Si dice che l'abito non fa il monaco, il che è vero, nel senso che non basta mettersi qualcosa addosso per cambiare vita o distinguersi esteriormente dal mondo per operare la propria conversione interiore. D'altra parte, è vero anche il contrario: abbandonare l'abito religioso o deformarlo a mero "segno di riconoscimento" (come il tesserino appuntato sul petto dagli addetti di qualche azienda) può significare due sole cose, entrambe negative: o la vergogna per un modo di essere che si cerca di nascondere ogni qual volta faccia comodo; o l'idea secondo cui tra i consacrati e i laici non vi sia alcuna differenza se non sul piano puramente accidentale. In ultima analisi, è un'indebolimento della fede, occultata o deformata, che provoca l'abbandono, se non addirittura il disprezzo, della veste sacra.
Non è mia intenzione, qui, analizzare minutamente le molteplici ragioni che giustificano l'uso, da parte dei consacrati, di un abito diverso dalle altre persone. Tuttavia, poiché oggi anche il semplice buon senso sembra vacillare, bisognerà per lo meno spendere una parola contro le obiezioni più frequenti.
2. Chiarezza, non finzione.
La prima è quella secondo cui il consacrato, vestendosi come chiunque, sarebbe più vicino alla gente, più capace di mettersi in relazione con loro. Ora, la chiarezza dei ruoli sta alla base del funzionamento di un rapporto. Nessuno, credo, per corteggiare una ragazza si vestirebbe da donna; e sarebbe ridicolo che il capo di un'azienda, per avere migliori relazioni coi propri operai, andasse a visitarli in tuta da lavoro. Anzi, nell'uno e nell'altro caso l'interlocutore si sentirebbe preso in giro dal tentativo di impostare il rapporto su un mezzo inganno. E reagirebbe o allontanando il dissimulatore oppure trattandolo con sufficienza, perché chi si vergogna di un modo di essere perfettamente legittimo non ha alcun diritto ad essere preso sul serio. Con questo cade la prima obiezione all'abito religioso: chi non lo porta per avvicinarsi alla gente, si rende, sia pure involonariamente, artefice di un inganno. Il consacrato deve avvicinare la gente come consacrato, non come finto laico.
3. Il falso spiritualismo si traduce in vero materialismo.
L'altra frequente obiezione viene formulata più o meno in questo modo: uno stato interiore e spirituale non ha bisogno di essere manifestato con segni esteriori e materiali. Distinguo: uno stato interiore e spirituale privato, che non ha riflessi visibili sulla propria condizione pubblica, non ha effettivamente bisogno di essere denotato esteriormente. Non si chiederà ad un laico che si è confessato e ha fatto la Comunione di appendersi una nastrino al collo per far sapere a tutti la grazia che ha ricevuto. Anzi, vantarsi dei propri meriti, ancorché spirituali, significa alienarsi, come dice il Vangelo, la ricompensa che essi avrebbero meritato nell'altra vita. Invece uno stato interiore e spirituale pubblico, che cioè muta la condizione pubblica di una persona, modificandone il suostatus, non solo può, ma deve essere manifestato con segni visibili. Ora, il conferimento dei sacri ordini è pubblico, come pubblico è l'ingresso in un istituto religioso mediante la solenne professione dei voti. È necessario, quindi, che il consacrato porti esteriormente un segno di questa sua condizione, che lo distingue dagli altri fedeli e che, essendo pubblica, dev'essere pubblicamente manifestata.
Certo, la sana filosofia ci insegna a subordinare il materiale allo spirituale. Sappiamo perfettamente che il segno esteriore ha senso nella misura in cui riflette uno stato interiore. Attribuire soverchia importanza al segno, a scapito della realtà che esso significa, vuol dire confondere il mezzo col fine, l'accidentale con l'essenziale. Ma nell'uomo, fatto di anima e di corpo, anche la parte materiale ha la sua importanza. È l'istituzione stessa dei Sacramenti a dimostrarcelo. Per veicolarci le sue grazie ex opere operato, nostro Signore avrebbe potuto scegliere qualunque mezzo, anche puramente spirituale. Invece ha deciso di legarle ad un segno tangibile, un segno che, pur essendo in se stesso materiale, produce infallibilmente una grazia spirituale. Perché questa scelta? Per la consapevolezza che l'uomo, non essendo un puro spirito (come gli Angeli), ha bisogno di segni sensibili per accedere più facilmente alle realtà insensibili (cioè non percepibili attraverso i sensi). Ho parlato dell'istituzione dei Sacramenti. Ma avrei potuto menzionare anche l'Incarnazione. Dio poteva redimerci in diversi modi. Se ha scelto di farlo assumendo l'umana natura, è per lo scopo delineato dal prefazio di Natale: "affinché, conoscendo Dio visibilmente, siamo rapiti alla contemplazione delle realtà invisibili".
Bisogna quindi tenersi egualmente lontani da due opposti eccessi: da un lato, quello del materialismo, che ordina l'inferiore (le realtà corporee) al superiore (le realtà spirituali), comportando il dileguo di queste ultime; e dall'altro quello, non meno deleterio, dello spiritualismo, che, pur riconoscendo la ragionevole supremazia delle realtà spirituali, finisce per misconoscere l'importanza di quelle materiali.
