Venerati e cari Confratelli,
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Di certo si è prolungato, oltre ogni buon senso, un pesante lavorio di critica − dall’Italia e soprattutto dall’estero − nei riguardi del nostro amatissimo Papa, a proposito dapprima della remissione della scomunica ai quattro Vescovi consacrati da Monsignor Lefebvre nel 1988, e al caso Williamson che imponderabilmente vi si è come sovrapposto.
Sul merito di queste due vicende, quello che di importante c’era da dire l’abbiamo sollecitamente detto appunto in occasione della precedente prolusione. Nessuno tuttavia poteva aspettarsi che le polemiche sarebbero proseguite, e in maniera tanto pretestuosa, fino a configurare un vero e proprio disagio, cui ha inteso porre un punto fermo lo stesso Pontefice con l’ammirevole Lettera del 10 marzo 2009, indirizzata ai Vescovi della Chiesa Cattolica. Di proposito non vogliamo tornare sulle accuse maldestre rivolte con troppa noncuranza al Santo Padre.
Merita molto di più invece concentrarci sulla citata Lettera che, come atto autenticamente nuovo, ha subito attirato un vasto consenso. La grande impressione che essa ha suscitato è per buona parte dovuta alla forza interiore che emerge dall’intero testo e da ciascuna delle sue parole, anche le più amare.
La sua disanima, per certi versi conturbante, degli ultimi episodi − ma, per analogia, anche di certe discutibili e ricorrenti prassi ecclesiali − ha fatto emergere come per contrasto il candore di chi non ha nulla da nascondere circa le proprie reali intenzioni, le motivazioni concrete delle proprie scelte, la coerenza di una vita vissuta unicamente all’insegna del servizio più trasparente alla Chiesa di Cristo.
Per questo non stentiamo affatto a riconoscere nell’iniziativa papale l’azione di quello Spirito di Dio che svela i disegni dei cuori e sa trarre il massimo bene anche dalle situazioni più irte e penose. Il che non significa naturalmente attenuare la severità di un giudizio che nella carità va pur dato circa atteggiamenti e parole che hanno portato a una situazione cui non si sarebbe dovuti arrivare, alimentando interpretazioni sistematicamente allarmistiche e comportamenti diffidenti nei riguardi della Gerarchia.
Con ferma e concreta convinzione facciamo nostro l’appello alla riconciliazione più genuina e disarmata cui la Lettera papale sollecita l’intera Chiesa.
E questo naturalmente esclude che si perpetuino letture volte a far dire al Papa ciò che egli con tutta evidenza non dice. Che è un modo discutibilissimo, persino un po’ insolente, per costruirsi una posizione distinta dal corretto agire ecclesiale.
Molto meglio identificarsi in quella che è la migliore tradizione del nostro cattolicesimo: stare con il Papa, sempre e incondizionatamente. Il che da una parte comporta il nostro sintonizzarci sulle ancor più evidenti priorità del suo ministero: «Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia» e «avere a cuore l’unità dei credenti», priorità che coinvolgono tutti, ciascuno per la propria responsabilità. E, dall’altra, esige di pregare intensamente per lui e con lui, ossia con le sue stesse intenzioni: e questo aiuta a purificare il nostro sguardo sulla Chiesa, mistero di salvezza per il mondo.
