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mercoledì 27 gennaio 2010

Echi tridentini in letteratura: Carlo Goldoni

La critica letteraria “ufficiale” – tutta compatta e a ranghi serrati dietro i capifila De Sanctis e Croce – ha costantemente confinato Carlo Goldoni (1707-1793) nel limbo dei “minori”, simpatici e volenterosi scrittori che riescono magari a strappare un sorriso ma restano ben lontani dagli ubertosi e lussureggianti giardini della Poesia. Un semplice lettore di oggi senza alcuna veste ufficiale, constatando peraltro che a distanza di due secoli e mezzo moltissime commedie di Goldoni continuano ad essere costantemente rappresentate con grande successo, e non solo in Italia, potrebbe esser tentato di liquidare la querelle con un paio di battutacce. Ma è meglio, forse, limitarsi a ricordare: - che il teatro goldoniano risulta ancor oggi molto divertente; - che l’ispirazione realistica e l’attenzione alle trasformazioni sociali e linguistiche fanno delle sue pièces uno strumento indispensabile di conoscenza non superficiale delle culture italiane del Settecento; - che alcune situazioni e non pochi personaggi raggiungono una complessità poetica di tutto rispetto. - E infine, che in un secolo inflazionato da lumi veri e presunti Carlo Goldoni riesce, con tranquilla umiltà, a utilizzare e apprezzare i lumìni ma senza dimenticare la luce grande, quella che non tramonta. Non che abbondino, nelle commedie, predicozzi e catechismi; il nostro sembra anzi far tesoro di un motto prudenziale di origine popolare, che afferma, più o meno: se devi far divertire la gente, parla “poco del principe, niente di Dio”. [Traduciamo: “poco di politica, niente di religione”... Ossignore, è roba da far prendere un colpo d’accidenti a certi nostri guitti viziatissimi e pluripremiati, notissimi per supponenza lunga e cognome corto.] Ma là dove il rapporto col teatro sia solo mediato, ad esempio nelle lettere dedicatorie delle edizioni a stampa di varie commedie, Goldoni si mostra capace di parlar chiaro e senza rispetto umano. Pubblicando, per esempio, nel 1750, il testo delle Femmine puntigliose, lo dedica a Francesco de’ Medici scrivendo, fra l’altro: « Dopo la felicità dell'Essere, qual altra maggiore può immaginarsi oltre quella del nascere in grembo di Santa Chiesa, succhiando col latte la vera Fede, e cancellando coll'acque del Sacro Fonte la colpa de' primi nostri Parenti? Gli occulti, impenetrabili arcani della Provvidenza han noi arricchiti di un tanto bene. Miseri quelli, che nati fra gli errori ed allevati colle superstizioni, chiudono le orecchie alla grazia, e induriscono il cuore sotto il peso della ingannevole educazione; ma più miseri quelli ancora, che prevaricatori si chiamano del Vangelo, ribelli della Cattolica Religione, i quali vendendo, a similitudine di Esaù, per poche lenti la Primogenitura Celeste, calpestano il più bel dono della imperscrutabile predilezione Divina. (...) Pare a' dì nostri che Uomo non sia di lettere colui che di certi oltramontani libri non sa far pompa; colui che non sa porre in ridicolo il Dogma, le Tradizioni, e fino le sacre Carte medesime, spargendo massime false, anche contro il proprio suo cuore; detestate internamente nell'animo, ma lanciate con imprudenza, o per acquistare la grazia di un personaggio, o per far ridere la brigata. Si può rinunziare per meno ad una sì grande felicità?».
*
Nel 1759 Carlo Goldoni – due anni prima del definitivo trasferimento a Parigi – si fermò per diversi mesi a Roma, dove ebbe la possibilità di intrattenersi con molti famosi personaggi e col Pontefice stesso, Clemente XIII. Ce lo racconta lui stesso nei capitoli 37-39 delle sue godibilissime Memorie (apparse in prima edizione in lingua francese nel 1787, poi per sua propria cura tradotte in italiano). Anche lui – come, più tardi, Mozart e Goethe – fu edificato e impressionato dai riti della Settimana Santa nella basilica di San Pietro, e particolarmente dal Miserere di Gregorio Allegri: « Tutti i piaceri da me goduti fino a quel tempo a Roma erano nulla in confronto a quelli che provai nella settimana santa; in tali giorni consacrati del tutto alla divozione, si conosce la maestà del pontefice e la grandezza della religione. Nulla di più magnifico e imponente che la celebrazione di una messa pontificale nella basilica del Vaticano: il papa vi figura da sovrano, con tal pompa e apparato che conciliano la devozione e la meraviglia. Tutti i cardinali, principi della Chiesa e presuntivi eredi del trono, vi assistono; il tempio è immenso, immenso il corteggio. Anche la cerimonia della Lavanda non mi sembrò meno grandiosa, poiché si vede dovunque lavar piedi ai poveri, i quali rappresentano gli apostoli; ma quella tiara a tre corone, quei berretti rossi, e quella gran gerarchia di vescovi e patriarchi riempie di stupore e colpisce l’immaginazione. Un altro spettacolo religioso da me parimente ammirato in quella chiesa, mi sembrò piacevole non meno che degno di ammirazione: il Miserere del venerdì santo. Entrate in San Pietro, e tale è la distanza che corre dalla porta all’altar maggiore, che non vi lascia scorgere se vi sia gente o no; e quando siete a portata di vedere e sentire, vedete soltanto una numerosissima assemblea di musici in tonaca e collare, e vi par di sentire tutti gli strumenti possibili, mentre non ve n’è neppur uno. Io non sono della professione, né posso spiegare per conseguenza questa varietà, questa gradazione di voci in uno stesso accordo che produce tale illusione. Tutti i compositori bensì debbono conoscere questo capolavoro della loro arte.» [Il testo di tutte le commedie di Goldoni, e anche quello delle Memorie (in italiano), è disponibile in rete, gratuitamente, nel sito liberliber.]
Giuseppe

2 commenti:

  1. Ahinoi, questo spettacolo è stato negato ai nostri occhi... quanto al Miserere di Allegri si tratta veramente di un brano particolarmente suggestivo, concordo con lo stupore del grande veneto. Molte storie si raccontano circa questa musica....

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  2. Ma come, la pompa e il fasto non allontana la gente? La tiara non offende forse le persone? Vergognosi i bugiardi che hanno mentito a noi è ai fratelli nostri cristiani!

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