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Card. Müller: i sette peccati contro lo Spirito Santo: una tragedia sinodale

Vi proponiamo – in nostra traduzione – l’autorevolissima riflessione  del card. Gerhard Ludwig Müller, Prefetto emerito della Congregazione ...

venerdì 29 novembre 2024

Card. Müller: i sette peccati contro lo Spirito Santo: una tragedia sinodale

Vi proponiamo – in nostra traduzione – l’autorevolissima riflessione del card. Gerhard Ludwig Müller, Prefetto emerito della Congregazione per la dottrina della fede, pubblicata sul sito First Things il 22 novembre.
Il Prelato, prendendo spunto da Ireneo di Lione, Dottore della Chiesa, ed alla luce della dottrina cattolica, esamina con estrema chiarezza sette diversi aspetti sotto i quali la cosiddetta «Chiesa sinodale», resistendo alla verità conosciuta, si rende colpevole di un peccato contro lo Spirito Santo.

L.V.


«Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese» (Ap. 2, 11). Questo passo della Scrittura viene spesso citato per giustificare la cosiddetta «Chiesa sinodale», un concetto che contraddice almeno in parte, se non del tutto, la comprensione cattolica della Chiesa. Fazioni con secondi fini hanno dirottato il principio tradizionale della sinodalità, cioè la collaborazione tra Vescovi (collegialità) e tra tutti i credenti e pastori della Chiesa (basata sul sacerdozio comune di tutti i battezzati nella fede), per promuovere la loro agenda progressista. Eseguendo una svolta di 180 gradi, la dottrina, la liturgia e la morale della Chiesa cattolica devono essere rese compatibili con un’ideologia woke neo-gnostica.

Le loro tattiche sono notevolmente simili a quelle degli antichi gnostici, di cui Ireneo di Lione, che è stato elevato a Dottore della Chiesa da papa Francesco, ha scritto: «Con le loro astute verosimiglianze [attirano] le menti degli inesperti e le fanno prigioniere… Questi uomini falsificano gli oracoli di Dio e si dimostrano cattivi interpreti della buona parola della rivelazione. Per mezzo di parole speciose e plausibili, allettano astutamente i semplici a indagare [su una comprensione più contemporanea]», finché non sono in grado di «distinguere la falsità dalla verità» (Adversus Haereses, Libro I, Prefazione). La rivelazione divina diretta viene strumentalizzata per rendere accettabile l’auto-relativizzazione della Chiesa di Cristo («tutte le religioni sono vie verso Dio»). La comunicazione diretta tra lo Spirito Santo e i partecipanti al Sinodo viene invocata per giustificare concessioni dottrinali arbitrarie («matrimonio per tutti»; funzionari laici alla guida del «potere» ecclesiastico; l’ordinazione di diaconi donne come trofeo nella lotta per i diritti delle donne) come il risultato di un’intuizione superiore, che può superare qualsiasi obiezione della dottrina cattolica consolidata.

Ma chi, appellandosi all’ispirazione personale e collettiva dello Spirito Santo, cerca di conciliare l’insegnamento della Chiesa con un’ideologia ostile alla rivelazione e con la tirannia del relativismo, si rende in vario modo colpevole di un «peccato contro lo Spirito Santo» (Mt. 12, 31; Mc. 3, 29; Lc. 12, 10). Questo, come verrà spiegato di seguito in sette diversi aspetti, non è altro che una «resistenza alla verità conosciuta», quando «un uomo resiste alla verità che ha riconosciuto, per peccare più liberamente» (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae II-II, q. 14, a. 2).

1. Riguardo allo Spirito Santo come persona divina

È un peccato contro lo Spirito Santo se non lo si confessa come persona divina che, in unità con il Padre e il Figlio, è l’unico Dio, ma lo si confonde con l’anonima divinità numinosa degli studi religiosi comparati, con lo spirito popolare collettivo dei Romantici, con la volonté générale di Jean-Jacques Rousseau, con il Weltgeist di Georg Wilhelm Friedrich Hegel o con la dialettica storica di Karl Marx, e infine con le utopie politiche, dal comunismo al transumanesimo ateo.

