Ricordiamo S. Tommaso d'Aquino nella sua festa secondo il calendario tradizionale, il 7 marzo (III classe).
Qui i nostri post sul grande teologo.
Luigi
L’ ATTUALITÀ E VALORE POLITICO DEL PENSIERO DI SAN TOMMASO
NOV 25, 2023, Centro Studi Livatino, Daniele Onori
Sono iniziati gli eventi e le celebrazioni per ricordare San Tommaso d’Aquino. La Chiesa celebra i 700 anni dalla sua canonizzazione (14 luglio 2023-18 luglio 2024), i 750 anni dalla sua morte (2024) e gli 800 anni dalla sua nascita (2025, anno giubilare). A tal proposito il Centro Studi Livatino ritiene opportuno celebrare, con una serie di articoli di approfondimento, il pensiero del più grande teologo della cattolicità, la cui figura continua ad emergere in tutta la sua grandiosità e la cui dottrina si conferma quanto mai attuale ed universale.
Riguardo al buon ordinamento dei governanti, in una città o in una nazione, si devono tener presenti due cose. La prima è che tutti in qualche modo partecipino al governo: così, infatti, si conserva la pace nel popolo, e tutti si sentono impegnati ad amare e a difendere tale ordinamento, come nota Aristotele. La seconda deriva dalla particolare specie di regime o di governo. Ora, come insegna il Filosofo, esistono diverse specie di governo, ma le migliori sono: la monarchia, in cui si ha il dominio di uno solo, onestamente esercitato; e l’aristocrazia, cioè il dominio degli ottimati, in cui si ha l’onesto governo di pochi. Perciò il miglior ordinamento di governo si trova in quella città o in quel regno in cui uno solo presiede su tutti nell’onestà, mentre sotto di lui presiedono altri uomini eminenti nella virtù; e tuttavia il governo impegna tutti, sia perché tutti possono essere eletti, sia perché tutti possono eleggere. E questa è la migliore forma di governo politico, poiché in essa si integrano la monarchia, in quanto c’è la presidenza di un solo, l’aristocrazia, in quanto molti uomini eminenti in virtù vi comandano, e la democrazia, cioè il potere popolare, in quanto tra il popolo stesso si possono scegliere i principi, e al popolo spetta la loro elezione. – E questo fu il regime istituito dalla legge divina. Infatti Mosè e i suoi successori governavano il popolo quasi presiedendo da soli su tutti, il che equivale a una specie di monarchia. Però venivano eletti secondo il merito della virtù settantadue anziani: Infatti in Deuteronomio è detto: Allora presi i capi delle vostre tribù, uomini saggi e stimati, e li stabilii sopra di voi. E questo era proprio di un regime aristocratico. Apparteneva invece a un regime democratico il fatto che venissero scelti di mezzo a tutto il popolo, infatti è detto in Es: Sceglierai di fra tutto il popolo uomini saggi …; e il fatto che li eleggesse il popolo: Sceglietevi nelle vostre tribù uomini saggi … Perciò è evidente che l’ordinamento riguardo ai principi istituito dalla legge era il migliore.[1]
Il brano in questione discute un passaggio della Soluzione del Primo Articolo, domanda 105, della Summa Theologica di Tommaso d’Aquino[2]. Le affermazioni del testo risalgono a più di sette secoli fa, in un’epoca in cui i regni e i principati venivano stabiliti e mantenuti principalmente attraverso la forza militare. Oggi, nel ventunesimo secolo, ci troviamo ad ammirare e adottare questi principi, specialmente noi, sostenitori della democrazia.
Queste idee sono frutto dell’influenza dei filosofi classici greci e romani, dai Padri della Chiesa e dalla Scrittura, e sono anche informate dall’esperienza di Tommaso nel monastero di Montecassino e dalla struttura di governo del suo Ordine. Nel XIX secolo, l’idea di democrazia non era universalmente accettata e, di fatto, retrocedeva nelle principali nazioni dell’Europa continentale. Nella seconda metà del secolo, la democrazia ricompariva gradualmente, con molte incertezze, nelle nazioni più avanzate, dove si stava sviluppando una nuova classe sociale legata al commercio e all’industria. Tuttavia, in questo nuovo contesto, non tutti avevano la possibilità di essere effettivamente eletti, anche se teoricamente avevano il diritto. Il reddito, la disponibilità di beni materiali erano fattori discriminanti. L’aristocrazia veniva associata alla ricchezza anziché alla qualità individuale.