In queste ore peraltro il Santo Padre sta portando a termine un’importante visita apostolica nel Camerun e in Angola. Nelle sue intenzioni essa aveva «per orizzonte» l’intero continente africano (cfr Benedetto XVI, Saluto all’arrivo a Luanda, 20 marzo 2009). Si è trattato di un viaggio impegnativo e ad un tempo ricco di speranza. Ciò che lì è avvenuto e il magistero che vi si è esplicato hanno avuto localmente una grande eco, come in noi hanno suscitato un profondo coinvolgimento e una viva commozione: per questo non mancheremo di ritornare sul significato di codesto pellegrinaggio, che fin dall’inizio è stato sovrastato nell’attenzione degli occidentali da una polemica – sui preservativi − che francamente non aveva ragione d’essere. Non a caso, sui media africani non si è riscontrato alcun autonomo interesse, se non fosse stato per l’insistenza pregiudiziale delle agenzie internazionali, e per le dichiarazioni di alcuni esponenti politici europei o di organismi sovranazionali, cioè di quella classe che per ruolo e responsabilità non dovrebbe essere superficiale nelle analisi né precipitosa nei giudizi. Si è avuta come la sensazione che si intendesse non lasciarsi disturbare dalle problematiche concrete che un simile viaggio avrebbe suscitato, specie in una fase di acutissima crisi economica che richiede ai rappresentanti delle istituzioni più influenti una mentalità aperta e una visione inclusiva. Non ci sfugge tuttavia che nella circostanza non ci si è limitati ad un libero dissenso, ma si è arrivati ad un ostracismo che esula dagli stessi canoni laici. L’irrisione e la volgarità tuttavia non potranno far mai parte del linguaggio civile, e fatalmente ricadono su chi li pratica. Infatti, la conferma più significativa circa la pertinenza delle parole del Papa sull’argomento è venuta da quanti – professionisti, politici e volontari – operano nel campo della salute e dell’istruzione. C’è da promuovere un’opera di educazione ad ampio raggio, che va inquadrata nella mentalità degli africani e si concretizza in particolare nella promozione effettiva della donna; soprattutto bisogna alimentare le esperienze di cura e di assistenza, finanziando la distribuzione di medicinali accessibili a tutti. Com’è noto la Chiesa, compresa quella italiana, è coinvolta con persone e mezzi in questa linea di sviluppo. Ma chiediamo anche ai governi di mantenere i propri impegni, al di là della demagogia e di logiche di controllo neo-colonialista. E mentre invitiamo i diversi interlocutori a non abbandonare mai il linguaggio di quel rispetto che è indice di civiltà, vorremmo anche dire – sommessamente ma con energia − che non accetteremo che il Papa, sui media o altrove, venga irriso o offeso. Per tutti egli rappresenta un’autorità morale che questo viaggio ha semmai fatto ancor più apprezzare. Per i cattolici è Pietro che, con le reti del pescatore e nel nome del Signore Gesù, continua a raggiungere i lidi del mondo. Noi, che con trepidazione e preghiera l’abbiamo accompagnato in questo pellegrinaggio, ci apprestiamo ora a salutare con affetto il suo felice ritorno.
Dalla prolusione del card. Bagnasco ieri alla C.E.I, leggibile sul Papa Ratzinger blog
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Di certo si è prolungato, oltre ogni buon senso, un pesante lavorio di critica − dall’Italia e soprattutto dall’estero − nei riguardi del nostro amatissimo Papa, a proposito dapprima della remissione della scomunica ai quattro Vescovi consacrati da Monsignor Lefebvre nel 1988, e al caso Williamson che imponderabilmente vi si è come sovrapposto.
Sul merito di queste due vicende, quello che di importante c’era da dire l’abbiamo sollecitamente detto appunto in occasione della precedente prolusione. Nessuno tuttavia poteva aspettarsi che le polemiche sarebbero proseguite, e in maniera tanto pretestuosa, fino a configurare un vero e proprio disagio, cui ha inteso porre un punto fermo lo stesso Pontefice con l’ammirevole Lettera del 10 marzo 2009, indirizzata ai Vescovi della Chiesa Cattolica. Di proposito non vogliamo tornare sulle accuse maldestre rivolte con troppa noncuranza al Santo Padre.
Merita molto di più invece concentrarci sulla citata Lettera che, come atto autenticamente nuovo, ha subito attirato un vasto consenso. La grande impressione che essa ha suscitato è per buona parte dovuta alla forza interiore che emerge dall’intero testo e da ciascuna delle sue parole, anche le più amare.
La sua disanima, per certi versi conturbante, degli ultimi episodi − ma, per analogia, anche di certe discutibili e ricorrenti prassi ecclesiali − ha fatto emergere come per contrasto il candore di chi non ha nulla da nascondere circa le proprie reali intenzioni, le motivazioni concrete delle proprie scelte, la coerenza di una vita vissuta unicamente all’insegna del servizio più trasparente alla Chiesa di Cristo.