L'uomo, diceva Pascal, è un po' angelo e un po' bestia. Quando cerca di diventare solo angelo, finisce per diventare solo bestia. Il protestantesimo ha voluto trasformare la religione del Verbo incarnato in qualcosa di puramente spirituale, senza sacramenti, senza sacrificio, senza sacerdozio, in una parola senza segni visibili che producano la grazia invisibile. Dopo non molto tempo, questo innaturale spiritualismo si è trasformato nel suo contrario, cioè nell'esaltazione della materia a scapito dello spirito. E non può essere altrimenti. Sganciato da uno dei propri elementi costitutivi - il corpo - l'uomo tenta di librarsi nei puri cieli dello spirito; ma, come dice il Poeta, "sua disianza vuol volar sanz'ali", poiché l'uomo non è un angelo, anche se si sforza di diventarlo. Non nel senso che non possa raggiungere la purezza di un angelo o la santità di un angelo, ma nel senso che non può comportarsi come se non avesse anche una parte materiale, la quale, se non viene usata come mezzo di santificazione, finisce per assumere una propria autonomia, trasformandosi in mezzo di dannazione. Mi spiego con un esempio. Tutti abbiamo bisogno di mangiare: possiamo seguire ciecamente questo istinto, e ammalarci di indigestione; possiamo fingere che non esista, e morire di fame; oppure possiamo mangiare per saziarci, ossia ordinando la realtà corporale (l'istinto) alla realtà spirituale (la ragione). Ora, poiché gli aspiranti suicidi, grazie a Dio, sono pochissimi, le persone che negano al cibo qualunque utilità, piuttosto che morire di fame, finiranno per passare al versante diametralmente opposto, cioè a sostenere la necessità di assecondare irrazionalmente le proprie passioni. È il finto angelo che diventa vera bestia.
4. Tentazioni gnostiche.
L'utilizzo di un segno esteriore che denoti una condizione interiore è dunque connaturale all'essenza dell'uomo, il quale, come abbiamo visto, deve servirsi ragionevolmente delle realtà materiali in modo da ordinarle a quelle spirituali. Di qui la somma importanza dell'abito sacro. Esso, infatti, non si limita ad indicare una condizione qualsiasi, tra le tante che l'uomo può pubblicamente assumere, ma è il segno di uno stato di vita diverso e distinto da quello delle altre persone. In quanto stato, tale condizione non viene mai abbandonata, neppure temporaneamente. Il consacrato non è tale solo quanto è in servizio: per questo i sacerdoti o i religiosi che usano la veste sacra solo durante le funzioni sono da biasimare non meno di quelli che non la usano mai. Anzi, forse sono da biasimare di più, perché, oltre a fraintendere il significato del segno, lo sviliscono a puro elemento di esibizione, come se il sacerdote non avesse alcun bisogno dell'abito e lo indossasse solamente per non deludere gli innocenti e puerili desideri del popolo. Chi si comporta così, riconosce il principio, sopra esposto, secondo cui le cose sensibili vanno utilizzate per favorire la contemplazione delle cose soprasensibili; ma ne limita l'applicazione ad alcune categorie di persone: il popolo, semplice e istintivo, ha bisogno di questi segni; i sacerdoti, i dotti, le persone colte, no. Non è difficile riconoscere in questo una forma velata di gnosi: l'accesso ad una forma di conoscenza riservata a pochi crea l'illusione di trascendere la natura umana, di non aver bisogno di ciò di cui tutti hanno bisogno. Inutile far rilevare come, alla resa dei conti, i consacrati che seguono questo tipo di ragionamento, quando non usano la veste, lo fanno per i discutibili motivi di cui abbiamo parlato all'inizio del presente articolo, se non addirittura per ragioni ancor meno onorevoli. È, ancora una volta, l'angelo (anche se stavolta restringe la possibilità di de-materializzarsi ad una ristretta cerchia di privilegiati) che si rivela bestia.
In realtà, il consacrato è il primo ad aver bisogno della veste sacra, è il primo ad aver bisogno di un segno esteriore che gli ricordi, anche quando sarebbe più propenso a dimenticarlo, il suo stato di vita. La natura umana, come ben sappiamo, non è distrutta dalla grazia; tanto meno è distrutta dalla conoscenza di certe nozioni o dall'assunzione di uno stato di vita (gnosi). Da questo punto di vista, il sacerdote è un uomo come tutti gli altri, bisognoso, anche lui, di ordinare il corpo mediante il ragionevole utilizzo delle realtà sensibili. Per questo le costituzioni degli Ordini religiosi, fino alla recenti riforme, ordinavano al consacrato di non deporre mai la sacra veste: perfino durante la notte, se non si usava l'abito intero (distinto, ovviamente, da quello impiegato durante il giorno), bisognava portare l'abitino, ossia un piccolo scapolare dello stesso tessuto e colore della veste sacra. Il terzo Concilio plenario di Baltimora stabiliva che i sacerdoti potevano indossare il clergyman solo all'esterno (come d'abitudine nei paesi anglosassoni), mentre in chiesa e in casa (cioè anche nel privato) doveva tassativamente portare la talare. In molti seminari, i candidati ai sacri ordini dormivano con l'abito talare piegato e deposto sul petto: non si trattava, come alcuni vorrebbero, di un semplice memento mori, ma della logica applicazione del principio secondo cui l'abito religioso serve anzitutto al sacerdote per riconoscere se stesso. Nei bui momenti di sconforto, di scoraggiamento, di tentazione, quando la volontà interiore è meno propensa a ricordarsi degli impegni assunti e delle scelte fatte, è spesso un segno esteriore che ci richiama alla realtà e ci salva. Riconoscere questo, non significa trasformare l'uomo in un eterno fanciullo, sempre bisognoso di qualcuno o qualcosa che lo controlli; significa piuttosto prendere atto della natura intima dell'uomo (in cui l'angelo, in alcuni momenti, rischia di essere soppiantato dalla bestia) e predisporre gli opportuni rimedi. Di qui la necessità di usare la veste sacra come memento al consacrato del suo modo di essere. In questo stessa senso va inquadrata la prassi di portare la tonsura o chierica nei capelli, la quale peraltro, a differenza della veste, non poteva essere neppure deposta. L'abito non fa il monaco, ma aiuta ad esserlo.
