Inginocchiamoci sempre per ricevere la S. Comunione.
Luigi C.
14-4-25 Investigatore Biblico
Ci sono gesti che parlano più delle parole, che custodiscono in sé un linguaggio profondo, fatto di memoria, di umiltà, di amore. Tra questi, inginocchiarsi è forse il più eloquente, eppure oggi così trascurato, dimenticato, a volte perfino deriso. Inginocchiarsi per ricevere l’Eucaristia non è un atto superfluo, né una formalità liturgica da osservare distrattamente: è un gesto che educa l’anima, la piega, la plasma, la dispone al Mistero. È un linguaggio del corpo che diventa parola dello spirito.
Gesù, nella sua vita terrena, ha conosciuto il significato profondo dell’abbassarsi. Non ha disdegnato di chinarsi davanti ai piedi impolverati dei discepoli, per lavarli con l’acqua e l’amore (Gv 13,5). Non ha esitato a inginocchiarsi nel Getsemani, “prostrato con la faccia a terra, pregava” (Mt 26,39), accettando la volontà del Padre nell’intimità più dolorosa e vera. Se il Figlio di Dio ha scelto la via dell’umiliazione, quanto più noi, creature fragili e amate, dovremmo trovare in quel piegarci il senso della nostra fede.
Inginocchiarsi non è un atto di sottomissione sterile, ma il riconoscimento che Qualcuno ci supera infinitamente in santità, in misericordia, in tenerezza. È confessare con tutto il nostro essere che siamo mendicanti di grazia, e che nel Pane spezzato davanti a noi si cela la Presenza reale, viva, sostanziale, palpitante del Signore. “Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra” (Fil 2,9-10). Ogni ginocchio. Il nostro ginocchio.
Viviamo in un tempo in cui l’ergersi sembra l’unica postura accettabile: ergersi in difesa delle proprie opinioni, dei propri diritti, dei propri desideri. Eppure, è inginocchiandoci che ritroviamo la verità su noi stessi. La Chiesa, madre sapiente, ha sempre intuito che il corpo insegna all’anima, che il gesto prepara il cuore. Inginocchiarsi prima del Sacramento è già un atto di fede, è dire: “Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa, ma di’ soltanto una parola e io sarò salvato” (Mt 8,8). È come fare spazio dentro di noi, allargare l’anfora perché possa contenere il fuoco.
Il gesto dell’inginocchiarsi è silenzioso, ma non è vuoto: è colmo di adorazione. Chi si inginocchia non si guarda, ma guarda l’Altro. In un tempo che ci educa al protagonismo, all’autosufficienza, a rimanere sempre in piedi e sempre al centro, inginocchiarsi è controcorrente. Ma è proprio nel silenzio di questo gesto che l’anima riprende il respiro. È lì che l’Eucaristia ci raggiunge davvero, non solo nella bocca, ma nel cuore, nella carne, nelle viscere. Perché ci siamo fatti piccoli, poveri, aperti.