Continuiamo la nostra analisi sul pontificato di Francesco e sul prossimo Conclave,
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Luigi C.
Wanderer, 22 aprile 2025, di Ludovicus
Durante dodici anni amari, in questo blog abbiamo analizzato ad nauseam il pontificato che sta volgendo al termine. Non ho nulla di nuovo da aggiungere, ma è necessario parlare ancora una volta di Bergoglio per smettere di parlare di Bergoglio per sempre, anche se la portata del danno inflitto alla Chiesa potrà essere apprezzata solo tra qualche decennio. E preghiamo per l'uomo, noi che non possiamo pregare per il papa.
La Chiesa romana ha avuto la tremenda sfortuna, per la prima volta nella sua storia, di avere alla sua guida qualcuno che praticava sistematicamente il cannibalismo istituzionale: l'esaltazione di sé a spese dell'Istituzione. Non illudiamoci, se il mondo odia il cattolicesimo, e non occorre un dottorato per rendersene conto, l'unico modo per conquistarlo, in mancanza di qualsiasi dote, è mangiare la fama della Chiesa denigrandola. Sono innumerevoli le condoglianze di agnostici, atei e comunisti che ora confessano la loro adesione al papa defunto, senza che tale sentimento li abbia avvicinato di un millimetro alla fede. Anzi, continuano a odiare il cattolicesimo proprio per lo stesso motivo per cui amano Bergoglio. Perché ciò che un progressista desidera in definitiva è un papa che rinunci alle sue funzioni e lasci i simboli del potere ai piedi di una convenzione di atei, come fece l'arcivescovo di Parigi Gobel durante la Rivoluzione. In questa linea, Bergoglio arrivò persino a inventare una “benedizione silenziosa” per rispetto degli atei, in una delle prime riunioni del pontificato.
In una visione d'insieme, ora ci è chiaro che il suo pontificato è stato un'altra ondata del grande movimento del wokismo obamista nella Chiesa. Se il contesto fosse stato diverso, l'atteggiamento sarebbe stato diverso, perché Bergoglio era prima di tutto un politico opportunista fino al midollo, che non distingueva la religione dalla politica. In questo modo, ha resuscitato la Bestia progressista che era ferita ma è tornata in vita, portando alle sue estreme conseguenze l'impulso antropocentrico iniziato nel Concilio Vaticano II. È stato certamente l'incarnazione dello spirito del Concilio, in una parabola iniziata con l'ecumenismo e culminata letteralmente con l'idolatria. Distrusse, per quanto poté, l'opera intellettuale, spirituale e liturgica del suo predecessore, poiché Benedetto, con la sua aristocratica intelligenza, il suo recupero della liturgia tradizionale, il suo raffinato amore per le distinzioni e, in ultima analisi, i suoi modi, era davvero la sua controfigura, e con lui dovette fare i conti per gran parte del suo pontificato. Quest'ultimo profetizzò un residuo fedele, Ecclesia Dei, operante nella massa della società neopagana. Quello preconizzava una Chiesa che si identificasse con l'umanità senza altro requisito di appartenenza che un umanesimo gelatinoso che eludesse con maestria il politicamente scorretto; il principale ostacolo teologico, la nozione di grazia e di stato di grazia. L'eredità di Benedetto è sotto gli occhi di tutti ed è il probabile programma per il futuro; quella di Bergoglio, il Papa del Mondo, consisterà in tutto ciò che un papa non deve fare in futuro.
Chiaramente non era all'altezza, e ha compensato. Con gesti di finta semplicità (che è l'umiltà degli incapaci), comportandosi in modo ridicolo durante le visite di Stato con una valigetta, con le scarpe consumate, pagando di persona i conti dell'albergo, viaggiando in auto di bassa gamma, vivendo in un albergo per passeggeri. In ciò che conta davvero, ha fatto «gesti» che nessun predecessore aveva osato fare: licenziare i vescovi come si licenzia un domestico, ignorare le richieste formali dei cardinali, giudicare le persone violando le norme procedurali, affermare incredibilmente che «le forme e gli schemi del passato» in teologia dovevano essere sostituiti da una visione in cui «l'universalità deve essere scartata e sostituita dalla singolarità», con cui liquidava duemilaquattrocento anni di metafisica, quasi sopprimendo il rito tradizionale, eccetera. Ha persino osato cambiare la versione bimillenaria del Padre Nostro perché non la capiva. Non c'era modestia. Gesti dietro i quali si intuiva il porteño che esce nel mondo, ingigantito dall'insicurezza, toro nella corrida e torazo nel rodeo altrui. C'è un'eco di Carlitos e delle sue bionde di New York o, paradossalmente, di Evita prima dell'udienza con Pio XII, mentre discuteva l'ammontare dell'elemosina con Dodero in base al titolo nobiliare che le sarebbe stato eventualmente concesso, perché «il Papa non mi fotterà».
