Il Maestro Muti parla dello stato miserevole dell'attuale musica ex sacra. Si percepisce chiaramente che a parlare non è solo il raffinato direttore d'orchestra, ma il cattolico, cresciuto in una famiglia cattolica, che contempla le rovine musicali del Tempio di Gerusalemme devastate dai barbari di Babilonia. Ecco l'articolo apparso ieri su Il Corriere della Sera. Leggeremo dopo la replica odierna dell'Osservatore romano dove, fatta qualche concessione anche sostanziale agli argomenti del Maestro, si giustifica di fatto l'abietto andazzo attuale, con la scusa (solita) che la liturgia non è roba da pochi esteti e che il popolo non è sufficientemente 'educato'. Come se nel Settecento, una delle epoche più felici per la musica sacra, tutto il popolino fosse alfabetizzato; o come se l'educazione dei fedeli non cominciasse proprio dalla proposizione, del tutto mancante oggi, di modelli musicali 'alti', che sono comunque in grado di parlare direttamente a tutti, senza bisogno di mediazioni intellettuali e concettuali (a differenza proprio di cert'arte moderna - pensiamo all'astrattismo iconografico o all'"astrusismo" architettonico - per la quale invece il problema della preparazione culturale dei fedeli nessuno in alto loco se la pone). Non è però con le ireniche esortazioni, pur condivisibili, dell'Osservatore romano ("si diffonda il più possibile la musica colta e l'arte in generale") che cambierà qualcosa. Perché non cominicare, ad esempio, ad imporre l'uso dell'organo, della polifonia e del gregoriano, nelle cattedrali, se non nelle parrocchie principali?
Enrico
Muti: no al malcostume degli strimpellatori
di Valerio CAPPELLI
NAPOLI - Ma qual è oggi la missione, artistica e sociale, della musica di Dio? Riccardo Muti domani riapre il San Carlo di Napoli con l' Ouverture in sol maggiore di Cherubini «la sua unica da concerto», l' Incompiuta di Schubert «carica di spiritualità e di introspezione» e lo Stabat Mater di Rossini, «un omaggio al teatro di cui fu direttore». La Chiesa, con l' aristocrazia, in passato fu motore del mecenatismo, laddove la musica doveva essere funzionale al rito. Oggi il repertorio sacro arranca nel dialogo coi fedeli. La critica viene anche dall' interno, monsignor Ravasi, papa Ratzinger. Muti: «Io ho denunciato questo costume, che definisco malcostume, di suonare canzoncine banali accompagnate da strimpellatori, con testi vuoti di significato e profondità in luoghi dove allora sarebbe meglio il silenzio per raggiungere un senso di congiungimento col divino. Se si pensa alla forza genuina e trascinante che hanno i gospel afro-americani... È una cosa molto grave, e mi stupisco che i preti disattendano i moniti di Benedetto XVI, molte chiese sono dotate di organi che potrebbero essere suonati da qualsiasi allievo di conservatorio. È un segno di decadimento della società o di coloro che dovrebbero sovrintendere a questo mes
saggio? Nelle nostre chiese una volta risuonavano Orlando di Lasso, Marenzio, Palestrina. Oggi è interessante Arvo Pärt. Eppure...». Muti è reduce dal Moïse et Pharaon: «Su sei recite, ho bissato per cinque volte la preghiera finale. Perché quel pezzo e non altri di maggiore effetto? C' è nel pubblico un bisogno di spiritualità. Seguiamo passivi i tg con gli adolescenti che scompaiono nel nulla o le stragi, ma è rimasta la voglia di un mondo di pace, ed è la musica che ci riporta a una dimensione trascendente. Fin dagli uomini primitivi, è il veicolo di comunicazione più immediato col cielo, con un' entità superiore; c' è un senso di religiosità connesso al canto e al ritmo, nel sentimento che porta a Dio, sia nel senso del mistero e del dolore che nella gioia». «Poi il canto confluì in forme più complesse, il contrappunto fiammingo trovò una distensione melodica in Italia tra madrigali e mottetti. La Chiesa, dapprima col gregoriano, favorì i compositori. I due Gabrieli, Gesualdo da Venosa. Ha profittato della potenza della musica nei momenti di meditazione e raccoglimento e nell' espressione popolare, penso alle Messe del ' 700, a Pergolesi. Tutti i musicisti hanno scritto musica da chiesa, benché non "scritturati". E sbagliavano gli occhi negativi d' Oltralpe, a cominciare da Schumann, nel giudicare le nostre Messe o Stabat Mater come pezzi operistici». Negli Anni 80, non si poté più applaudire in chiesa e la musica ne fu bandita. «Ho un ricordo indelebile. A Firenze eseguii la Messa da Requiem di Verdi nella Basilica di San Lorenzo: la cupola del Brunelleschi, le tombe medicee di Michelangelo, l' altare di Verrocchio, i pulpiti di Donatello. Ebbi quasi un sentore di mancamento. Subito dopo il cardinale proibì la musica classica, fu il punto di maggior cecità e oscurantismo della Chiesa, che abdicò a secoli di storia». La contaminazione in voga potrebbe favorire il dialogo fra le diverse fedi. «All' attuale fase stagnante subentrerà una musica frutto di fenomeni migratori che mescolerà le culture. Sono ottimista». La musica sacra deve comunicare o sperimentare, è nutrimento che conduce alla fede o deve assecondare la nuova grammatica musicale? «Ogni compositore esprime se stesso. Verdi pensò il Requiem in senso utilitaristico, il Libera Me finisce come domanda di fronte all' esistenza di Dio». Lei, che debuttò col violino a 8 anni al Seminario pontificio regionale di Molfetta... «Vengo da una famiglia cattolica, penso che i nostri sentimenti non siano una frizione di elementi chimico-fisici, dentro di noi c' è un' energia spirituale che fa parte dell' universo». La sua posizione ricorda quella di Gassman, quando ci diceva: «Credo di credere». «Ecco, mi ritrovo in Vittorio».