Per questo non stentiamo affatto a riconoscere nell’iniziativa papale l’azione di quello Spirito di Dio che svela i disegni dei cuori e sa trarre il massimo bene anche dalle situazioni più irte e penose. Il che non significa naturalmente attenuare la severità di un giudizio che nella carità va pur dato circa atteggiamenti e parole che hanno portato a una situazione cui non si sarebbe dovuti arrivare, alimentando interpretazioni sistematicamente allarmistiche e comportamenti diffidenti nei riguardi della Gerarchia.
Con ferma e concreta convinzione facciamo nostro l’appello alla riconciliazione più genuina e disarmata cui la Lettera papale sollecita l’intera Chiesa.
E questo naturalmente esclude che si perpetuino letture volte a far dire al Papa ciò che egli con tutta evidenza non dice. Che è un modo discutibilissimo, persino un po’ insolente, per costruirsi una posizione distinta dal corretto agire ecclesiale.
Molto meglio identificarsi in quella che è la migliore tradizione del nostro cattolicesimo: stare con il Papa, sempre e incondizionatamente. Il che da una parte comporta il nostro sintonizzarci sulle ancor più evidenti priorità del suo ministero: «Condurre gli uomini verso Dio, verso il Dio che parla nella Bibbia» e «avere a cuore l’unità dei credenti», priorità che coinvolgono tutti, ciascuno per la propria responsabilità. E, dall’altra, esige di pregare intensamente per lui e con lui, ossia con le sue stesse intenzioni: e questo aiuta a purificare il nostro sguardo sulla Chiesa, mistero di salvezza per il mondo.
In queste ore peraltro il Santo Padre sta portando a termine un’importante visita apostolica nel Camerun e in Angola. Nelle sue intenzioni essa aveva «per orizzonte» l’intero continente africano (cfr Benedetto XVI, Saluto all’arrivo a Luanda, 20 marzo 2009). Si è trattato di un viaggio impegnativo e ad un tempo ricco di speranza. Ciò che lì è avvenuto e il magistero che vi si è esplicato hanno avuto localmente una grande eco, come in noi hanno suscitato un profondo coinvolgimento e una viva commozione: per questo non mancheremo di ritornare sul significato di codesto pellegrinaggio, che fin dall’inizio è stato sovrastato nell’attenzione degli occidentali da una polemica – sui preservativi − che francamente non aveva ragione d’essere. Non a caso, sui media africani non si è riscontrato alcun autonomo interesse, se non fosse stato per l’insistenza pregiudiziale delle agenzie internazionali, e per le dichiarazioni di alcuni esponenti politici europei o di organismi sovranazionali, cioè di quella classe che per ruolo e responsabilità non dovrebbe essere superficiale nelle analisi né precipitosa nei giudizi. Si è avuta come la sensazione che si intendesse non lasciarsi disturbare dalle problematiche concrete che un simile viaggio avrebbe suscitato, specie in una fase di acutissima crisi economica che richiede ai rappresentanti delle istituzioni più influenti una mentalità aperta e una visione inclusiva. Non ci sfugge tuttavia che nella circostanza non ci si è limitati ad un libero dissenso, ma si è arrivati ad un ostracismo che esula dagli stessi canoni laici. L’irrisione e la volgarità tuttavia non potranno far mai parte del linguaggio civile, e fatalmente ricadono su chi li pratica. Infatti, la conferma più significativa circa la pertinenza delle parole del Papa sull’argomento è venuta da quanti – professionisti, politici e volontari – operano nel campo della salute e dell’istruzione. C’è da promuovere un’opera di educazione ad ampio raggio, che va inquadrata nella mentalità degli africani e si concretizza in particolare nella promozione effettiva della donna; soprattutto bisogna alimentare le esperienze di cura e di assistenza, finanziando la distribuzione di medicinali accessibili a tutti. Com’è noto la Chiesa, compresa quella italiana, è coinvolta con persone e mezzi in questa linea di sviluppo. Ma chiediamo anche ai governi di mantenere i propri impegni, al di là della demagogia e di logiche di controllo neo-colonialista. E mentre invitiamo i diversi interlocutori a non abbandonare mai il linguaggio di quel rispetto che è indice di civiltà, vorremmo anche dire – sommessamente ma con energia − che non accetteremo che il Papa, sui media o altrove, venga irriso o offeso. Per tutti egli rappresenta un’autorità morale che questo viaggio ha semmai fatto ancor più apprezzare. Per i cattolici è Pietro che, con le reti del pescatore e nel nome del Signore Gesù, continua a raggiungere i lidi del mondo. Noi, che con trepidazione e preghiera l’abbiamo accompagnato in questo pellegrinaggio, ci apprestiamo ora a salutare con affetto il suo felice ritorno.