5. Dignità e bellezza.
C'è poi un'ultima questione da affrontare. Secondo alcuni, il sacerdote deve sì essere identificabile come tale, ma per ottenere questo scopo basta un "segno di riconoscimento" qualsiasi: una crocetta, un tau, un colletto, qualunque cosa possa alludere alla sua funzione. Osserviamo, anzitutto, che un segno, per essere riconoscibile, dev'essere univoco: quindi, parlare di un "segno di riconoscimento" senza stabilire esplicitamente quale, non ha alcun senso. Oggi siamo arrivati al paradosso di sacerdoti i quali pensano di essere riconosciuti per una sorta di telepatia interiore, come se il loro modo di essere ce l'avessero scritto in faccia. Né c'è da stupirsene, visto che alludere ad un "segno di riconoscimento" senza definirlo, significa lasciare aperto il campo alle più disparate interpretazioni, anche a quelle telepatico-sensitive. In secondo luogo, un segno, per essere efficace, deve avere una qualche relazione evidente ed immediata (analogia) con la realtà che vuole significare. Ora, è indubbio che la veste sacra, per il fatto di avvolgere interamente chi la porta, rimanda in modo assai efficace al fatto della totale consacrazione a Dio. Il consacrato, anche esteriormente, è rivestito di Cristo. La sua separazione dal mondo (che non significa estraneità, visto che, tolti i casi di vita assolutamente contemplativa, continua in vario modo ad operare nel mondo) è denotata dall'uso di vesti radicalmente diverse da quelle comuni. I colori sobri e le stoffe poco pregiate rimandano alla scelta dell'umiltà e, per chi ne ha fatto voto, della povertà. Secondo la stessa logica, i Prelati, in ragione del proprio ruolo, indossano vesti dai colori e dai tessuti più preziosi. E tutto questo, senza considerare le simbologie proprie degli abiti dei singoli istituti, ricchissime di significati teologici e spirituali. Come, celebrando la Messa, il sacerdote - anche esteriormente - si spoglia di se stesso e si riveste di Cristo, così nella sua vita quotidiana il consacrato, che ha rinunciato a se stesso abbracciando un determinato stato di vita, deve testimoniare - anche esteriormente - la sua intima identificazione col Salvatore.
Per questo la veste sacra non dev'essere priva di una sua dignità estetica. Trascurare questo aspetto in nome della comodità o del funzionalismo, significa eleminare od oscurare la corrispondenza analogica tra simbolo e significato. Non di rado, oggi, vediamo abiti religiosi striminziti e di tessuto sottilissimo, che lasciano trasparire le vesti borghesi sottostanti e che sembano fatti apposta per essere frettolosamente indossati quando ci si reca ad una funzione o si esce di casa. Nulla a che vedere rispetto alle vesti ampie, nobili e dignitose, ancorché poverissime, che si usavano prima delle recenti riforme. Le modifiche più notevoli si sono avute negli abiti delle religiose: ai lungi veli, ai soggoli inamidati, alle ampie gonne che scendevano fino al ginocchio, alle cinture, agli scapolari (cose, tavolta, di forma originale o insolita, ma sempre degne di una sposa di Cristo e comunque munite di una loro storia e di un loro significato), si sono sostituiti dei ridicoli tailleur stile anni Cinquanta, con gonna al ginocchio e giacchetta stilizzata. D'estate non è raro vedere le mezze maniche. Il soggolo è completamente scomparso e il velo si è trasformato in un esile fazzoletto, che lascia intravedere più capelli di quanti ne compra. Non è difficile scorgere, in queste stilizzazioni, il passaggio dall'abito come segno "escatologico", la cui forma suggerisce la realtà che è chiamata a significare, all'abito come segno "di riconoscimento", dotato di una funzione puramente convenzionale. E tutto questo senza tener conto delle conseguenze psicologiche di simili scelte: infatti, stilizzare o trascurare il segno che denota il proprio modo di essere, viene comunemente interpretato come negligenza e disinteresse verso il modo di essere in quanto tale.