saggio? Nelle nostre chiese una volta risuonavano Orlando di Lasso, Marenzio, Palestrina. Oggi è interessante Arvo Pärt. Eppure...». Muti è reduce dal Moïse et Pharaon: «Su sei recite, ho bissato per cinque volte la preghiera finale. Perché quel pezzo e non altri di maggiore effetto? C' è nel pubblico un bisogno di spiritualità. Seguiamo passivi i tg con gli adolescenti che scompaiono nel nulla o le stragi, ma è rimasta la voglia di un mondo di pace, ed è la musica che ci riporta a una dimensione trascendente. Fin dagli uomini primitivi, è il veicolo di comunicazione più immediato col cielo, con un' entità superiore; c' è un senso di religiosità connesso al canto e al ritmo, nel sentimento che porta a Dio, sia nel senso del mistero e del dolore che nella gioia». «Poi il canto confluì in forme più complesse, il contrappunto fiammingo trovò una distensione melodica in Italia tra madrigali e mottetti. La Chiesa, dapprima col gregoriano, favorì i compositori. I due Gabrieli, Gesualdo da Venosa. Ha profittato della potenza della musica nei momenti di meditazione e raccoglimento e nell' espressione popolare, penso alle Messe del ' 700, a Pergolesi. Tutti i musicisti hanno scritto musica da chiesa, benché non "scritturati". E sbagliavano gli occhi negativi d' Oltralpe, a cominciare da Schumann, nel giudicare le nostre Messe o Stabat Mater come pezzi operistici». Negli Anni 80, non si poté più applaudire in chiesa e la musica ne fu bandita. «Ho un ricordo indelebile. A Firenze eseguii la Messa da Requiem di Verdi nella Basilica di San Lorenzo: la cupola del Brunelleschi, le tombe medicee di Michelangelo, l' altare di Verrocchio, i pulpiti di Donatello. Ebbi quasi un sentore di mancamento. Subito dopo il cardinale proibì la musica classica, fu il punto di maggior cecità e oscurantismo della Chiesa, che abdicò a secoli di storia». La contaminazione in voga potrebbe favorire il dialogo fra le diverse fedi. «All' attuale fase stagnante subentrerà una musica frutto di fenomeni migratori che mescolerà le culture. Sono ottimista». La musica sacra deve comunicare o sperimentare, è nutrimento che conduce alla fede o deve assecondare la nuova grammatica musicale? «Ogni compositore esprime se stesso. Verdi pensò il Requiem in senso utilitaristico, il Libera Me finisce come domanda di fronte all' esistenza di Dio». Lei, che debuttò col violino a 8 anni al Seminario pontificio regionale di Molfetta... «Vengo da una famiglia cattolica, penso che i nostri sentimenti non siano una frizione di elementi chimico-fisici, dentro di noi c' è un' energia spirituale che fa parte dell' universo». La sua posizione ricorda quella di Gassman, quando ci diceva: «Credo di credere». «Ecco, mi ritrovo in Vittorio».
Musica sacra specchio dei tempi
di Marcello FILOTEI
Gli strimpellatori sono sempre esistiti. L'elevazione di onesti dilettanti a ruoli che non competerebbero loro, in ambito sacro e profano, rende conto dello stato dell'arte in Italia, e non solo. Riccardo Muti sul "Corriere della Sera" di lunedì 20 si chiede se il diffuso basso livello della musica liturgica sia "un segno di decadimento della società o di coloro che dovrebbero sovrintendere a questo messaggio?". La domanda, che sollecita un dibattito necessario, rischia però di far passare in secondo piano la questione principale che sembra essere: come elevare il livello della musica liturgica, garantendo al contempo la partecipazione, in varie forme, dell'assemblea?
Retorica e banalità sono sempre in agguato quando si toccano certi argomenti. È certamente necessario diffondere il più possibile il canto gregoriano, i mottetti, le messe, gli Stabat mater e quanto di più sublime hanno prodotto i secoli che hanno preceduto quelli in cui viviamo. Ma se la Chiesa si pone l'obiettivo di riconquistare quel ruolo di mecenatismo che sembra avere perduto, non può limitarsi a rispolverare durante le funzioni antichi capolavori, che peraltro quasi nessuno conosce e apprezza, e deve invece porsi il problema di un bilanciamento tra le esigenze dei compositori di oggi e le necessità della liturgia. E allora la questione assume il carattere drammatico che gli compete: lo stato della musica liturgica è lo stesso di quello della musica più in generale.