2. Considerare Gesù Cristo come la pienezza della verità e della grazia

È un peccato contro lo Spirito Santo se si reinterpreta la storia del dogma cristiano come un’evoluzione della rivelazione, che si riflette nell’avanzamento dei livelli di coscienza della Chiesa collettiva, invece di confessare l’insuperabile pienezza della grazia e della verità in Gesù Cristo, il Verbo di Dio fatto carne (Gv. 1, 14-18).

Ireneo di Lione, il Doctor unitatis, ha stabilito una volta per tutte, contro gli gnostici di tutti i tempi, i criteri dell’ermeneutica cattolica (cioè dell’epistemologia teologica):
  1. la Sacra Scrittura;
  2. la Tradizione apostolica;
  3. l’autorità didattica dei Vescovi in virtù della successione apostolica.

Secondo l’analogia tra essere e fede, le verità di fede rivelate non possono mai contraddire la ragione naturale, ma possono (e lo fanno) scontrarsi con il suo abuso ideologico. Non esistono a priori nuove intuizioni scientifiche (che sono sempre fallibili in linea di principio) che possano annullare le verità della rivelazione soprannaturale e della legge morale naturale (che sono sempre infallibili nella loro natura interna). Il Papa non può quindi né esaudire né deludere le speranze di cambiamento delle dottrine di fede rivelate, perché «l’ufficio poi d’interpretare autenticamente la parola di Dio […] non è superiore alla parola di Dio ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso» (costituzione dogmatica sulla divina rivelazione Dei Verbum, 10).

L’unico ed eterno paradigma della nostra relazione con Dio rimane sempre il Verbo fatto carne, pieno di grazia e di verità (Gv. 1, 14-18). In contrasto con l’illusione di superiorità intellettuale degli antichi e nuovi gnostici, che credevano nell’autocreazione e nell’autoredenzione dell’uomo, la Chiesa sostiene che la persona di Gesù Cristo è la piena verità di Dio in una «novità» insuperabile per tutti gli uomini (Ireneo di Lione, Adversus Haereses, libro IV, 34, 1). Perché: «In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At. 4, 12).

3. Riguardo all’unità della Chiesa in Cristo

È un peccato contro lo Spirito Santo quando l’unità della Chiesa nell’insegnamento della fede viene consegnata all’arbitrio e all’ignoranza delle Conferenze episcopali locali (che presumibilmente si sviluppano dottrinalmente a ritmi diversi) con il pretesto della cosiddetta decentralizzazione. Ireneo di Lione afferma contro gli gnostici: «Benché dispersa in tutto il mondo, fino agli estremi confini della terra… la Chiesa cattolica possiede una sola e medesima fede in tutto il mondo» (Ireneo di Lione, Adversus Haereses, Libro I, 10, 1-3).

L’unità della Chiesa universale «in un solo corpo e in un solo Spirito» è fondata cristologicamente e sacramentalmente. Infatti: «un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef. 4, 5-6). Ed è contrario alla stessa «unità dello Spirito» (Ef. 4, 3) invischiare i portatori della missione globale della Chiesa (laici, religiosi e clero) in una lotta per il «potere» in senso politico, invece di cogliere che lo Spirito Santo opera la loro armoniosa cooperazione. Ognuno di noi, infatti, «vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo» (Ef. 4, 15).

4. Riguardo all’Episcopato come istituzione di diritto divino

È un peccato contro lo Spirito Santo, che attraverso il sacramento dell’Ordine ha nominato Vescovi e sacerdoti come pastori della Chiesa di Dio (At. 20, 28), deporli o addirittura secolarizzarli, a pura discrezione personale, senza un processo canonico. I criteri oggettivi per le misure disciplinari contro Vescovi e sacerdoti sono l’apostasia, lo scisma, l’eresia, la cattiva condotta morale, uno stile di vita gravemente antispirituale e l’evidente incapacità di esercitare la propria funzione. Ciò è particolarmente vero per la selezione dei futuri Vescovi quando il candidato, nominato senza un attento esame, non è «padrone di sé, attaccato alla dottrina sicura, secondo l’insegnamento trasmesso, perché sia in grado di esortare con la sua sana dottrina» (Tit. 1, 8-9).