Cattivo amministratore, alla sua confessata disorganizzazione aggiungeva la scarsa accortezza nella scelta dei collaboratori che lo accompagnarono nel rovinare lo Stato Vaticano. Compensava anche la sua ingenuità non mantenendo fedeltà a nessuno: elevò furfanti e cinici scettici di ogni genere che lo ingannarono e lo truffarono, i quali egli a sua volta gettò dalla rupe Tarpea. Ha quindi sterminato i suoi nemici e perseguitato i suoi amici, se i tiranni hanno amici. Ha fatto sprofondare la Chiesa nell'irrilevanza, coinvolgendola in cause secolari e assurde. Ha promosso le peggiori pratiche, il socialismo e il populismo, in un connubio paradossale con l'agenda dell'elitismo globale. E se a metà del suo pontificato un autore illustre ha potuto definirlo Papa Dittatore, alla fine si è meritato il soprannome di tiranno. E come tale tiranno, ha infranto le sue stesse regole e ha finito per attaccare la legge suprema: da un lato, ha fatto scomparire dall'orizzonte concettuale lo stato di grazia, l'idea che esistono giusti e peccatori; dall'altro, con la sua Amoris Laetitia, ha distrutto il nucleo della morale cristiana, l'esistenza di atti intrinsecamente malvagi, con conseguenze che si moltiplicano come metastasi in tutto l'ambito morale, culminando nella benedizione di coppie di sodomiti, cosa che non si vedeva a Roma dai tempi del connubio tra Nerone e Sporo.
A suo favore diremo che era un uomo antropologicamente distrutto, attraversato da contraddizioni e pregiudizi che lo rendevano inestricabile, forse anche per se stesso. Un uomo con una pessima formazione che poteva essere definito buono quando si dedicava a cause umanitarie o si preoccupava degli anziani. Qualcuno che chiama ogni giorno una parrocchia di Gaza o un anziano dimenticato e malato, non lo fa per ostentazione politica. Non gli importava di quale religione fossero, ma che educassero i bambini e dessero loro da mangiare, diceva, un amore - ancora una volta - alla Evita. Ma poteva anche essere feroce e vendicativo con chi gli si opponeva, soprattutto i suoi confratelli vescovi. In alcune cose era scandalosamente convenzionale, più per limitatezza intellettuale e disprezzo per l'intelletto speculativo che per tradizione. Ribadiva con pari ignoranza e buona intenzione che l'embrione, già al mese di vita, aveva un DNA autonomo. In altre cose, era un semplice ripetitore dei mantra dei mass media e dei luoghi comuni che la borghesia occidentale recita dai tempi degli enciclopedisti. Forse il suo massimo traguardo era quello di parroco permissivo o leader di quartiere o militante sociale, ma chiaramente non aveva le doti di un levita né di un bramano. Tutti i controlli fallirono e arrivò al trono di Pietro, in una misteriosa ripetizione di ciò che accade a noi argentini con coloro che portiamo al potere.
La formazione gesuita lo segnò a fuoco, soprattutto nella reazione che tentò contro quell'impronta. Un temperamento autoritario, basato sul volontarismo, fiorì sicuramente in una personalità scrupolosa simile a quella di Lutero. Incapace di respirare nella fitta giungla di norme e precetti gesuiti, in un momento di crisi personale e di declino politico nella Compagnia, cadde in depressione e decise di liberarsene, ricorrendo alle teologie permissive della dissidenza e ai servizi di una psicoanalista ebrea. Lo aveva avvertito il buon Orazio (Ep ad Pis., v. 31), molto prima del pericoloso oppositum per diametrum: fuggire da una colpa conduce al vizio, se si è privi di arte. E di arte ne mancava davvero.