Per essere chiari, nella musica liturgica, come in quella d'arte, non mancano oggi esempi di altissimo livello, e non sono mancati in passato esperimenti ottimamente riusciti come quello di commissionare a compositori contemporanei brani originali da utilizzare durante le funzioni. La diffusione di questi lavori, però, è limitatissima, perché limitatissima è la capacità di recezione, o meglio la "necessità" di alzare il livello artistico nella liturgia, e più in generale nella società. Le sale da concerto sono semivuote - non certo quando dirige Muti che, fortunatamente, è una delle felicissime eccezioni - e il pubblico vuole riascoltare in eterno quello che già conosce; molte volte ai concerti si va più per partecipare a un evento mondano che per ascoltare. In poche parole, la musica colta ha perso quasi del tutto il suo ruolo sociale.
Il naturale bisogno di elevamento spirituale, in ambito sacro e profano, è soddisfatto in gran parte, soprattutto in Italia, dalla musica cosiddetta leggera, che appare spesso di una estrema pesantezza. E allora certo potremo chiedere agli studenti di conservatorio di suonare gli organi delle chiese, come suggerisce Muti. Sarebbe sempre meglio di ascoltare dilettanti maltrattare chitarre, ma rimarrebbe aperta la questione centrale: perché in pochi si lamentano del basso livello delle "esecuzioni". La risposta è drammaticamente semplice e fastidiosamente elitaria: troppo pochi distinguono un pessimo chitarrista da un dignitoso organista.
Ed ecco ancora la retorica in agguato: la crisi della musica liturgica è parte in Italia della crisi della musica tout court e l'unica soluzione di lungo periodo è innalzare il livello culturale del Paese. Sembra una strada senza uscita e invece l'uscita c'è, ma ci vuole tempo e una pianificazione non limitata alla necessità di vincere le prossime elezioni. Si cominci a fare quello che si può: si diffonda il più possibile la musica colta e l'arte in generale. Senza falsi pudori, senza vergognarsi di dire che non tutto è uguale a tutto.
Spiace doverlo dire, ma sono ormai sempre le stesse affermazioni, trite e ritrite, Muti, probabilmente secondo il suo pensiero laico, si è fermato solo sulla soglia del problema del degrado musicale odierno in Chiesa: esso è figlio del degrado liturgico.
RispondiElimina"Per essere chiari, nella musica liturgica, come in quella d'arte, non mancano oggi esempi di altissimo livello, e non sono mancati in passato esperimenti ottimamente riusciti come quello di commissionare a compositori contemporanei brani originali da utilizzare durante le funzioni."
RispondiEliminaDa questa affermazione si evince che:
1) la musica liturgica non è musica d'arte;
2) che la liturgia rimane sempre un laboratorio per esperimenti.
L'articolo dell'Osservatore Romano e' semplicemente un minestrone di banalita' e incompetenza.
RispondiEliminaL'articolo dell'Osservatore Romano e' semplicemente un minestrone di banalita' e incompetenza.
RispondiEliminaSe posso permettermi, nella mia esperienza di organista liturgico (sia nelle Messe di Paolo VI, che in quelle del 1962), ho notato che i fedeli in genere cantano molto volentieri semplici e note Messe gregoriane come la Missa de Angelis, mentre non risulta loro facile cantare le più recenti canzoni con la chitarra, perché piene di controtempi, sincopi, salti melodici arditi... Sembra paradossale, ma spesso nelle Chiese non viene proposto quello che verrebbe cantato con più facilità (e che favorirebbe la partecipazione attiva): provare per credere (San Tommaso docet... ;) )
RispondiEliminaM. Ph.
Non sarei così critico. Basta sostituire "quella d'arte" con "quella d'arte profana", che mi pare fosse il pensiero dell'autore, anche se non detto esplicitamente, per poter accettare la frase, tanto più che nessuno mette in dubbio il valore dell'arte di ispirazione religiosa. Dante del suo capolavoro parlava come "del poema sacro, al quale ha posto mano e cielo e terra ...". Ugualmente molti artisti nel campo profano hanno prodotto su commissione, l'Aida di Verdi tanto per fare un nome, o hanno inteso fare esperimenti nuovi nella loro arte (questo è vero quasi sempre per tutti i veri artisti) e spesso i due aspetti, commissione e sperimentazione, si trovano insieme.
RispondiEliminaL'Osservatore Romano con presapochismo e banalità affronta le derive del canto e della musica dopo l'infausta riforma bugniniana -montiniana.
RispondiEliminaIl giornalista, sembra non conoscere o non vuol aprire gli occhi su ciò che è stata e ciò che è attualmente la musica in campo liturgico dal 1970 ai nostri giorni. Tolta qualche eccezione, di qualche cattedrale, per il resto nelle parrocchie vi fu a partire dal 1970 e continua ancora oggi la caccia alle streghe per chi non si adegua a tam tam tamburelli, campanelli, chitarre, bassi mentre gli organi nella pmigliore delle ipotesi sono stati ridotti al silenzio e come nel caso della mia chiesa, smontati e in attesa di un sospirato restauro per cui dobbiamo sorbirci la domenica le chitarrate accompagnate da canti tribali in cui l'assemblea, (stonata! e urlante!!!!!) partecipa in nome della fructuosa partecipatio.
Quindi, l'amico giornalista dell'osservatore romano farebbe bene a farsi un giretto e controllare lo scempio in cui versa la musica liturgica.
Dopotutto( lo porto sempre come esempio di rottura) ricordo la terrificante apertura del Giubileo del 2000 dove si diede spazio ai generi del sud del mondo e si mise a tacere in quella festosa circostanza l'antica tradizione della polifonia romana. Il regista fu il grande discepolo del Bugnini, ( lo superò!!!!) mons Piero marini ( sempre disubbidiente, alle direttive dell'ufficio clelle celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice) poichè non indossa mai la berretta.