5. Riguardo alla legge morale naturale e ai valori non negoziabili

È un peccato contro lo Spirito Santo quando Vescovi e teologi sostengono pubblicamente il Papa solo in modo opportunistico, quando questi appoggia le loro preferenze ideologiche. Nessuno può rimanere in silenzio quando si difende il diritto alla vita di ogni singola persona dal concepimento alla morte naturale. Il Papa, infatti, è il massimo interprete autentico della legge morale naturale sulla terra, in cui la parola e la sapienza di Dio risplendono nell’esistenza e nell’essere della creazione (Gv. 1, 3). Se la legge morale naturale, che è evidente nella coscienza di ogni essere umano (Rm. 2, 14), non costituisce la fonte e il criterio con cui giudicare le leggi (sempre fallibili) dello Stato, allora il potere politico scivola nel totalitarismo, che calpesta quei diritti naturali dell’uomo che dovrebbero costituire la base di ogni società democratica e di ogni Stato di diritto. È quanto dichiarò il beato Papa Pio XI nella lettera enciclica Mit Brennender Sorge [Con viva ansia: N.d.T.] (1937) contro le leggi razziali di Norimberga, formalmente valide, dello Stato tedesco: «Alla luce delle norme di questo diritto naturale, ogni diritto positivo, qualunque ne sia il legislatore, può essere valutato nel suo contenuto etico e conseguentemente nella legittimità del comando e nella obbligatorietà dell’adempimento. Quelle leggi umane, che sono in contrasto insolubile col diritto naturale, sono affette da vizio originale, non sanabile né con le costrizioni né con lo spiegamento di forza esterna» (lettera enciclica Mit Brennender Sorge, 8).

6. La Chiesa come sacramento di unità umana

È un peccato contro lo Spirito Santo quando la divisione politica e ideologica della società a partire dall’Illuminismo europeo e dalla Rivoluzione francese viene incorporata in una filosofia restauratrice o rivoluzionaria della storia e quando la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica viene così paralizzata dalla contrapposizione interna tra fazioni «progressiste» e «conservatrici».

La Chiesa in Cristo, infatti, non è solo il sacramento della più intima comunione degli uomini con Dio, ma anche il segno e lo strumento dell’unità dell’umanità nel suo fine naturale e soprannaturale (costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, 1).

Il discernimento degli spiriti non è intrapreso in vista di obiettivi politici, ma teologicamente, riguardo alla verità della rivelazione, che è presentata nella dottrina di fede infallibile della Chiesa. Pertanto, il criterio oggettivo della fede cattolica è l’ortodossia contrapposta all’eresia (e non la volontà soggettiva di conservare o cambiare aspetti culturali contingenti).

In occasione dell’imminente 1700º anniversario del [primo: N.d.T.] Concilio di Nicea (325), potremmo tenere a mente il seguente motto: Meglio andare in esilio cinque volte con Sant’Atanasio che fare la minima concessione agli ariani.

7. Riguardo alla natura soprannaturale del Cristianesimo, che si oppone alla sua strumentalizzazione a fini mondani

Il peccato più attuale contro lo Spirito Santo è quando si nega l’origine e il carattere soprannaturale del Cristianesimo per subordinare la Chiesa del Dio Trino agli obiettivi e agli scopi di un progetto di salvezza mondano, sia esso la neutralità climatica eco-socialista o l’Agenda 2030 dell’«élite globalista».

Chiunque voglia veramente ascoltare ciò che lo Spirito dice alla Chiesa non si affiderà a ispirazioni spiritualistiche e a luoghi comuni di stampo ideologico, ma riporrà tutta la sua fiducia, in vita e in morte, unicamente in Gesù, il Figlio del Padre e l’Unto dello Spirito Santo. Solo lui ha promesso ai suoi discepoli lo Spirito Santo della verità e dell’amore per tutta l’eternità: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. […] Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv. 14, 23-26).

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