Dalla prolusione del card. Bagnasco ieri alla C.E.I, leggibile sul Papa Ratzinger blog
bella riflessione, per cardinali vescovi, preti e laici. c'è troppa gente pretende di insegnare al papa come si fa il papa
RispondiEliminama "la sua disanima" è "la sua disamina"
Condivido l'analisi di Bagnasco e la fo mia, almeno per quel che riguarda gli avvenimenti a cui si riferisce.
RispondiEliminaMa quell' "esser col papa sempre ed incondizionatamente" così generalizzato non è accettabile: un Papa immorale o assassino va trattato da immorale e da assassino, anche se difende la Fede: in questo resta Papa. Un Papa che tradisce la Fede e propala l'eresia (ad es. Giovanni XXII) sia pure come dottore privato, non può esigere l'adesione incondizionara al suo insegnamento: gli occhi bisogna tenerli aperti per capire ciò che è Magistero infallibile e ciò che è opinione e come tale magari fallace.
Insomma, una cosa è l'infallibilità del Papa, raramente impegnata, ed una cosa l'infallibilismo, o, come amava dire il grande biblista mons. Spadafora, la papolatria.
Quindi preghiamo per il Papa, amiamolo, seguiamolo con fiducia, ma in casi di veramentre motivata perplessità sul Magistero non infallibile, non certo ecc. studiamo.
I casi di papi che ingannano il gregge non son certo quotidiani, anzi direi che son davvero molto rari. Fedeltà, dunque, ma anche saggio vaglio.
E soprattutto, evitiamo il "santo subito" immediatamente dopo la loro morte. La santità mediatica deve tornar a lasciar il posto alla santità proclamata dopo anni ed anni di studi approfonditi specie nei pontificati lunghi e complessi.
Io son sicuro che il "mio" Papa, Pio XII, è in Paradiso. M'indigna che se ne ritardi la beatificazione per ingerenze aberranti, però mai ho gridato "santo subito". Neppure ora. Santo quando la Chiesa avrà tutte le tessere che compongono il mosaico della sua santità.
Condivido l'analisi di Dante e la fo mia, mi viene da dire. E nella fattispecie, data la qualità del Pontefice attualmente al sacro soglio, condivido a fortiori l'analisi del cardinal Bagnasco.
RispondiEliminaCredo che quando avrò l'età di Dante, potrò anch'io dire di Benedetto XVI che è il "mio" Papa. Ma anche a me pare che trasformare un sant'uomo in un san Subito sia una sciocchezza. Le canonizzazioni spray - e ne abbiamo vista qualcuna sotto il penultimo pontificato - sanno di forzatura e finiscono per autoipotecarsi (quando poi si fanno le corse per ottenere intestazioni di piazze e vie...).
Mons. Bagnasco non intendeva sicuramente dire che bisogna stare incondizionatamente con il papa anche se per avventura questi impazzisse e si mettesse a sparare sulla folla all'Angelus! Capisco però quello che intende Dante: ci sono papi con i quali ci sentiamo in piena sintonia (e per me Benedetto XVI è uno di questi), altri con i quali questa sintonia non è proprio così piena. Ma la Chiesa parla a un'umanità molto varia, con diverse sensibilità e sfumature, e i papi possono di volta in volta avvicinarsi più all'una che all'altra. Forse proprio per questo si dice che i cardinali in conclave amino la regola dell'alternanza, cercando di scegliere un papa che non sia la fotocopia del predecessore. Un po' di varietà non guasta, fatta salva la custodia del depositum. Quanto alle invocazioni di "santi subito", sono più che altro il frutto delle emozioni di momenti particolari, che poi si stemperano senza drammi eccessivi. Si è visto in più di un'occasione.