Quando era pontefice, il motto era incitare i giovani a «fare casino» (Mao lo aveva già fatto all'inizio della Rivoluzione Culturale) e il conciliarismo più anarchico, a partire da sinodi i cui temi sarebbero stati la delizia di Lewis Carroll («sinodo sulla sinodalità» è l'insulto all'intelligenza più brutale che conosca). Tuttavia, la struttura autoritaria e volontaristica è rimasta: si è solo liberata dall'acqua della vasca insieme al bambino, ma ha tenuto la vasca e l'ha riempita di nuovi mandati, arbitrari e demagogici, ma pur sempre mandati. Ha abolito i comandamenti, ma ha creato nuovi peccati. Stigmatizzava chi stigmatizza, condannava chi condanna, spettegolava contro i pettegoli, fulminava l'autoreferenzialità in scritti in cui citava se stesso in modo schiacciante, senza percepire, ne siamo certi, la contraddizione sanguinosa. C'è qui un disturbo probabilmente involontario o patologico, va detto, e questo eclissi della ragione è un'attenuante della follia. Urbano VI non è solo nella vasta lista.
Tutti, tutti, tutti, tranne quelli che si opponevano alla sua volontà, che erano rigidi, retrogradi, insomma, malati di mente: come non ricordare il corollario che ne trassero i sovietici mandando i dissidenti in cliniche psichiatriche. Su questo modello si riversava anche un certo risentimento, inspiegabile, come ogni risentimento, in chi aveva ricevuto tutto e aveva guadagnato tutto, da origini oscure e da un'intelligenza mediocre, molto mediocre, che lo portò a disprezzare l'ordine e le gerarchie sociali. Così come ha alimentato il fariseismo di coloro che si vantano di non essere farisei, ha praticato la mondanità dei populisti, arrivando a confessare che non si occupava quasi per nulla della classe media. Si direbbe che volesse trasformare il mondo in una grande missione gesuita guidata da Fidel Castro. La sua versione della carità sociale, anarchica e sfrenata, forse suscettibile alla critica di Nietzsche alla “morale degli schiavi”, ha dato pieno significato alla parola “pobrismo”: elogio della povertà non come virtù ma come necessità, che rende moralmente superiori coloro che la subiscono. La sua ignoranza dei rudimenti dell'economia, unita al suo tenace rifiuto di studiare qualcosa di nuovo, lo portò all'esaltazione dell'arretratezza, della rovinosa pianificazione socialista, dei «movimenti sociali» e delle invasioni mascherate da «immigrazione». Ovviamente: se aveva liquidato la teologia morale e la metafisica, come avrebbe potuto non seppellire la dottrina sociale della Chiesa?
Era un uomo distrutto. La sua intelligenza, modesta, ideologizzata, distorta dal pragmatismo, sganciata dal giogo della verità, era al servizio di obiettivi di potere. Per ottenere quel potere doveva adulare le orecchie delle élite e dei media. Probabilmente voleva quel potere con buone intenzioni, nella misura in cui l'errore è compatibile con le “buone” intenzioni e la bontà deriva dalla convinzione. Secoli di volontarismo e casuismo si accumulavano come detriti sulla sua intelligenza automutilata. La verità era schiava della validità e dell'“effetto”; la volontà, la sua volontà, il padrone supremo che parlava di tolleranza zero e allo stesso tempo proteggeva gli “amici” abusivi o persino i preti “selvaggi” di destra o di sinistra. Come ogni leader fallito, ha distrutto l'istituzione, erigendo muri di separazione tra i suoi membri per intronizzare i propri pregiudizi. Nel frattempo, la Chiesa, scristianizzata e senza identità, poteva offrire un cappellano al Nuovo Ordine e allo Spirito di Davos, guidando tutte le religioni, tutte preziose e salvifiche, che conducono al dio innominato.
Una volta, sorprendentemente, attribuì all'azione di Satana la resistenza dei suoi oppositori conservatori e ortodossi. Ripeteva la battuta di pregare per lui, non contro di lui. È possibile che credesse di compiere la volontà di Dio con le azioni disastrose che abbiamo descritto, poiché questo tipo di uomini raramente si esaminano con rigore, se mai lo fanno, nelle loro posizioni radicali e nei mezzi che utilizzano per raggiungere i fini prefissati. E tanto meno esaminano la loro intelligenza e i loro enormi pregiudizi. Credono che il Male sia ciò che si oppone a loro, vivono in un infantilismo morale e nevrotico e in uno stato di superiorità morale permanente. In questo tutti i tiranni sono uguali. Sono un mistero e anche se li interrogassimo, come Jago alla fine dell'Otello, come Bartleby nel romanzo di Melville, non ci rivelerebbero il loro segreto. Solo Dio li conosce, solo Dio li giudica, e speriamo che la sua misericordia non manchi né a loro né a noi. Siamo tutti contagiati, facciamo tutti parte di una generazione perversa.
Affidiamo quindi quest'uomo distrutto alla misericordia di Dio, preghiamo per la sua anima e chiediamo che ci mandi un Papa integro, o almeno completo.
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