6. Considerazioni finali.
Concludo con un tentativo di sintesi. L'abito religioso è il segno esteriore di una realtà interiore. Esso non è coessenziale a questa realtà, nel senso che non è indispensabile affinché questa esista (l'abito non fa il monaco), ma ne è la legittima espressione, conformemente alla natura dell'uomo, che essendo composto di anima e di corpo ha bisogno di servirsi delle cose visibili per cogliere meglio quelle invisibili (l'abito aiuta ad essere monaco). Spogliarsi del segno esteriore non implica la cessazione della realtà interiore; ma è visto dagli altri o come un suo svilimento (vergogna per ciò che si è) o come un tentativo di inganno (fingersi ciò che non si è). Quindi non è in alcun modo funzionale alle relazioni col prossimo, che, al contrario, hanno come presupposto la chiarezza, anche esteriore, dei ruoli. Queste considerazioni, se valgono per il prossimo, valgono a maggior ragione per il consacrato stesso, il quale, per primo, ha bisogno di un segno che gli ricordi sempre, anche quando sarebbe più propenso a scordarlo, la propria condizione. In quanto simbolo (realtà materiale che allude ad una realtà spirituale), la veste sacra deve avere una corrispondenza analogica con ciò che significa: in altre parole, deve in qualche modo rimandare, nel colore e nella forma, alle caratteristiche dello stato di vita che è chiamata a rappresentare. I segni di riconoscimento convenzionali (crocette, colletti, tau), come pure gli abiti stilizzati e imbruttiti che hanno rimpiazzato le dignitose vesti tradizionali, non soddisfano questo requisito, quindi sono da scartare. Essi denotano, tutt'al più, una funzione (come quella di un impiegato che porti un cartellino di riconoscimento), ma non un modo di essere: non sono sufficienti a fare della veste religiosa quel "segno escatologico" di cui parlano gli autori di spiritualità. Anzi, a causa della loro bruttezza ed ordinarietà, finiscono per svilire, a livello psicologico, anche la realtà che significano.
L'esperienza dimostra quanto abbiamo tentato di spiegare a parole. Nel corso della storia, l'abbandono della veste sacra è sempre coinciso con periodi di forte decadenza spirituale. Ad avere in uggia la forma tradizionale dell'abito sacro erano, per esempio, i chierici frivoli e libertini del XVIII secolo. Quanto al clero moderno, l'ostentata noncuranza nei confronti dei segni esteriori fa riscontro ad una mondanizzazione e ad una crisi d'identità (disciplinare e dottrinale) senza precedenti.
Del resto, la decadenza della religiosità esteriore è, ad un tempo, causa ed effetto della decadenza della religiosità interiore, poiché la mente umana è fatta in modo tale da conoscere invisibilia per visibilia. Trascurando il segno visibile, si finisce a poco a poco per perdere il contatto con la realtà invisibile da esso rappresentata. Parallelamente, chi non è più in grado di cogliere adeguatamente le cose spirituali non avverte più il bisogno di esprimerle in forma materiale. Si tratta di un circolo vizioso (abyssus clamat abyssum), dal quale è possibile uscire solo col recupero dei sani concetti della filosofia e della teologia tradizionali e col ritorno alla secolare prassi della Chiesa cattolica.
Daniele Di Sorco, via Facebook.
Grazie Daniele per questo tuo post.
RispondiEliminaGrazie Daniele per questo tuo post.
RispondiEliminaConcordo: questo post è semplicemente eccellente. Grazie. I.P.
RispondiEliminaSplendido !!!! Fortunatamente il mio parroco la porta con fierezza !!!! Per la precisione ha 45 anni !
RispondiEliminaIn Italia si dice "L'abito non fa il monaco". Si tratta di un adagio nato nel XVIII Secolo, quando la talare la indossavano anche gli universitari. In Germania, invece si dice:"L'abito FA il monaco"
RispondiEliminaIl clergyman e' un abito protestante, cosi' come molte altre abitudini che inspiegabilmente nella Chiesa Cattolica vengono introdotte come cose moderne quando invece si rifanno al protestantesimo che e' un'eresia scismatica dichiarata tale dal Magistero e dal Concilio di Trento e vecchia di 500 anni e quindi e' tradizione scismatica ed eretica di origine tedesca e quindi fuori e lontana da Roma ed anche "vecchia". Cosi' come la Messa NO e molti sacramenti sono stati rivisitati in chiave protestante scismatica. Indi per cui se Ubi Petrus ibi Ecclesia, si potrebbe affermare che UBI LUTERO IBI ERESIA( e scisma). Pertanto se 2+2=4 si puo' dire che il modernismo postconciliare sta cercando di cambiare la Chiesa Cattolica in protestante e quindi consuma silenziosamente uno scisma eretico al suo interno . Pertanto, se l'eresia diventa regola andrebbe scomunicata e non la "Tradizione Cattolica" deve essere scomunicata ed additata come scismatica. Pertanto non solo vale Ubi Petrus ibi Ecclesia...ma anche , non conoscendo il latino, DOVE SONO I SACRAMENTI E LA TRADIZIONE CATTOLICA ....IBI ECCLESIA. Pertanto UBI LUTERO, NON C'E CHIESA CATTOLICA- Mi scuso per la mia ignoranza sul latino. Se andate in una Chiesa , anche se giuridicamente sotto Roma ed il Papa, ma i Sacramenti vengono male amministrati , l'architettura della Chiesa non e' Cattolica, il Prete non veste da Cattolico e non fa' omelie Cattoliche...ergo, andate via, non c'e' Chiesa Cattolica.! Che sia anatema come insegna S. Paolo ed il Concilio di Trento che non e' stato annuallato dal CV2. Il Tempio e Pietro sono stati usurpati!