Nel XX secolo, a causa dell’hegelismo di destra e sinistra e in risposta a gravi disuguaglianze economiche e sociali, emersero ideologie estreme come il fascismo, il nazismo e il comunismo. Fu necessaria la devastazione e il dolore della Seconda guerra mondiale per far riemergere, nell’Europa occidentale, democrazie basate su un umanesimo personalista, radicato nei principi dell’antropologia classica e della filosofia scolastica.
Il fondamento del nostro sistema giuridico si basa sul concetto di persona, e non sull’individuo egoista orientato esclusivamente al proprio interesse personale o al profitto economico. La persona è caratterizzata dalla sua apertura verso gli altri e verso il bene comune. La sua esistenza si sviluppa all’interno della comunità cittadina e all’interno dell’organizzazione dello Stato di cui fa parte, con l’obiettivo di perseguire scopi che vanno oltre le limitazioni del mercato.
L’uomo, quindi, deve obbedire alle leggi dello Stato e lavorare all’interno del suo sistema per promuovere il proprio benessere e quello della società nel suo complesso. Queste leggi sono basate sui principi del diritto naturale, e persino il Principe stesso è soggetto a esse. La società, grazie alla collaborazione di più individui, crea vantaggi per il singolo e le famiglie che superano ciò che ciascun individuo potrebbe ottenere da solo. Oltre ai vantaggi materiali, la vita in comunità comporta anche benefici morali, culturali e intellettuali.
L’uomo, essendo una sostanza composta dal punto di vista metafisico, è parte della società ma allo stesso tempo si trova al di sopra di essa a causa di una componente fondamentale del suo essere.
Lo sviluppo della democrazia è avvenuto parallelamente all’evoluzione dell’economia di mercato moderna, con l’iniziativa privata e il capitalismo come componenti essenziali di quest’ultima. La teoria economica ha radici antiche e si è sviluppata nel corso del tempo, dai filosofi antichi al periodo medievale e alla Scolastica, fino alle epoche moderne con le grandi scoperte geografiche, l’aumento degli scambi commerciali, dei traffici internazionali e della finanza.
L’analisi economica, come parte della filosofia, era già stata sviluppata dagli Scolastici. Nel secondo medio evo, a partire dal XIII secolo, i grandi moralisti italiani, spagnoli, francesi, fiamminghi, confrontandosi con l’emergere dell’economia cittadina e con lo sviluppo dei traffici e delle fiere, dopo l’economia curtense dei grandi 4 monasteri benedettini e dei feudi, discutono dei fatti nuovi relativi al commercio, alle monete, ai prezzi, al tasso di interesse.
Nel XIV secolo, Duns Scoto aveva già formulato una teoria del valore basata sui costi diretti e indiretti di produzione.[3] Progressi significativi in questo campo sono stati fatti con il Tableau économique di Quesnay e le analisi di Leontief, nel mezzo del XX secolo, sulle relazioni intersettoriali.[4]
L’idea di fondo era costantemente quella della ricerca e definizione del giusto prezzo, al fine di perseguire la giustizia commutativa negli scambi, concetto quest’ultimo sottolineato con forza da Tommaso d’Aquino, insieme con la giustizia distributiva, come fondamento di una ordinata vita sociale.
Nel XVI e XVII secolo, i grandi moralisti come de Molina, Lessius e Lugo,[5] influenzati dalla Scolastica, hanno condotto analisi dettagliate sul valore di scambio, sui mercati, sui prestiti, sull’assicurazione, sui finanziamenti e sulla borsa, cercando di stabilire le condizioni per i prezzi giusti e per distinguere il profitto dall’usura.
Nel 1754, Antonio Genovesi ha iniziato a tenere lezioni di economia civile all’Università di Napoli, contribuendo così alla produzione di saggi significativi sulla teoria monetaria in Italia. Questi sforzi hanno culminato nel trattato Della moneta dell’Abate Galiani, pubblicato a Napoli nel 1751, che ancora oggi è considerato un’opera insuperata. La moderna teoria economica ha avuto inizio con “La Ricchezza delle Nazioni” di Adam Smith nel 1776.
