Grazie ad Investigatore Biblico per questa analisi sulle nuove traduzioni bibliche.
Luigi C.
11-3-25
L’Apocalisse di Giovanni è un testo profondamente simbolico che descrive la lotta tra il bene e il male, tra il Regno di Dio e le potenze che si oppongono alla sua signoria. Nel capitolo 13 viene introdotta la figura della bestia che sale dal mare, un’immagine che richiama le visioni del profeta Daniele e rappresenta il potere politico e religioso ostile a Dio. Questa bestia riceve potere dal drago, simbolo di Satana, e si presenta come una parodia del Cristo, pretendendo adorazione e sottomissione. Il versetto 1 in particolare ci mostra un dettaglio significativo: sulle sue teste vi sono nomi di blasfemia, segno della sua opposizione totale a Dio e alla sua verità. Tuttavia, alcune traduzioni, come la CEI 1974 e la CEI 2008, hanno reso questo passaggio in modo riduttivo, traducendo con “un titolo blasfemo”. Esaminare questa discrepanza non è solo una questione filologica, ma teologica, perché incide sulla comprensione del messaggio dell’Apocalisse e sulla corretta lettura della Scrittura.
Il testo dell’Apocalisse 13,1 presenta un dettaglio fondamentale che alcune traduzioni italiane, come la CEI 1974 e la CEI 2008, hanno reso in modo riduttivo rispetto all’originale greco e alla Vulgata di San Girolamo. Il testo greco afferma: καὶ ἐπὶ τὰς κεφαλὰς αὐτοῦ ὀνόματα βλασφημίας (kai epi tas kephalas autou onomata blasphēmias), che San Girolamo ha tradotto fedelmente come “et super capita ejus nomina blasphemiæ”. Si tratta chiaramente di un’espressione al plurale, che indica la presenza di più nomi di blasfemia sulle teste della bestia.
Le traduzioni CEI 1974 e 2008, invece, adottano una scelta singolare: “un titolo blasfemo”. Questo porta a una lettura che non solo si discosta dal testo originale, ma altera la portata simbolica del passo. Dire che la bestia ha “un titolo blasfemo” implica che vi sia una sola designazione offensiva contro Dio, mentre il testo greco ci mostra che ogni testa porta diversi nomi blasfemi, sottolineando così la molteplicità e la diffusione della bestemmia attraverso il potere rappresentato dalla bestia.
L’Apocalisse utilizza un linguaggio altamente simbolico, e il dettaglio della pluralità dei nomi non è irrilevante. In tutta la Scrittura, il “nome” indica l’identità e la missione di qualcuno. Qui si parla di nomi di bestemmia, il che suggerisce che la bestia non ha una sola espressione blasfema, ma molteplici forme di opposizione a Dio. Questo è coerente con l’uso apocalittico delle immagini della bestia, che rappresentano imperi, potenze e sistemi ostili alla sovranità divina.
La Vulgata mantiene con esattezza la pluralità del testo greco, e questo non è un dettaglio secondario. Se San Girolamo, con la sua padronanza delle lingue bibliche e il suo rigore filologico, ha tradotto nomina blasphemiae, significa che ha riconosciuto l’importanza di trasmettere il senso preciso del testo originale. Ridurre tutto a “un titolo” nella traduzione CEI 1974 e 2008 può portare il lettore a immaginare un unico atto di bestemmia, un’unica espressione, mentre il testo sacro insiste sulla varietà e molteplicità di queste espressioni.
A livello teologico, questo passaggio ha un’importanza profonda. L’Apocalisse ci mostra la bestia come un potere che assume molte facce, si incarna in più realtà storiche, ciascuna con la sua forma specifica di opposizione a Dio. Parlare di “nomi” e non di un solo “titolo” significa riconoscere questa complessità e la sua pervasività. L’opera del male non si manifesta in un’unica forma, con un solo volto, ma si diversifica e si adatta, generando molteplici strutture di peccato e di empietà nel corso della storia.
Inoltre, la scelta della CEI 1974 e 2008 di optare per il singolare può risentire di una semplificazione interpretativa. Tradurre “un titolo blasfemo” sembra voler dare un’espressione più concreta, quasi come se si cercasse di individuare una bestemmia specifica, univoca, mentre il testo greco e la Vulgata ci invitano a contemplare un fenomeno più ampio, in cui le manifestazioni della bestemmia sono numerose e diversificate.
Una traduzione fedele al testo originale non è una questione puramente accademica, ma un dovere verso la verità della Parola di Dio. La rivelazione giovannea è caratterizzata da una precisione simbolica che non può essere ridotta o semplificata senza perdere parte del suo messaggio profetico. Dire “nomi di blasfemia” significa rispettare il senso del testo e comprendere che la bestia non è solo un’entità singola con un’unica forma di ribellione, ma un sistema complesso, polimorfo, che si esprime in molteplici forme di opposizione a Dio.
Alla luce di queste considerazioni, è necessario riconoscere che la traduzione CEI 1974 e 2008 ha operato una semplificazione che non rispecchia fedelmente il testo sacro. Il plurale di ὀνόματα βλασφημίας e di nomina blasphemae non è un dettaglio insignificante, ma un elemento chiave per la comprensione del messaggio apocalittico. Una traduzione più accurata e rispettosa del testo sarebbe necessaria per evitare fraintendimenti e per restituire alla Parola di Dio la sua piena forza profetica.