RispondiEliminaEppure ne conosco di sacerdoti che sono diventati "anonimi " non portando nenmmeno in clergyman !!!! se non li conoscessi non direi che sono presbiteri !!!!!!
RispondiEliminaL'abito non fa il monaco, ma il monaco deve portare l'abito...
RispondiElimina<span>L'abito e la talare non sono lo stesso.</span>
RispondiEliminaIo ne conosco uno che va' in giro con giubbotto di pelle, jeans , cappello a falde e Golf GTI , ho assistito a sue catechesi dove guarda caso parlavamo sempre noi....ognuno dava la sua interpretazione da buon protestante. Pertanto, tutto cio' ha origini protestanti, siamo tutti sacerdoti, non deve esserci distinzione tra clero e battezzati, ognuno puo' farsi pastore e quindi Papa. Il porco Sassone, come veniva chiamato Lutero dai suoi conterranei e' all'inferno pero'! "Lui affermava che neanche gli angeli potevano contestare la sua dottrina".....superbia pura.
RispondiEliminaNel 1883 Suor Maria Serafina Micheli (1849-1911) che sarà beatificata a Faicchio in provincia di Benevento e diocesi di Cerreto Sannita il 28 maggio 2011, si trovava a passare per Eisleben, nella Sassonia, città natale di Lutero in occasione del centenario della sua nascita. Trovando una Chiesa chiusa , si mise a pregare sugli scalini, ma un angelo la avviso' dicendo che era un tempio luterano protestante e le fece vedere Lutero all'inferno nei suoi patimenti. ED A NOI CI VOGLIONO PROPINARE TALI ERESIE COME LECCORNIE , NOVITA' MODERNE?
Chiederei a qualche ben informato se il clergyman non sia l'evoluzione storica del c.d. abito della curtis, previsto ab antiquo anche per il clero cattolico.
RispondiEliminaGrazie per le informazini che vorrete darmi.
tra mucchi di "rovi", finalmente spunta una piccola "rosa".
RispondiEliminaComplimenti!
Da che la santa Sede ha dichiarato abito religioso sia la talare che il clergymen quest'ultimo ha ricevuto una specie di 'sanatio in radice' = è diventato uno dei due possibili abiti del sacerdote cattolico.
RispondiEliminaSe ciò non fosse anche la talare potrebbe essere scambiata con l'abito dei sacerdoti dell'antico testamento o dei nobili o degli universitari, come è stato detto; analogamente per la dalmatica che, prima di essere abito liturgico del diacono, era l'abito di alcuni imperatori romani (per esempio Diocleziano che, quanda caso, veniva dalla Dalmazia); e gli esempi potrebbero moltiplicarsi.
Di fatto l'abito piàno (la talare nella forma attuale voluta appunto da papa Pio IX) e il clergymen rappresentano L'ABITO RELIGIOSO PER I SACERDOTI DIOCESANI.
Purtroppo, potevano ispirarsi a qualcos'altro non crede? C'era bisogno di copiare i clergyman protestanti? Cosi che entrambe si confondano, Cattolici e Protestanti? Come mai il Protestantesimo e' fonte di ispirazione? Non si poteva ispirarsi a qualcos'altro?E' un caso che il Protestantesimo sia un 'eresia scismatica?
RispondiEliminaAnche la Comunione sulla mano, e' Protestante. Fu' un abuso in Olanda e poi ci fu' l'indulto di Paolo VI . Vogliamo dire che ora va' tutto bene ed e' una cosa giusta poiche ora si puo' prendere la Comunione in entrambe i casi, nella bocca e nella mano spargendo particole ovunque? Tutto bene? Tutto giusto?Ma non fu' lui a giurare all'incoronazione che non avrebbe cambiato niente ed avrebbe dovuto emendare ogni cambiamento? Allora ? Dire che di fatto ora si fa' cosi' non significa che sia giusto.
RispondiEliminaPERDONATE LA NOTIZIA non propriamente OT ma assai curiosa....
RispondiEliminail 23 gennaio 2011 un cardinale pianta un albero a san Paolo fuori le mura in onore di Lutero.....
ma...il 28 maggio 2011 SUOR MARIA SERAFINI MICHELA....-1849-1911 - SARà BEATIFICATA A BENEVENTO.....
dove sta la curiosità?
che questa Suora ebbe la visione di LUTERO IN UN INFERNO.....
Nel 1883 Suor Maria Serafina Micheli (1849-1911) che sarà beatificata a Faicchio in provincia di Benevento e diocesi di Cerreto Sannita il 28 maggio 2011, fondatrice dell’Istituto delle Suore degli Angeli, si trovava a passare per Eisleben, nella Sassonia, città natale di Lutero. Si festeggiava, in quel giorno, il quarto centenario della nascita del grande eretico ( 10 novembre 1483) che spaccò l’Europa e la Chiesa in due, perciò le strade erano affollate, i balconi imbandierati. Tra le numerose autorità presenti si aspettava, da un momento all’altro, anche l’arrivo dell’imprenditore Guglielmo I, che avrebbe presieduto alle solenni celebrazioni. La futura beata, pur notando il grande trambusto non era interessata a sapere il perché di quell’insolita animazione, l’unico suo desiderio era quello di cercare una chiesa e pregare per poter fare una visita a Gesù Sacramentato. Dopo aver camminato per diverso tempo, finalmente, ne trovò una, ma le porte ...