In questa opera, Smith introduce la teoria del mercato e della concorrenza, descrivendo come i singoli produttori, alla ricerca del proprio successo, propongono nuovi prodotti di alta qualità o adottano procedure che riducono i costi, limitano l’uso delle risorse e aumentano i profitti.
L’ interesse personale è il motore all’azione, ma questa azione è benefica anche per l’intera comunità, poiché la competizione consente di avere prodotti migliori a costi più bassi. Nel contesto sociale descritto da Adam Smith, l’imprenditore vive in una società ben organizzata in cui lo Stato fornisce i beni pubblici essenziali. I cittadini sono legati da sentimenti di simpatia reciproca e rispettano regole morali e giustizia commutativa.
Tuttavia, nella seconda metà dell’Ottocento, l’ideologia utilitarista ha accentuato l’egoismo nell’ambito economico. Lo sviluppo tecnologico, la produzione su larga scala e il settore finanziario hanno spinto le persone a cercare il profitto e il successo economico. Questo ha portato a un’espansione economica significativa, ma ha anche causato l’impoverimento della classe proletaria, che era priva di potere economico e sottoposta a condizioni di lavoro disumane e salari miseri. Questa concentrazione estrema di ricchezza ha generato tensioni sociali e ha portato a reazioni filosofiche come l’analisi di Marx, che ha poi dato origine al leninismo e al comunismo, e alla dottrina sociale cattolica la cui massima espressione la troviamo nella Rerum Novarum del 1891.
In Germania, vengono introdotte le prime leggi sociali che riguardano la previdenza e la sicurezza sociale. Il Pontefice che ha promulgato la Rerum Novarum aveva sottolineato l’importanza del ritorno al tomismo. In questo contesto, sono emersi i primi sindacati operai e forme di cooperazione nel credito e nella produzione. La democrazia richiede che ogni cittadino viva in condizioni dignitose per partecipare appieno alla vita della comunità.
Tuttavia, durante periodi di rapida espansione economica, il libero mercato e il capitalismo potrebbero non essere in grado di garantire l’equilibrio sociale e la stabilità politica. Come reazione a questa situazione, sono emersi movimenti come il fascismo, il nazismo e il comunismo, che si opponevano al libero mercato e all’iniziativa privata. Bisogna cercare modalità di ridistribuzione del reddito che rispettino la libertà e l’iniziativa imprenditoriale.
Spesso, nell’evoluzione dell’economia e della sua teoria, si è trascurato il legame con l’etica e la politica, nonostante il loro sviluppo proficuo. In questo contesto, torna attuale la visione di Tommaso d’Aquino, che divide il sapere in quattro grandi branche, ognuna delle quali è in qualche modo indipendente dalle altre. Il primo settore comprende le scienze fisiche, della natura, la matematica e la metafisica, occupandosi di ciò che è indipendentemente dal comportamento umano. Il secondo settore riguarda la logica, che insegna il passaggio dalle premesse alle conseguenze e viceversa.
Il terzo settore, fondamentale per le scienze umane, include Etica, Economia e Politica, in cui la libera volontà umana gioca un ruolo essenziale nelle decisioni, nelle azioni e nelle operazioni. La politica è vista principalmente come il comportamento individuale nei contesti sociali, non come una semplice tecnica di governo. Infine, c’è la scienza applicata e la tecnologia. L’economia fa parte delle scienze umane e si occupa degli elementi materiali alla base della produzione e degli scambi, insieme alle leggi e alle modalità fisiche e tecniche che influenzano le variabili coinvolte.
Il funzionamento del sistema economico dipende dal modo in cui le persone decidono cosa produrre, come organizzare i fattori e come distribuire i risultati dell’attività economica. Tommaso ha esplorato il concetto di sinderesi, sottolineando come la ragione riconosca immediatamente i principi morali supremi e li applichi alle azioni individuali. Ognuno di noi ha una sorta di legge di moralità naturale che guida le nostre azioni.
