinario; è anche il caso del solidificarsi della presenza in diocesi di Blois, e chiaramente di Chartres in cui siamo presenti da più tempo. A Parigi lo siamo con un centro culturale ed una casa per ritiri spirituali è stata avviata non lontano da Poitiers. Oltre l’Oceano il Cardinale di Bogotà ha eretto canonicamente una nostra casa, permettendo un apostolato nell’America che parla spagnolo oltre all’attività dell'Istituto in Cile. Non progetti faraonici, né fondazioni meravigliose, ma un paziente lavoro consistente nel “rinforzare i bastioni”, piuttosto che lanciarsi in imprese appariscenti. Soprattutto dando quadri canonici, nella fedeltà alla nostra specificità e nel rispetto delle leggi della Chiesa: garanzie di stabilità importanti, anche per evitare il ricorrente fenomeno per cui cattolici di linea tradizionale si sentono inibiti nella franchezza e costretti anche contro coscienza al servilismo, in ragione della carenza di protezione. Certo si potrebbe ampliare la nostra presenza in tanti altri Paesi, ma qui mi rivolgo ai sacerdoti, alcuni dei quali diocesani, che condividono appieno il carisma del Buon Pastore, ma che spesso mancano di quell’ “audacia” che permetta loro di fare una scelta non sempre gratificante nell’immediato, ma non nondimeno importante per la Chiesa : quanto possiamo fare dipende anche dalla forza che coloro che in coscienza condividono le nostre specificità scelgono e sceglieranno di darci; dipende dal libero arbitrio di ciascuno di loro.
Rinnovo il saluto ai presenti del superiore dell’Istituto e mio personale, ringraziandovi ancora per l’attenzione".
Don Stefano Carusi

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