Sulla base della mia pluriennale esperienza, posso dire che ai fedeli piace - eccome - una liturgia ricca di buona musica; anzi, essi preferiscono ascoltare, più che cantare, in modo da potersi concentrare nella preghiera ed elevarsi spiritualmente senza necessariamente ricorrere a doti canore purtroppo inesistenti (oggi, infatti, non si è più abituati a cantare ...). Il repertorio può variare ed anche tra i brani più modesti, dal pdv stilistico ed interpretativo, è possibile scegliere materiale dignitoso ed apprezzabile. L'OR, come spesso accade, glissa senza troppa eleganza. Conosco parecchi bravi organisti o volenterosi strumentisti o anche solerti coristi che sono "abbandonati" o frustrati dai parroci perché chiedono di non lasciarsi livellare dall'imperante adeguamento. Quando non c'è ostilità, c'è l'indifferenza, che a volte è anche peggio ... come al solito, a monte ci sta una grave carenza culturale ed educativa (quella di cui parla il maestro Muti) e la Chiesa ne è infetta. Tuttavia, finché non si deciderà di porre mano all'attuale delirio liturgico e dottrinale, accontentiamoci, qua e là, di qualche oasi felice, confidando nell'altrui emulazione!
RispondiEliminaIl problema della musica liturgica è proprio questo, a mio parere (poi ognuno la pensa come vuole); la Chiesa, dal Concilio in poi, ha smesso di pensare che l'arte fosse a servizio della liturgia, anzi: ha pensato che mettere l'arte a servizio della liturgia significasse arricchire, mentre la liturgia deve essere povera. La foce di questo ragionamento progressista arriva poi, paradossalmente, a concedere invece spazio a quella che chiamano "arte" moderna, stravolgendo così chiese antiche con merde d'artista e insozzando la musica sacra di componimenti mediocri che, come dice l'autore dell'articolo, a detta loro, sono bellissimi.
RispondiEliminaMa la cosa ben più grave è questa:
"Le sale da concerto sono semivuote - non certo quando dirige Muti che, fortunatamente, è una delle felicissime eccezioni - e il pubblico vuole riascoltare in eterno quello che già conosce; molte volte ai concerti si va più per partecipare a un evento mondano che per ascoltare. In poche parole, la musica colta ha perso quasi del tutto il suo ruolo sociale. [...] Ma rimarrebbe aperta la questione centrale: perché in pochi si lamentano del basso livello delle "esecuzioni" "
Ancora una volta si pensa alla Chiesa come un teatro, e si cerca il modo di invogliare la gente ad andarci facendo scadere la liturgia ai livelli di oggi: "Ai concerti di musica classica odierna non va più nessuno e se ci va qualcuno lo fa per mettersi in mostra", quindi, se non vogliamo che le Chiese si svuotino come i teatri [perchè, non lo sono già?], dobbiamo evitare quella musica. Un po' come dire: "ai concerti di Vasco Rossi c'è sempre il pienone, quindi è quella la musica che fa per la Chiesa"... Razza di pretaglia incompetente!
Il problema è nell'ignoranza/arroganza del clero.
RispondiEliminaDirei che c'è una "piccola" contraddizione nell'articolo dell'Osservatore Romano, o meglio, un deadlock (per usare un linguaggio informatico a me caro).
RispondiEliminaCertamente, da una parte l'affermazione «[...] limitatissima è la capacità di recezione» ha un fondo di verità, ma è anche vero che fino a che un certo repertorio non si recupera e non si (ri)propone nessuno (o quasi) avrà la possibilità di aumentare la sua "capacità di recezione".
Proprio sabato sera sono stato all'inaugurazione di un organo Bazzani del 1887 appena restaurato (chiesa di Ca' Venier, diocesi di Chioggia): vi posso assicurare che la serata era pessima, con ghiaccio e neve sulle strade, ma la risposta della piccola frazione è stata comunque numerosa e l'organista (Pierandrea Gusella) è stato veramente all'altezza.
Personalmente non mi posso ritenere né un musicista, né tantomeno un organista. Qualche tempo fa ho fatto 4-5 anni di lezioni private di pianoforte e tastiere, ma nulla più. Ora, dopo aver terminato l'università, mi sono rimesso a studiare un po', anche se avrei bisogno di tante più ore a disposizione.
Anch'io sono cresciuto "liturgicamente" in un coro in cui si esaltavano Gen&Co. ma pian piano ho cambiato prospettiva anche se pretendere lo stesso dalle "mie" coriste è molto, molto difficile. Sfortunatamente il mio parroco non avverte il desiderio che ho io di riportare un po' di decoro in un coro parrocchiale che era arrivato al punto di portare batteria e basso nelle notti di Natale e Pasqua, togliendo definitivamente quanto rimaneva di solenne in queste celebrazioni.
Ma tutto quello che posso dire è che la sfida è molto, molto dura, anche perché non posso vantare alcun riconoscimento o diploma musicale o liturgico che possa dare un certo peso alle mie proposte (che non sarebbero neanche così campate in aria...).
Se qualcuno ha dei suggerimenti, li accetto volentieri.