... erano chiuse. Si inginocchiò ugualmente sui gradini d’accesso, per fare le sue orazioni. Essendo di sera, non s’era accorta che non era una chiesa cattolica, ma protestante. Mentre pregava le comparve l’angelo custode, che le disse: “ Alzati, perché questo è un tempio protestante”. Poi le soggiunse: “Ma io voglio farti vedere il luogo dove Martin Lutero è condannato e la pena che subisce in castigo del suo orgoglio”.
Dopo queste parole vide un’orribile voragine di fuoco, in cui venivano crudelmente tormentate un incalcolabile numero di anime. Nel fondo di questa voragine v’era un uomo, Martin Lutero, che si distingueva dagli altri: era circondato da demoni che lo costringevano a stare in ginocchio e tutti, muniti di martelli, si sforzavano, ma invano, di conficcargli nella testa un grosso chiodo. La suora pensava: se il popolo in festa vedesse questa scena drammatica, certamente non tributerebbe onori, ricordi, commemorazioni e festeggiamenti per un tale personaggio. In seguito, quando le si presentava l’occasione ricordava alle sue consorelle di vivere nell’umiltà e nel nascondimento. Era convinta che Martin Lutero fosse punito nell’Inferno soprattutto per il primo peccato capitale, la superbia.
L’orgoglio lo fece cadere nel peccato capitale, lo condusse all’aperta ribellione contro la Chiesa Cattolica Romana. La sua condotta, il suo atteggiamento nei riguardi della Chiesa e la sua predicazione furono determinanti per traviare e portare tante anime superficiali ed incaute all’eterna rovina. Se vogliamo evitare l’Inferno viviamo nell’umiltà. Accettiamo di non essere considerati, valutati e stimati da quelli che ci conoscono. Non lamentiamoci, quando veniamo trascurati o siamo posposti ad altri che pensiamo siano meno degni di noi. Non critichiamo mai, per nessun motivo, l’operato di coloro che ci circondano. Se giudicheremo gli altri, non siamo neppure cristiani. Se giudichiamo gli altri, non siamo neppure noi stessi.
Confidiamo sempre nella grazia di Dio e non in noi stessi. Non preoccupiamoci eccessivamente della nostra fragilità, ma del nostro orgoglio e presunzione. Diciamo spesso col salmista: “Signore, non si inorgoglisce il mio cuore e non si leva con superbia il mio sguardo; non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze” (Salm. [...]
Segnalo agli amici di MiL un mio articolo che potete riprendere tranquillamente per il sito:
RispondiEliminahttp://www.papanews.it/dettaglio_approfondimenti.asp?IdNews=8746
il titolo dell'articolo è: <span>Disobbedienti alla Chiesa i chierici che non indossano l'abito ecclesiastico</span>
RispondiEliminaGent. Pastor Ille, il suo commento non vuol dire assolutamente nulla.
RispondiEliminarivalutazione del corpo umano? ah sì, è vero, lo affermava anche Gesù Cristo quando diceva "se il tuo occhio t'è cagion di scandalo, strappalo e gettalo via"!
RispondiEliminaSegnalo questo articolo in due parti sull'abito ecclesiastico nella Roma del XIX secolo:
RispondiEliminaClerical Dress in the City of Rome in the 19th Century (Part 1 of 2)
Clerical Dress in the City of Rome in the 19th Century (Part 2 of 2)
E` curioso come la talare era l'abito da cerimonia, mentre per la vita di tutti i giorni venivano usati altri abiti, sempre distinti da quelli dei laici.
<span>"Io ne conosco uno che va' in giro con giubbotto di pelle, jeans , cappello a falde e Golf GTI" </span><span>chi è, Chuck Norris???
RispondiElimina</span>
Veramente il clergyman non è mai stato equiparato alla talare, tant'è vero che quest'ultima rimane obbligatoria nelle funzioni liturgiche e in tutte le circostanze in cui il sacerdote eserciti funzioni di ordine o di giurisdizione. L'uso del clergyman da parte del clero cattolico era una eccezione, tollerata soltanto nei paesi acattolici quando il sacerdote si trovava fuori casa o doveva compiere attività che non avevano a che vedere col suo ministero. Ciò non toglie che esso sia un abito civile, e quindi non possa essere usato (come ben precisa un decreto CEI del 1966) in contesti liturgici o comunque ministeriali.
RispondiEliminaChiamare "rivalutazione" (come se la dottrina cattolica avesse invece svalutato) l'indegno mercimonio che si fa oggi del corpo umano significa semplicemente aver perso (o non aver mai avuto) "il ben dell'intelletto".
RispondiEliminaUno dei non piccoli meriti del beato Pio IX fu quello di aver promosso, anche nell'abito, la santità e la dignità del clero, rendendo obbligatorio l'uso quotidiano della talare.