L’etica impone limiti sull’organizzazione del lavoro per la produzione, sulle informazioni riguardanti i prodotti e sulla destinazione dei profitti derivanti dall’attività economica. C’è una stretta connessione tra lo svolgimento delle attività economiche e l’integrità comportamentale. Se i principi etici vengono ignorati, gli aspetti positivi del mercato vengono compromessi.
Quando la concorrenza impedisce agli altri di fare bene anziché favorire una produzione migliore e più efficiente, la società non si arricchisce, ma si impoverisce. Questo fenomeno è evidente nella corruzione, dove non vince il migliore, ma il mediocre o addirittura il peggiore. Queste persone spesso ricorrono a metodi disonesti per emergere, ma ciò porta alla produzione di beni e servizi di qualità inferiore rispetto a quelli che produttori onesti e competenti avrebbero potuto offrire.
Inoltre, le decisioni sugli investimenti influenzano lo sviluppo dell’economia e hanno profonde implicazioni sulla struttura sociale. Sebbene le imprese debbano godere di libertà decisionale, lo sviluppo economico dovrebbe essere guidato nella direzione che favorisce l’avanzamento civile della società.
Questo rappresenta una responsabilità fondamentale della politica: incoraggiare la crescita economica e creare le condizioni affinché essa si sviluppi positivamente, promuovendo il progresso sia economico che civile della società.
Ma è intrinseco al funzionamento del sistema economico il comportamento degli uomini nel decidere il tipo di produzione, l’organizzazione dei fattori, la ripartizione dei frutti dell’attività economica. Tommaso ha approfondito il concetto di sinderesi.[6]
La ragione coglie con immediatezza i princìpi morali supremi e li applica alle singole azioni. In ciascuno di noi è presente, nelle diverse forme, una legge di moralità naturale. L’etica pone vincoli al modo con cui si organizza il lavoro ai fini della produzione, alle informazioni che riguardano i prodotti, alla destinazione dei frutti dell’attività economica.
L’intima connessione tra svolgimento dell’attività economica e correttezza dei comportamenti è tale che il venir meno dei princìpi etici di fatto scardina gli aspetti positivi del mercato. Se anziché con il produrre meglio e a minori costi la concorrenza si svolge impedendo agli altri di far bene, dalla competizione non scaturisce un arricchimento della società, ma un impoverimento. Si pensi alla corruzione. Non vince il migliore, trionfa il mediocre o addirittura il peggiore.
Sono costoro infatti che hanno bisogno di metodi non onesti per affermarsi, ma in tal modo la società vede presentarsi prodotti peggiori di quelli che produttori onesti, più bravi, avrebbero potuto offrire. La scelta degli investimenti orienta lo sviluppo dell’economia. L’impresa deve avere ampi margini di libertà. Ma lo sviluppo economico ha implicazioni profonde sulla struttura della società. È compito alto della politica incoraggiare la crescita dell’economia, orientarla non con obblighi o divieti, ma creando le condizioni generali affinché essa si svolga nelle direzioni che più giovano all’avanzamento, anche civile, della società
Il modo in cui i frutti dell’attività economica sono distribuiti a causa della concorrenza spesso non coincide con una distribuzione socialmente desiderabile dei benefici. Storicamente, il mercato ha generato una grande quantità di ricchezza, ma ha anche concentrato i vantaggi in pochi individui. L’accentuazione dell’interesse individuale e dell’egoismo ha talvolta portato a tensioni e conflitti, specialmente in assenza di controlli politici.
L’egoismo, inteso come attenzione all’interesse personale o aziendale, non è l’unico motore per un comportamento economicamente corretto.
C’è un errore nell’ideare l’egoismo come una condizione necessaria. In realtà, l’egoismo può diventare controproducente se preso come unico principio guida per l’agire economico.
Gli esseri umani, guidati dalla ragione e dalla volontà, fanno scelte basate su visioni che vanno oltre il semplice arricchimento personale, anche se quest’ultimo può comunque essere un motivatore. La libertà d’azione è essenziale per un’economia di mercato prospera, ma è altrettanto importante operare in modo efficiente e corretto. Le motivazioni per un comportamento economico responsabile possono derivare non solo dall’egoismo, ma anche dal dovere morale, dal servizio e dall’altruismo.