<span>Direi che c'è una "piccola" contraddizione nell'articolo dell'Osservatore Romano, o meglio, un deadlock (per usare un linguaggio informatico a me caro).
RispondiEliminaCertamente, da una parte l'affermazione «[...] limitatissima è la capacità di recezione» ha un fondo di verità, ma è anche vero che fino a che un certo repertorio non si recupera e non si (ri)propone nessuno (o quasi) avrà la possibilità di aumentare la sua "capacità di recezione".
Proprio sabato sera sono stato all'inaugurazione di un organo Bazzani del 1887 appena restaurato (chiesa di Ca' Venier, diocesi di Chioggia): vi posso assicurare che la serata era pessima, con ghiaccio e neve sulle strade, ma la risposta della piccola frazione è stata comunque numerosa e l'organista (Pierandrea Gusella) è stato veramente all'altezza.
Personalmente non mi posso ritenere né un musicista, né tantomeno un organista. Qualche tempo fa ho fatto 4-5 anni di lezioni private di pianoforte e tastiere, ma nulla più. Ora, dopo aver terminato l'università, mi sono rimesso a studiare un po', anche se avrei bisogno di tante più ore a disposizione.
Anch'io sono cresciuto "liturgicamente" in un coro in cui si esaltavano Gen&Co. ma pian piano ho cambiato prospettiva anche se pretendere lo stesso dalle "mie" coriste è molto, molto difficile. Sfortunatamente il mio parroco non avverte il desiderio che ho io di riportare un po' di decoro in un coro parrocchiale che era arrivato al punto di portare batteria e basso nelle notti di Natale e Pasqua, togliendo definitivamente quanto rimaneva di solenne in queste celebrazioni.
Tutto quello che posso dire è che la sfida è incredibilmente dura, specialmente per me che non posso vantare alcun riconoscimento o diploma musicale o liturgico che possa dare un certo peso alle mie proposte (che non sarebbero neanche così campate in aria... "un po' " di latino e canti di chiara ispirazione bibblica). Sono costretto a lottare con le unghie e con i denti per mettere da parte un canto alla volta dei vari Ricci, Balduzzi, Cento. E io che vorrei che il mio coro imparasse almeno il Kyriale della Missa de Angelis!
Se qualcuno ha dei suggerimenti, li accetto volentieri.</span>
<span><span>Direi che c'è una "piccola" contraddizione nell'articolo dell'Osservatore Romano, o meglio, un deadlock (per usare un linguaggio informatico a me caro).
RispondiEliminaCertamente, da una parte l'affermazione «[...] limitatissima è la capacità di recezione» ha un fondo di verità, ma è anche vero che fino a che un certo repertorio non si recupera e non si (ri)propone nessuno (o quasi) avrà la possibilità di aumentare la sua "capacità di recezione".
Proprio sabato sera sono stato all'inaugurazione di un organo Bazzani del 1887 appena restaurato (chiesa di Ca' Venier, diocesi di Chioggia): vi posso assicurare che la serata era pessima, con ghiaccio e neve sulle strade, ma la risposta della piccola frazione è stata comunque numerosa e l'organista (Pierandrea Gusella) è stato veramente all'altezza.
Personalmente non mi posso ritenere né un musicista, né tantomeno un organista. Qualche tempo fa ho fatto 4-5 anni di lezioni private di pianoforte e tastiere, ma nulla più. Ora, dopo aver terminato l'università, mi sono rimesso a studiare un po', anche se avrei bisogno di tante più ore a disposizione.
Anch'io sono cresciuto "liturgicamente" in un coro in cui si esaltavano Gen&Co. ma pian piano ho cambiato prospettiva anche se pretendere lo stesso dalle "mie" coriste è molto, molto difficile. Sfortunatamente il mio parroco non avverte il desiderio che ho io di riportare un po' di decoro in un coro parrocchiale che era arrivato al punto di portare batteria e basso nelle notti di Natale e Pasqua, togliendo definitivamente quanto rimaneva di solenne in queste celebrazioni.
Tutto quello che posso dire è che la sfida è incredibilmente dura, specialmente per me che non posso vantare alcun riconoscimento o diploma musicale o liturgico che possa dare un certo peso alle mie proposte (che non sarebbero neanche così campate in aria... "un po' " di latino e canti di chiara ispirazione bibblica). Sono costretto a lottare con le unghie e con i denti per mettere da parte un canto alla volta dei vari Ricci, Balduzzi, Cento. E io che vorrei che il mio coro imparasse almeno il Kyriale della Missa de Angelis!
Se qualcuno ha dei suggerimenti, li accetto volentieri.</span></span>
Qualcuno dimentica un aspetto fondamentale ed imprescindibile della Musica Sacra: essa è un sacramentale. Le questioni tecniche sulla musica sono certamente da tener presenti; e di certo non può esser definita sacra - e talvolta nemmeno musica - quell'espressione sonora che ammorba le chiese moderne.
RispondiEliminaMa il potere della vera Musica Sacra, che è anticipazione della liturgia celeste al pari delle celebrazioni per le quali essa è destinata, non richiede assolutamente una comprensione tecnicistica da esteti. La musica che la Chiesa ha consacrato per il proprio culto pubblico non dev'essere compresa con un approccio da musicologi, ma con l'orecchio dell'anima.
Per questo non hanno senso i concerti: sono repliche decontestualizzate, che si apprezzano da un punto di vista materiale, ma mancano della forza spirituale che la musica liturgica e il canto sacro acquistano solo nella liturgia.