RispondiEliminal'abito corto o abito di abbate era usato in circostanze ufficiale dagli stessi Cardinali secolari, per esempio per le udienze private con il Papa, per ricevere le visite di calore, e in molti altri casi fino all'invenzione dell'abito detto appunto "piano", reso obbligatorio per le udienze private e esteso a quelle pubbliche dopo il 1870. Così l'abito corto finì per scomparire del tutto, benché fosse ancora usato da gente come il Card. Antonelli o il Card. Mertel fino a fine Ottocento. Queste cose inserite in un contesto cerimoniale preciso e regolato come quello romano hanno senso, citarle così per dire che è "come il clergyman" è un po' diverso
RispondiEliminatra l'altro, gli stessi cardinali portavano invece in casa, nella vita quotidiana, l'abito talare nero a bottoni rossi con la zimarra (e senza fascia ovviamente), che poi Pio IX "prese" per il suo abito piano.
RispondiElimina<span>Desidero aggiungere anche un'altra considerazione a quanto ho già scritto. L'articolo di Padre Augè non aggiunge nulla a ciò che già si sapeva. Lo dice lui stesso: "</span><span>Non pretendo dare una risposta dettagliata ed esauriente alla problematica dell’abito religioso". Egli rimane nel vago e non entra nella concretezza perche da una parte sa che la Chiesa ha una prassi e uno stile propri che non può tenere nascosti, <span> </span>ma dall’altra sa che se scrivesse concretamente qual è l’abito dei chierici, molto probabilmente alcuni suoi lettori metterebbero in dubbio la sua fama di liturgista equilibrato tendente al moderno che mostra di essere. </span><span></span>
RispondiElimina<span>Desidero aggiungere anche un'altra considerazione a quanto ho già scritto. L'articolo di Padre Augè non aggiunge nulla a ciò che già si sapeva. Lo dice lui stesso: "</span><span>Non pretendo dare una risposta dettagliata ed esauriente alla problematica dell’abito religioso". Egli rimane nel vago e non entra nella concretezza dell’argomento per ovvi motivi. </span><span></span>
RispondiEliminaCos'è la "zimarra"?
RispondiEliminaQuesto sguardo mi consola!
RispondiEliminahttp://it.gloria.tv/?media=98244
E' il lungo soprabito dei sacerdoti che si porta sopra alla veste....
RispondiEliminaora si fa così perchè così è disposto dalla Chiesa
RispondiEliminama un angelo la avviso' dicendo che era un tempio luterano protestante e le fece vedere Lutero all'inferno nei suoi patimenti....
RispondiEliminae tu credi alle favole?
se crediamo che la suora sia innalzata agli altari perchè ha avuto una visione.... andiamo proprio bene!
RispondiEliminaCIRCOLO VIZIOSO
RispondiElimina<span>* la decadenza della religiosità esteriore è, ad un tempo, causa ed effetto della decadenza della religiosità interiore, poiché la mente umana è fatta in modo tale da conoscere invisibilia per visibilia.</span>
<span>* Trascurando il segno visibile, si finisce a poco a poco per perdere il contatto con la realtà invisibile da esso rappresentata. Parallelamente, chi non è più in grado di cogliere adeguatamente le cose spirituali non avverte più il bisogno di esprimerle in forma materiale.</span>
ancora una volta:
LEX ORANDI -> LEX CREDENDI
la causa iniziale dell'abbandono: "<span>In ultima analisi, è un'<span>indebolimento della fede, </span>occultata o deformata, che provoca l'abbandono, se non addirittura il disprezzo, della veste sacra."</span>
<span>CIRCOLO VIZIOSO
RispondiElimina<span>* </span>la decadenza della religiosità esteriore è, ad un tempo, causa ed effetto della decadenza della religiosità interiore, poiché la mente umana è fatta in modo tale da conoscere invisibilia per visibilia.
<span>* </span>Trascurando il segno visibile, si finisce a poco a poco per perdere il contatto con la realtà invisibile da esso rappresentata. Parallelamente, chi non è più in grado di cogliere adeguatamente le cose spirituali non avverte più il bisogno di esprimerle in forma materiale.
ancora una volta:
LEX ORANDI -> LEX CREDENDI
la causa iniziale dell'abbandono: </span>
<span> "<span>In ultima analisi, è un'<span>indebolimento della fede, </span>occultata o deformata, che provoca l'abbandono, se non addirittura il disprezzo, della veste sacra."</span></span>
Vedere un sacerdote in talare ti apre il cuore! A chi viene voglia di confessarsi da uno vestito da muratore o da impiegato? E poi l'abito aiuta ad identificare la persona, il suo ruolo. Gli infermieri, i medici sono ben riconoscibili fortunatamente, e da loro si va per curare il corpo, dunque ancora più riconoscibile deve essere colui che salva le anime. Quante volte mi è capitato di entrare in una chiesa e chiedendo al sagrestano se c'era il sacerdote, il sagrestano mi rivelava di essere lui il sacerdote? A volte temo di incontrare una perpetua e chiedendo a lei se c'è il sacerdote.......... =-O .
RispondiEliminaMia moglie insegna etica ai futuri infermieri in una sezione dell'università di Milano ed ha utilizzato proprio il brano del Cardinal Siri per spiegare loro l'importanza dell'abito, della divisa per aiutarsi a mantenere sempre la correttezza dei propri comportamenti e per essere punti di riferimento affidabili ericonoscibili.
