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lunedì 9 dicembre 2024

Dopo tanti altri, è arrivato il rito maya, anche se Traditionis custodes aveva tanto insistito sulla necessità di «unità rituale»

Vi proponiamo – in nostra traduzione – la lettera 1136 pubblicata da Paix Liturgique il 7 dicembre, in cui Christian Marquant, presidente dell’associazione Oremus-Paix Liturgique e del Coetus Internationalis Summorum Pontificum, presenta le principali caratteristiche (pagane) del cosiddetto «rito maya», approvato da papa Francesco lo scorso 8 novembre e che il Dicastero per il culto divino e la disciplina dei sacramenti ha presentato come un adattamento introdotto nel rito romano.
Ma allora, «se possiamo celebrare il Rito Romano alla maniera zairese, alla maniera maya e domani alla maniera amazzonica, perché non possiamo celebrarlo anche nella forma tradizionale?».

L.V.


È nuovo di zecca, è appena uscito: è arrivato il rito maya:

il Dicastero per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, con l’autorità del Papa, l’8 novembre di quest’anno, ha concesso il tanto atteso recognitio di alcuni adattamenti liturgici per la celebrazione della Santa Messa in gruppi etnici. Tseltal, Tsotsil, Ch’ol, Tojolabal e Zoque della Diocesi di San Cristóbal de Las Casas.

Vi avevo già detto che questo rito era in preparazione. Ora conosciamo i dettagli. Il messicano card. Felipe Arizmendi Esquivel, Vescovo emerito di San Cristóbal de Las Casas e responsabile della dottrina della fede nella Conferencia del Episcopado Mexicano, ha annunciato la notizia in un articolo pubblicato dall’agenzia di notizie Exaudi (QUI).

Si approvavano danze rituali nell’offertorio, nella preghiera dei fedeli o nel ringraziamento dopo la comunione. Non sono folklore, ma semplici movimenti dell’intera assemblea, monotoni, contemplativi, accompagnati da musica tradizionale […].
Fu approvato che le donne, una, due o tre, esercitassero il ministero di incensiere nella Messa, al posto del sacerdote. Una volta imposto e benedetto l’incenso, incensa l’altare, le immagini, il vangelo, i ministri e l’assemblea. Lo fanno non con il comune turibolo, ma con un incenso tipico della cultura. […]
È stato inoltre approvato che un laico, uomo o donna, in alcune regioni dette principali o principalia [che stanno accanto al sacerdote come quasi-celebranti: N.d.R.], che sono persone di riconosciuta rilevanza morale, guidi alcune parti della preghiera comunitaria, sia all’inizio della Messa, per avviare la comunità alla la celebrazione, per precisare le intenzioni e chiedere perdono, sia nella preghiera dei fedeli […].

L’uso di conchiglie maya, che un tempo servivano per comunicare con gli antenati; l’accensione di candele maya, che permettono di entrare in contatto con altre persone, vive o morte, e con «nostra sorella Madre Terra»; una sorta di altare maya, detto «offerta maya», con i prodotti della terra e del lavoro umano, piante, fiori, frutti, semi, e candele di diversi colori che puntano verso i quattro punti cardinali, più o meno divini per i Maya.

Il card. Felipe Arizmendi Esquivel ritiene molto significativa questa concessione ai Maya, così come l’adattamento del rito per le Diocesi dello Zaire. Aggiunge che

Se ci sono deviazioni in alcune usanze indigene, possiamo aiutarle a raggiungere la loro pienezza in Cristo e nella sua Chiesa.

e non vengono purificate dal loro paganesimo, come tradizionalmente si diceva di ogni processo di inculturazione. Questo è perfettamente coerente con la strana teologia del dialogo interreligioso, che dà consistenza alle religioni non cristiane, che sono incomplete piuttosto che false.

Va detto, però, che storici e antropologi seri discutono la validità di questi presunti prestiti dalla cultura e dalla religione maya precolombiana. Si trattava di una religione spaventosa, con i suoi inferi infernali e la sua incredibile moltitudine di dèi, che rispondevano tutti bene alle parole del Salmo 96,5 «Quoniam omnes dii gentium inania» (Tutti gli dei delle nazioni sono un nulla), tanto erano assetati del sangue versato durante i sacrifici umani, di prigionieri, schiavi e bambini, soprattutto orfani e figli illegittimi comprati appositamente per l’occasione.

Va inoltre notato che il termine «rito maya» è un termine improprio. In realtà, si tratta di un adattamento introdotto nel rito romano: sia il Dicastero per il culto divino e la disciplina dei sacramenti che il card. Felipe Arizmendi Esquivel sono molto chiari su questo punto. Di conseguenza, la domanda ovvia che viene in mente ha ancora più forza: se possiamo celebrare il Rito Romano alla maniera zairese, alla maniera maya e domani alla maniera amazzonica, perché non possiamo celebrarlo anche nella forma tradizionale, dove porta il volto della cultura in cui è stato così profondamente radicato?

Non sono il primo a porre questa domanda ingenua, come potete immaginare. In Messico, dove questa vicenda sta facendo molto rumore, è stata ampiamente sollevata dai tradizionalisti. Il card. Felipe Arizmendi Esquivel ha preso posizione (QUI) e ha affermato che

Queste reazioni riflettono l’ignoranza della liturgia […]. Nulla negli adattamenti approvati è pagano o contrario alla fede cattolica. I tradizionalisti vorrebbero che nulla fosse cambiato nella Messa e che il rito romano fosse conservato come era consuetudine prima del Concilio Vaticano II; ma né Gesù né gli apostoli hanno celebrato con questo Messale tridentino

né con il rito maya, ci permettiamo di sottolineare. E il card. Felipe Arizmendi Esquivel aggiunge questa solenne, chiamiamola pure sciocchezza:

questo Messale tridentino, che è solo del XVI secolo.

Con studiosi come il card. Felipe Arizmendi Esquivel e come il card. Arthur Roche, Prefetto del Dicastero per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, che hanno detto più o meno le stesse sciocchezze, la liturgia romana è in buone mani…

Cari amici vigilanti, noi che siamo trattati peggio degli Zairesi, dei Maya e degli Amazzoni continueremo a lottare per il rito romano tradizionale perseguitato. I nostri Santi Rosari a Parigi davanti all’Arcivescovado (10 rue du Cloître-Notre-Dame) dal lunedì al venerdì, dalle ore 13:00 alle ore 13:30, davanti all’Église Saint-Georges di La Villette (114 av. Simon Bolivar, XIXe) il mercoledì alle ore 17:00 e davanti all’Église Notre-Dame-du-Travail (59 rue Vercingétorix, XIVe) la domenica alle ore 18:15, sono una richiesta urgente al cielo e una protesta costante ai nostri pastori: «Ridate alla Santa Messa tradizionale la sua libertà!».

In unione di preghiera e amicizia.

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