E andrebbe detto che la vera partecipazione dei fedeli alla liturgia - la tanto declamata actuosa participatio - trova la prima espressione nell'unione morale del popolo alle funzioni del coro, il quale svolge un ruolo proprio, al punto da essere esso stesso parte non indifferente dell'azione sacra, e da aver meritato nell'antichità anche il riconoscimento ufficiale, nell'ordine del Salmistato o Cantorato. Che il popolo canti parti della Messa o dell'Ufficio è lodevole, ma non è essenziale: per unirsi alla preghiera cantata è sufficiente anche la sola intenzione spirituale, così come ogni fedele si unisce spiritualmente a ciò che compiono i Sacri Ministri sull'altare, senza voler per forza usurparne le funzioni, cosa che invece accade nelle liturgie riformate.
Questa mania di voler annullare le distinzioni e far svolgere le più disparate funzioni ai fedeli - tipica della mentalità democratica e populista che ammorba la Chiesa dagli anni Sessanta - porta non solo alla insana ma ahimé diffusa presenza dei laici in presbiterio a declamare la prima lettura, il salmo responsoriale, la seconda lettura, l'alleuja, la preghiera dei fedeli e quant'altro, ma anche a voler invadere altri spazi prettamente sacri: ecco allora le donne che distribuiscono la Comunione, le suore che fanno il trasporto del Santissimo da un altare all'altro e via elencando. Il tutto mentre il celebrante ozia alla sede, ormai privato di qualsiasi incombenza grazie ai concelebranti, che ormai sono immancabili anche alle Messe feriali.
Non ci sono i lettori per declamare in tonacella le letture? non c'è la schola per il responsorio? non c'è l'accolito per la preghiera universale? Ma no: mettiamo una donnina scosciata e scollata, un'anziana zelante, una dama di San Vincenzo, una suora senza velo! Così si annulla la divisione tra sacro e profano, tra ministri e laici, in nome della actuosa participatio.
Ma curiosamente nessun sacerdote pretende con altrettanta coerenza di svolgere le mansioni prettamente laicali: dalle pulizie alla spesa, dal passare a prendere i marmocchi all'asilo al preparare la cena per la famiglia, dal chiedere il mutuo in banca al cambiare le gomme all'auto. Lì guardacaso i laici vanno benissimo, e i reverendi si ricordano della dignità del loro sacro ministero, e con la mano levata in gesto benedicente sorridono benevolmente ai padri che riparano l'impianto elettrico, alle madri che lavano le tovaglie dell'altare ecc.
Diciamocelo chiaro: non è questione di actuosa participatio. Sono tutte scuse belle e buone. Che i preti e i chierici svolgano il loro compito in chiesa senza tediare i laici con le loro trovate da varietà, e lascino le famiglie finalmente in pace a udir Messa senza tutti quei penosi su e giù dal presbiterio, dal pulpito, [...]
Faccio parte di un coro di un certo livello "Cantori della Resurrezione" di Porto Torres in Sardegna e circa 20 giorni fa abbiamo fatto una tournè a Vienna... la prima cosa che è balzata agli occhi è che lì in ogni chiesa, piccola o grande, erano previste messe col Novus Ordo ma accompagnate sia nel proprium che nell'ordinarium da musiche di altissimo livello e anche vere e proprie rarità... parlo di Monteverdi, Palestrina, oltre al gregoriano e all'immancabile Mozart...
RispondiEliminaLa cosa che xò fa rabbrividire è che in Italia (patria della musica sacra) questa musica (anche in concerto purtroppo) è sempre più difficile da ascoltare e quindi da eseguire nelle chiese... troppo spirituale ci si sente dire... la messa diventa troppo lunga e noiosa... e spesso sono preti e vescovi che lo dicono... anche con una sorta di sufficienza e fastidio...
Baronio dice ... parole sante!
RispondiEliminaIl problema non è la mancanza di "educazione musicale", come suggerirebbe l'Osservatore, che lamenta il fatto che il popolo non sa apprezzare la musica colta. Il fatto è che c'è una spaventosa mancanza di "educazione al silenzio". Solo che apprezza il silenzio (e la riflessione) può apprezzare la musica vera. Agli altri bastano i rumori (secondo voi perchè applaudono ai funerali, proprio quando maggiore è necessario il silenzio?). Ciò detto, penso che sia migliore una Messa senza musica che una Messa con le "musichette". Che chi canta prega due volte sarà anche vero. Ma se stona è un casino!
RispondiElimina<span>Il problema non è la mancanza di "educazione musicale", come suggerirebbe l'Osservatore, che lamenta il fatto che il popolo non sa apprezzare la musica colta. Il fatto è che c'è una spaventosa mancanza di "educazione al silenzio". Solo chi sa stare in silenzio e chi lo cerca può apprezzare la musica vera. Agli altri bastano i rumori (secondo voi perchè applaudono ai funerali, proprio quando è più necessario il silenzio, se non altro per rispetto?). Ciò detto, penso che sia migliore una Messa senza musica che una Messa con le "musichette". Che chi canta prega due volte sarà anche vero. Ma se stona è un casino!</span>
RispondiEliminaA volte penso che abbia fatto di più per la musica sacra il M° Muti - pur con tutti i suoi umanissimi difetti - che ha proposto con indomita determinazione le messe Cherubini, i salmi e gli oratori della scuola napoletana, i Requiem di Mozart e di Verdi e (perché no) i Nabucco e i Moise rispetto a tante ecclesiastiche commissioni con annessi documenti esortativi, parenetici ecc. ecc.