RispondiEliminaE' una tristezza andare in certi oratori in questa disgraziata diocesi di Milano e vedere come si "nascondono" certi preti che dovrebbero seguire ed aiutare i nostri figli ...
Il bello poi è che a causa dei preti che non vogliono mettere la talare, si obbliga pure i seminaristi a non metterla. Mica vorranno fare gli sfrontati difronte ai loro professori senza talare!
RispondiEliminaTalare, divisa, uniforme! La talare è qualcosa di più, qualcosa più simile all'uniforme, la divisa infatti divide, l'uniforme invece uniforma rende simili coloro che l'indossano, simili in che cosa e a che cosa? Simili nel servizio, simili nella testimonianza, simili nell'appartenenza, simili nell'umiltà, simili nella purezza, simili nella fede, nella speranza, nella carità! Insomma la talare è l'abito di colui che si fa povero tra i poveri come Gesù e come coloro che meglio l'hanno imitato, il Santo curato d'Ars, S.Giovanni Bosco, Mons. Romero e tanti ancora che non hanno disdegnato di rendersi realmente simili a Cristo!
RispondiEliminaTalare, divisa, uniforme! La talare è qualcosa di più, qualcosa più simile all'uniforme, la divisa infatti divide, l'uniforme invece uniforma rende simili coloro che l'indossano, simili in che cosa e a che cosa? Simili nel servizio, simili nella testimonianza, simili nell'appartenenza, simili nell'umiltà, simili nella purezza, simili nella fede, nella speranza, nella carità! Insomma la talare è l'abito di colui che si fa povero tra i poveri come Gesù e come coloro che meglio l'hanno imitato, il Santo curato d'Ars, S.Giovanni Bosco, Mons. Romero e tanti ancora che non hanno disdegnato di rendersi realmente simili a Cristo!
RispondiEliminaTalare, divisa, uniforme! La talare è qualcosa di più, qualcosa più simile all'uniforme, la divisa infatti divide, l'uniforme invece uniforma rende simili coloro che l'indossano, simili in che cosa e a che cosa? Simili nel servizio, simili nella testimonianza, simili nell'appartenenza, simili nell'umiltà, simili nella purezza, simili nella fede, nella speranza, nella carità! Insomma la talare è l'abito di colui che si fa povero tra i poveri come Gesù e come coloro che meglio l'hanno imitato, il Santo curato d'Ars, S.Giovanni Bosco, Mons. Romero e tanti ancora che non hanno disdegnato di rendersi realmente simili a Cristo!
RispondiEliminac
RispondiEliminaDon Achille Maria
RispondiEliminaDica piuttosto che non ha voglia di portarla la Talare.
Comunque il clergimen è da protestanti.
E chi non porta la Talare si vuole nascondere solo dietro un dito !
La Talare è l'ABITO DEL SACERDOTE MILITE DELLA CHIESA MILITANTE di cui noi in terra siamo mebri e dobbiamo esserne parte attiva.
E' forse questo l'abito corto? Link: http://1.bp.blogspot.com/-HAd1CysMwN4/TWYuvkBS-rI/AAAAAAAAQyw/F08V505jCZs/s1600/1communion%2Bto%2Bthe%2Bsick.JPG
RispondiEliminaBlog: http://orbiscatholicussecundus.blogspot.com/
Dio creò l'uomo a sua immagine;
RispondiEliminaa immagine di Dio lo creò;
...
Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona.
Ma dove e' scritto che la suora viene beatificata per la visione? Possibile che si debba dare una lettura difforme trovando affermazioni inesistenti ? e, circa l'abito... bella rivalutazione del corpo umano; invece di qualcosa di semplice e di dignitoso che esprime anche una presenza, vediamo certe sciatterie che spesso mettono in mostra anche gli aspetti certamente non estetici (...pancia...). Vorrei rilevare , poi, come i preti in borghese non si chiedano come in certi regimi sia vietato di indossare l'abito religioso e in genere di quale orientamento siano tali regimi .
RispondiEliminaArieccoci con P. Augè.... Dài, ragazzi , andiamo avanti.
RispondiEliminaIl postconcilio -cui siamo chiamati a porre rimedio- è cosa vecchia, stantìa.
E veramente risibile è la critica che multinick -mi pare- no scusate era pastor ille, rivolge all'articolo.
L'"aggiornamento" è un concetto perdente nei fatti e stantio; lasciamo che vi ci si gruogiolino gli attempati presbiteri intossicati d'ideologia che scambiano il più buio temporale per la ridente primavera.
Procul hic sit gravitas turbae senioris
enim haec festivitas cleri iunioris!
Condivido pienamente il contenuto di questo articolo. Ringrazio sentitamente l'autore. Mi augurerei che lo prendessero in seria considerazione tutti i consacrati.
RispondiEliminano quella è una specie di sottanella che in qualche paese si usava per viaggiare a piedi in strade sterrate. Ci sono perfino immagini di san Carlo in sottanella rossa, rocchetto e mozzetta in giro per le sue visite pastorali in quella tenuta
RispondiEliminasi vedono facilemente immagini di don Bosco in sottana e zimarra. La zimarra a un certo punto si unì alla talare, diventando la veste con soprammaniche e pellegrina che tutt'oggi portano il Papa e i Vescovi (ad esclusione di altri, per decreto di Pio XI)
RispondiEliminaRingrazio anch'io per l'articolo.
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