Agire in modo efficiente ed economico è anche moralmente significativo poiché consente il miglior utilizzo delle risorse disponibili, sia a livello individuale che sociale. Tuttavia, la ricerca dell’interesse individuale e del profitto non è compatibile con le funzioni pubbliche, che devono invece essere guidate dagli obiettivi di interesse generale.
Le implicazioni politiche e sociali di disuguaglianze nello sviluppo economico globale, spesso dovute all’incapacità di alcuni paesi di partecipare efficacemente a un sistema economico mondiale basato sulla competizione e l’efficienza, sono finalmente riconosciute. Anche i paesi ricchi ora si impegnano a superare queste disparità. Le iniziative per condonare il debito dei paesi più poveri si inseriscono in questo nuovo contesto culturale.
Non dobbiamo mai dimenticare che il principale motore della produzione e del progresso è l’essere umano, con la sua capacità di lavorare, di prendere l’iniziativa e di intraprendere azioni. È fondamentale riscoprire i principi di molte categorie giuridiche, a cominciare dal diritto al lavoro, che è un autentico diritto naturale. La qualità della leadership, dell’amministrazione e la capacità di formulare strategie diventeranno sempre più importanti come fattori di competizione nei prossimi anni. Il concetto di virtù, di uno spirito pubblico rinnovato e dei valori intrinseci nell’agire nella società diventa cruciale.
Questi principi contrastano le teorie del pensiero debole o addirittura negativo, evidenziando la necessità diffusa di un pensiero forte. Il secolo attuale non può essere semplicemente una continuazione del passato; è essenziale una riaffermazione dei valori etici per affrontare le sfide che esso presenta.
Daniele Onori
[1] San Tommaso (S. Th. I-II, q. 105, a. 1, corpo)
[2] La “Summa Theologica” di Tommaso d’Aquino è una delle opere più importanti della filosofia e della teologia cristiana medievale. Scritta nel XIII secolo, questa vasta opera si propone di presentare in modo organizzato e sistematico la dottrina cristiana alla luce della filosofia aristotelica. La Summa è strutturata in tre parti principali:Prima Parte: Tratta Dio e della sua esistenza, della creazione, della provvidenza divina, della natura umana, del peccato originale e della legge divina. Seconda Parte: Divisa in due sezioni, la prima parte della Seconda Parte (Secunda Pars Prima) affronta l’etica, discutendo di virtù, vizi, legge morale e grazia. La seconda parte della Seconda Parte (Secunda Pars Secunda) tratta delle questioni specifiche della morale, come giustizia, temperanza e peccati particolari. Terza Parte: Riguarda Gesù Cristo, la Chiesa, i sacramenti e le ultime cose, come la resurrezione dei morti e il giudizio finale. La Summa Theologica è caratterizzata dalla logica rigorosa, dalla chiarezza espositiva e dalla profondità del pensiero di Tommaso d’Aquino. La sua opera ha avuto un’enorme influenza sulla teologia cristiana e è ancora studiata e rispettata oggi come un classico del pensiero religioso e filosofico.
[3] Scoto affronta il problema della mercatura e del valore economico come esigenza della giustizia commutativa. La sua analisi si snoda all’interno dell’ampio contesto problematico dell’obbligo morale della restituzione delle “cose” altrui ingiustamente tolte o danneggiate. La questione è così formulata: Domando se chi ingiustamente tolse o detiene una cosa altrui sia tenuto alla restituzione tan – to che senza di ciò non si possa dire veramente pentito (Ordinatio, IV, dist. 15, q. 2). Egli parte dalla distinzione fra “commutatio economica” e “commutatio negotiativa”. La prima, cioè lo scambio economico, è fatta in vista dell’uso della cosa ottenuta, mentre la seconda, cioè lo scambio negoziativo, non è fatta per l’uso, ma allo scopo di rivendere successivamente la cosa acquistata e ad un prezzo più alto. Quest’ultimo tipo di scambio è anche chiamato da Scoto “commutatio pecuniaria vel lucrativa”. Ma, al di là delle sottili differenziazioni sulle regole fondamentali del giusto scambio, egli imposta il problema del valore economico in maniera più originale rispetto agli altri scolastici che lo hanno preceduto. Egli, infatti, distingue il valore in “naturale” e “usuale”. Il valore natura – le sarebbe quello obiettivo, messo da Dio nella creatura: Un essere vivente (un topo, una formica, una pulce) vale di più di una cosa inanimata (pane), che non ha vita, anima e sensi.