RispondiEliminaIl problema della Musica Sacra è il problema dei problemi: Novus Ordo Missae. Brutto rito chiama e richiede brutta musica, sciatto chiama sciatto, pedestre chiama pedestre. Tutto il resto son discorsi se non il bell'appunto sul silenzio: la musica è fatta di suono e silenzi.
RispondiEliminaQuella che l'Osservatore chiama "la questione centrale: perché in pochi si lamentano del basso livello delle "esecuzioni", non è affatto ciò. La vera questione centrale è "perché pochi vanno a Messa", e magari anche l'Osservatore si accorgerebbe che buona parte di quelli che non ci vanno più stanno proprio scioperando contro la sciatteria liturgica e musicale.
RispondiEliminaGentile Baronio: ciò che dice risponde a verità: le distrazione all'interno del rito sono pane per il maligno!
RispondiEliminaE' terribile doversi "cicare" le varie pulcinellate i recitativi e quegli "intermezzi" musicali patetici..basta, basta, basta!
RispondiEliminasarebbe un errore spostare il baricentro: non è la musica fatta che è fatta di suono e di silenzio; ma è la sacra Liturgia ad avere nel suo prpprio interno i suoi tempi . Un po' come la vita dove 'è un tempo per ogni cosa! E la Liturgia è "vita in Cristo", anzi E' la vita!
RispondiElimina..tuttavia sarebbe un errore spostare il baricentro: non è la musica che è fatta di suono e di silenzio: ma è la sacra Liturgia ad avere i suoi propri tempi . Quale la vita -dove il tempo scandisce ogni cosa e per ogni cosa c'è un tempo- tale la Liturgia che è "vita in Cristo", e dunque E' la vita!
RispondiElimina<span>...ovviamente la musica è fatta di suono e di silenzio, ma spostare il baricentro unicamente sulla musica in relazione alla sacra Liturgia sarebbe fuorviante . In realtà è la Liturgia ad avere i suoi propri tempi . Quale la vita -dove il tempo scandisce ogni cosa e per ogni cosa c'è un tempo- tale la Liturgia che è "vita in Cristo", e dunque E' la vita!</span>
RispondiElimina<span><span></span></span>
<span>sull'incresciosa situazione di degrado inarrestabile si era già parlato qui riferendo il parere del Maestro Muti.</span>
RispondiElimina<span>Concordo col parere lapidario dato allora da Moscardò, che purtroppo il problema sta nell'insegnamento delle basi musicali a scuola (per tutti) ma soprattutto poi nei seminari (per preti e vescovi). Quello che succede nella quasi totalità delle chiese italiane dedite al NOM è musicalmente osceno.</span>
Per quanto tempo dovremo ripetere questa lamentazione senza che nessuna autorità metta mano ai rimedi urgenti ?
Può darsi allora che l'antico edificio (di cui parlò il card. Ratzinger) picconato e fatto a pezzi grazie alla riforma del Messale voluta da Paolo VI, e che ora sta crollando miseramente sul versante della musica dissacrata, nelle celebrazioni NO, rese orripilanti e ripugnanti dalle esibizioni canore degne di festivalbar, non sia più restaurabile, se non dopo che la demolizione sarà completata.
E pare che il Papa non voglia parlare più neanche di "riforma della riforma", osservando (forse sentendosi "piccolo" di fronte alle dimensioni del disastro) restando in attesa -senza parole- davanti al crollo che procede e all'autodemolizione che si compie fino all'ultima maceria, giorno dopo giorno.
Sì; l'arte musicale s'è sempre modellata (per lo meno nelle sue più alte espressioni che uniscono bellezza e funzionalità) sul tempo liturgico. Provate a celebrare, per dirne una, la Messa Nom con l'ordinario, chessò, della sine nomine di Palestrina.... Non funziona. Dici: bella musica, ma percepisci la discrasia, la distinzione tra una cosa e l'altra. Nel rito di sempre questo non succede perché c'è compenetrazione essenziale di tutte le componenti la liturgia (tra cui anche la musica, appunto).
RispondiEliminaho paura che sia troppo tardi.....la banalità la non sacralità è entrata nela liturgia e di conseguenza nella musica.
RispondiEliminabasta vedere il seminario ....musica è materia facoltativa quindi non si fa......
ecco il munu' : 1) Pontificio di Musica Sacra di Milano = Chiuso ; 2) Pontificio di Musica Sacra Roma = la maggior parte sacerdoti - religiosi stranieri, il titolo non vale in Italia ; 3) Istituti Diocesani di Musica Sacra Italiani = molti in chiusura , altri chiusi vedi Savona ad esempio, allievi fanno materie come violino, chitarra, il gregoriano ad esempio non si studia .... 4) classi di organo in conservatorio = allievi pochi altre cattedre vedi Genova soppresse, 5) In seminario musica non si insegna ; 6) i movimenti religiosi hanno la meglio sul repertorio sacro dettato dal concilio ; 7) organi muti nelle chiese come se fossero dei quadri. !! Mi fermo perchè il bicarbonato non basta piu'................ci vuole la canna del gas!!!
