Ricorre quest’anno un centenario di cui probabilmente pochi si ricorderanno, e che pure non è meno importante, considerati i frutti che ha prodotto, della ricorrenza delle scoperte astronomiche galileiane o di quella della nascita di Darwin: il secondo centenario della conversione di Alessandro Manzoni. Per la verità si potrebbe obiettare che la conversione del Manzoni è usualmente collocata a ridosso dell’episodio avvenuto nella chiesa parigina di San Rocco il 2 aprile 1810, durante i festeggiamenti per la nascita dell’erede di Napoleone. Ma quello fu in realtà il punto di arrivo di un travaglio iniziato mesi prima.
L’avvisaglia di un cambiamento di rotta del ventiquattrenne Manzoni, che dall’adolescenza viveva ut si Deus non daretur, è infatti la decisione di far battezzare secondo il rito cattolico la primogenita Giulia Claudia, il 23 agosto 1809. Può sembrare una decisione scontata, ma non lo era: un anno prima si era infatti sposato con il solo rito calvinista, e aveva lasciato che una clausola nel contratto di matrimonio conferisse alla moglie di religione riformata la facoltà di educare i figli eventualmente nati dall’unione. Un mese dopo il battesimo della figlia Manzoni inoltrò una supplica al papa per poter ricelebrare le nozze secondo il rito cattolico, come poi avvenute nel febbraio successivo. Insomma, per quanto possiamo ricavare dai documenti, è la seconda metà del 1809 quella in cui il giovane Alessandro va lentamente ritrovando la fede perduta.
La prima conseguenza letteraria di questo mutamento (haec mutatio dexterae Excelsi, farà dire di un’altra conversione con citazione salmistica lo scrittore a un personaggio del gran romanzo) è l’inno sacro La Risurrezione, composto fra l’aprile e il giugno del 1812. Vale la pena di citarne due strofe (vv. 71-84) per le loro risonanze liturgiche:
Via co’ palii disadorni Lo squallor della viola: L’oro usato a splender torni: Sacerdote, in bianca stola, Esci ai grandi ministeri, Tra la luce de’ doppieri, il Risorto ad annunziar. Dall’altar si mosse un grido: Godi, o Donna alma del cielo; Godi; il Dio cui fosti nido A vestirsi il nostro velo, è risorto, come il disse: Per noi prega: Egli prescrisse Che sia legge il tuo pregar.
Non hanno bisogno di spiegazioni i riferimenti ai colori liturgici; ricchissimo è poi il tessuto di rimandi all’innografia latina. “In bianca stola” al quarto verso riprende forse il secondo verso dell’inno “Regias Agni dapes” [leggilo qui], che si recita nel breviario durante il tempo pasquale: “Candidis amicti stolis” (“stola” va inteso qui nel senso latino di “veste”). La fonte comunque è Apocalisse, 7, 13: “Amicti stolis albis”.
“Il Risorto ad annunziar” è chiarito dallo stesso Manzoni in una nota come una derivazione da “Christus Dominus resurrexit”. Per quanto riguarda la provenienza, si limita ad aggiungere tra parentesi: “La Chiesa”. Si tratta, per la precisione, dell’annuncio che il sacerdote dà, nel rito ambrosiano, durante la veglia pasquale, ripetendo per tre volte “Christus Dominus resurrexit” dai tre lati dell’altare. Campanilismo milanese? Ma “don Lisànder” va poetando su cose che ha realmente visto, non cercato in qualche libro.
La seconda strofa qui riportata è invece in buona parte una traduzione del breve inno mariano che si canta alla fine delle celebrazioni pasquali (dunque, Manzoni ha trasferito nel suo inno l’alfa e l’omega di questa liturgia): “Regina caeli laetare, quia quem meruisti portare resurrexit, sicut dixit, alleluia: ora pro nobis Deum, alleluia”. Traduzione, come si vede, abbastanza libera: ma c’era l’esigenza di adattare il testo al metro e alla rima.
Jacopo
Bisogna in realtà dire "conversione" di Manzoni. Forse Cavalleri e Aldo Spranzi esagerano, ma fare di don Lisander un perfetto cristiano e un soldato di Gesù Cristo, fatta salva la sua buona fede, mi sembra eccessivo. Forse è un stato come tutti noi: un po' qua, un po' la, sperando (e facendo irritare Bonhoeffer) che il buon Dio ci metta una pezza.
RispondiEliminap.s. Non è il caso di dare troppo del troll, facendo dei troll alla rovescia; basta spiegare pazientemente che Gesù, quando dava del sepolcro imbiancato, non prescriveva affatto di lasciare i cadaveri insepolti e senza onore ...
pp.ss. Dal punto di vista stilistico, gli "Inni Sacri" riproducono le fattezze di quelli liturgici.
Spranzi è l'equivalente nella critica manzoniana di quello che fu, nella critica dantesca, il cosiddetto "dantismo esoterico" fiorito tra Otto e Novecento. Secondo questi "studiosi" Dante era membro di una setta segreta e le sue rime, poema compreso, altro non sarebbero state che un codice per comunicare con gli altri adepti (dove si vede che Dan Brown non ha inventato nulla). Ovviamente i dantisti si sono sempre fatti grasse risate su queste allucinate elucubrazioni, anche se ogni tanto qualche sprovveduto le ritira fuori. Spranzi è sulla stessa lunghezza d'onda: secondo lui Manzoni era un ateo incallito che simulò la conversione, e i Promessi Sposi celerebbero una violenta apologia anticristiana. Su queste tesi ha scritto tomi ponderosi che nessuno ha mai preso sul serio (curioso che tra i pochi a farlo siano stati proprio personaggi di area cattolica, cattolicissima come Cavalleri...).
RispondiEliminaUn convertito comunque non è necessariamente un santo. In genere anzi è proprio una persona come tutti noi, con un po' di fede religiosa che prima non aveva.
chi puo' dirmi qualcosa di piu' preciso sulla storia di Manzoni che fa mesmerizzare la fantesca..??
RispondiEliminaSia come sia, il buon Manzoni era un liberale della più bell'acqua. Anzi, molto peggio, un cattolico-liberale. Salva tamen la sua eccelsa produzione letteraria.
RispondiEliminaAlfredo.
Meno male, comunque, che ha scritto altro...
RispondiEliminaPer aspera ad astra!
RispondiEliminaMa parecchio aspra... (uomo intelligente, don Lisander se ne avvide per tempo)
RispondiEliminaOltre che ancora acerbo qui era un fisico da maratoneta costretto a cimentarsi sui duecento metri. Ma aveva già scelto l'allenatore giusto, caro Franco!
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