[4] L’economia politica, come disciplina autonoma, prende forma e consistenza tra il XVII e il XVIII secolo. Ricordo: i contributi fondamentali di Cantillon e Hume; i fisiocrati e Quesnay, con il suo Tableau économique, precursore dell’analisi inputoutput di Leontief; Antonio Genovesi, titolare della cattedra di economia politica nell’Università di Napoli, la prima in Europa, con le sue Lezioni di economia civile e Ferdinando Galiani, il cui trattato Della moneta rimane esemplare per profondità e attualità. La Ricchezza delle nazioni di Adam Smith segna una svolta determinante.
[5] Luis de Molina (1535 – 1600) scrisse ampiamente di questioni finanziarie, dal conio alla tassazione, dai problemi dei depositi bancari a quelli dello scambio di denaro. E lo fece in maniera rigorosa, consultando esperti nel settore, convinto che questi avrebbero avuto punti di vista che sarebbero potuti sfuggire agli occhi del teologo.
Un altro protagonista di quegli anni fu il Cardinale gesuita Juan de Lugo, che aiutò a sviluppare il concetto di “costo-opportunità”. Il tema saltò alla mente al cardinale gesuita quando si mise a riflettere sul motivo per cui i mercanti potevano anche decidere di smettere una produzione anche in presenza di una domanda per quello specifico prodotto. De Lugo studiò anche il modo in cui il valore soggettivo di un prodotto influiva sui prezzi, arrivando a concludere che “il giusto prezzo era probabilmente il prezzo dato dal mercato”, che includeva, sì, la valutazione soggettiva dei clienti, ma che aveva in questa valutazione soggettiva anche dei termini oggettivi, come, ad esempio, la scarsità in commercio del prodotto desiderato. Lessius (1554-1623) fornì argomenti per allargare le maglie del lucrum cessans . Sostenne che trovandosi le sostanze di ognuno naturalmente confuse nel portafoglio fosse impossibile distinguere la parte effettivamente destinata ad essere proficuamente investita da quella votata a giacere inerte. Tanto più che occasioni d’investimento potevano sempre presentarsi e dare in prestito una frazione del proprio patrimonio avrebbe comportato la necessità di sottrarne all’investimento un’altra. Il capitale nel suo complesso andava perciò considerato soggetto al lucrum cessans: “visto che tutti collettivamente ne sono la causa, il fardello della compensazione per questo profitto mancato può essere distribuito sui singoli prestiti, secondo le proporzioni di ciascuno”
[6] Sinderesi, anche nella variante sinteresi, deriva dal greco sinterèsis , termine composto da syn e teréo, verbo che significa vedere, osservare quindi esame di sé. Secondo San Girolamo nella sua opera Commento ad Ezechiele (I,c.I) , sarebbe quella parte dell’anima diversamente chiamata coscienza. La sinderesi, cioè, permette all’uomo di avere autocoscienza, esame di sé, conoscenza innata del bene e del male, e quindi capacità di distinguere spontaneamente il bene dal male, capacità di dirigersi verso ciò che lo conserva, al bene che lo favorisce, conseguendo l’autoconservazione. Secondo San Tommaso, la sinderesi esprime la tendenza innata dell’anima umana verso il bene e il suo rifiuto del male (Summa theologica 1,1 q.94, art.1). Dalla sinderesi dipende quindi la capacità dell’uomo di desiderare il bene e di provare rimorso per il male compiuto. Tutta la Scolastica deriva il significato di sinderesi, scintilla conscientiae, proprio dal pensiero tomista chiarendo che questa disposizione di parte dell’anima al bene avviene poiché quella parte non è stata macchiata dal peccato originale che di per sé infatti renderebbe impossibile a ogni uomo di aspirare al bene. In questo significato di tendenza attiva della coscienza al bene , ritroviamo l’uso del termine in Jacques Bénigne Bossuet (Digione 1627 – Parigi 1704) Trattato sulla conoscenza di Dio e di se stesso cap.1 par.7). Il termine è oggi non più usato nell’espressione filosofica.