RispondiEliminaPer i visitatori non tanto informati e per evitare di essere trattati come "i cattolici della vergogna" come qualcuno ha fatto qui alcuni giorni fà,vorrei sottolineare che quando il prof.Pastorelli parla di Giovanni XXII come di un Papa che "tradisce la Fede e propala l'eresia" fa riferimento proprio a Papa Giovanni XXII(all'epoca della cattività avignonese) e non a Papa Roncalli.
RispondiEliminaNon si tratta di un refuso insomma.
Anche perché Angelo Roncalli fu Giovanni XXIII (23°) e non XXII (22°), come l'eretico del quale si dice, però, che in punto di morte siasi ravveduto.
RispondiEliminaLa confusione poteva esserci semmai con il Giovanni XXIII del XV secolo, il quale fu antipapa, sì, ma non eretico (è sepolto nel Battistero di San Giovanni in Firenze).
Sono certo però che Dante (Pastorelli) intenda riferirsi proprio a Giovanni XXII, quello che posponeva la visione beatifica alla resurrezione dei morti e che Dante (Alighieri) ficca all'inferno.
Ma tu che sol per cancellare scrivi
RispondiEliminapensa che Pietro e Paulo, che moriro
per la vigna che guasti, ancor son vivi.
(Se è a Giovanni XXII che Dante qui si riferisce)
Il sommo poeta, caro Jacopo, lui sì santo subito! Tre miracoli, come minimo, li ha fatti: l'Inferno, il Purgatorio e il Paradiso...
RispondiEliminaMi riferisco naturalemente a Giovanni XXII, che con la sua ereticale sortita secondo cui le anime sante non erano ammesse visione divina immediatamente dopo la morte, ma solo dopo il Giudizio universale.
RispondiEliminaQuanto a Bagnasco, no Jacopo, egli parla di nostra tradizione d'essere incondizionatamente sempre col Papa. Non parla di sfumature di sensibilità. Io mi sento più vicino a Pio XII non per sensibilità ma per la perfetta ortodossìa di tutto il suo Magistero e la sapienza con cui ha guidato la Chiesa in periodi burrascosi. Poi, ovviamente ci sono anche motivi di gratitudine e di amore filiale per la formazione che m'ha dato da bambino e adolescente.
Ho fatto due ipotesi: un Papa assassino ed immorale sotto questo profilo è condannabile, e non lo si deve seguire inconsdizionatanmente, ma si deve far ciò s'egli mantiene integra la Fede: lo si deve seguir incondizionatamente come Papa.
Mentre un Papa di ascetia vita personale, ma che deraglia nella dottrina, non lo si deve seguire incondizionatamente. Incondizionatamente si segue il Papa, santo o perfido che sia, solo quando si esprime nel magistero infallibile.
Poi ossequio, ma sempre cum grano salis.
Prima del sonno, pochi post ma belli:
RispondiEliminaPernice, Antonello e Pastorelli.
Caro Dante, la teologia discute da sempre di cosa accadrebbe e come ci si dovrebbe comportare nel caso in cui si avesse un papa eretico. Probabilmente cesserebbe ipso facto di essere papa (secondo molti tuttavia lo Spirito Santo non lo permetterebbe). Lei però ritiene che, diciamo per restringere il campo, negli ultimi cento anni ci siano stati papi eretici o sospetti di eresia?
RispondiEliminaVisto che Jacopo cita il Sommo Poeta, vale la pena di ricordare che Dante "ficca all'inferno" Giovanni XXII nel senso che lo condanna duramente. Non lo ficca, invece, nell'Inferno con la I maiuscola. Possiamo dire che lo "destina" all'inferno, visto che ne scrive mentre quel papa viveva e vegetava (e dopo la morte di Dante, Giovanni XXII visse e vegetò per altri 13 anni).
RispondiEliminaPer chi ama il Sommo, i versi da consultare sono nel Paradiso: XVIII, 130-136 e XXVII, 58-60.