RispondiEliminaNon stiamo a sottilizzare, Muti lamenta la fine della Bellezza, e ha straragione. Dov'è la Bellezza, nelle strimpellate spontanee di ragazzotti incolti, nelle frisinate? Sanremo al posto di Monteverdi? Qualcuno può contestare che nel gregoriano e in tutta la musica sacra archiviata dagli analfabeti più o meno sistini non ci sia la Bellezza? Qualcuno trova il Bello nelle lagne post-conciliari?
RispondiEliminaInnanzitutto ci tengo a farti i complimenti per il coro: credo che, allo stato attuale, in Sardegna siate parecchie spanne sopra tutti. Bellissima vocalità, buon lavoro d'intonazione... proprio bravi!
RispondiEliminaPurtroppo è vero quanto dici. Il guaio è che anche chi dovrebbe fare musica "di spessore", spesso non è in grado. La mia parrocchia ufficiale è una Cattedrale, quindi dovrebbe avere un buon servizio, soprattutto per i pontificali. Ecco, per quarant'anni si è avuto un coro che tendeva ad imitare la vocalità della Sistina con dei grandi vibratoni, tempi raddoppiati e quant'altro. Da due anni il coro è cambiato, ma lo stile è sempre quello... anzi, forse la ritmica è diventata pure più imprecisa!
Mi ha fatto sorridere pensare al prete che dice che la Messa diventa troppo lunga e noiosa, perché mi ha rimandato con la memoria a due aneddoti che voglio raccontarvi:
1) Matrimonio nell'Oristanese. Vado in Chiesa a provare i brani col coro il giorno prima. Il prete si è appostato col cronometro per vedere la durata di tutti i brani e pretendeva che cambiassimo il Sanctus (l'ordinario era la Messa a 3 di Byrd) perché troppo lungo. Ho fatto finta di cedere e, ammetto, al matrimonio l'ho fatto lo stesso... il bello è che non se n'è accorto! Si è lamentato solo dell'uso del latino, perché così non era un "canto d'assemblea". (piccolo indizio, a parte gli sposi si son comunicate solo due persone... non credo avrebbero cantato, in ogni caso!)
2) Matrimonio in una nota chiesa di Cagliari. Il prete mi dice il giorno stesso: "Ah, mi raccomando, canta l'ave Maria di Schubert all'offertorio" "Devo proprio?" "Si, è bello!" "Vabbè... facciamo!". Arriva l'offertorio, attacco l'Ave Maria. Arrivato neanche a metà il celebrante si gira verso di me e, con faccia angelica, esclama al microfono: "Bene, ora può bastare, andiamo avanti!". Mi sarebbe piaciuto vedermi in quell'istante... bocca aperta con il suono morto nel petto e mani cascate sulla tastiera dell'organo!
Ovviamente, solita predica sociale durata circa mezz'ora!
Sono organista e maestro di cappella (o meglio lo ero fino a quando il mio parroco non ha preferito sostituirmi con un chitarrista dilettante). La mia ventennale esperienza in ambito liturgico musicale mi suggerisce che il problema è solo uno: la mancata formazione musicale e liturgica nei seminari. Non si insegna più musica da decenni e non si insegna più nemmeno a "dir Messa"!
RispondiEliminaLa nuova Ratio Studiorum uscita nel 2006 valida per tutti i seminari d'Italia prevede il corso di Musica Sacra per tutti i futuri sacerdoti. Ad oggi questo corso è stato attivato (che io sappia) solo a Napoli.
Saluti.
è applicata , la ratio studiorum anche a MOLFETTA, BERGAMO E IN PARTE AD ALBENGA , MONS BASSETTI NELLA RELAZIONE ALL'AISC ALLA TRE GIORNI HA ILLUSTRATO UNA SITUAZIONE A DIR POCO SCONVOLGENTE !! PERCHè I RETTORI NON RISPETTANO LE DIRETTIVE ? E I VESCOVI ?........risposta ?? SILENTIUM
RispondiEliminaanxhe a fiesole nel seminario il maestro manganelli fa un grande lavoro, don patti a bergamo insegna in seminario con buoni risultati..... però sono piccole gocce per il resto dei seminari è lasciato alla buona volontà che spesso si traduce in nulla o la chitarra o frisina...
RispondiElimina....mandate via Palombella
RispondiEliminaMa se l'osservatore romano ha ospitato alcuni ridicoli saggi di Palombella?
RispondiEliminaMa se la CEI si è tenuta per decenni all'uff. per la musica sacra don Parisi?
Ma se il direttore dell'Uff. Liturgico (non solo musica, si badi) del vicariato di ROma è frisina?
Ma se il progetto culturale CEI prevede la sconsacrazione delle chiese chiuse per farne "case della comunità"?
Ma se il Segretario di Stato è l'em.mo Bertone?
Ma se metà dei vescovi non sa nemmeno cantare le parti liturgiche spettanti?
Ci sono altri 109 punti; volete che li elenchi tutti?
Forse ha ragione "dal sacro palazzo", mandando via Palombella si darebbe un segnale forte.
RispondiEliminaSe si zittissero anche Frisina, Parisi, Costa e compagnia danzante (perchè di cantante - vero - con hanno qualsi nulla), il segnale sarebbe inequivocabile.
Mandiamo al macero il Repertorio nazionale! Ma avete visto che il 50% di tutto il malloppo, grosso modo risale ai soliti due nomi...?!?