Siamo nell'ottavario dei morti.
Per l'occasione proponiamo una poesia che bene si inserisce in questo contesto di commemorazione dei nostri defunti.
Tratta dalla raccolta "Onore del vero" del 1957, "Las Animas" di Mario Luzi (poeta del XX sec, dichiaratamente, anche se molto discretamente, cristiano) si intitola con l'espressione che, come spiega lo stesso poeta in nota, in spagnolo designa proprio il giorno dei morti (con un accezione sicuramente più felice e corretta).
E' una poesia incentrata su binomi contrapposti, luce-tenebra, fuoco-cenere, morte-vita eterna: ci limitiamo a richiamare l’attenzione sul fatto che nella terza strofa è ripreso l'eco tridentina che a noi interessa: l’inizio della preghiera dei defunti per eccellenza, Requiem aeternam dona eis.
Nella liturgia tradizionale della Commemorazione dei fedeli defunti, quella appunto che si celebra il giorno dei morti, il Requiem aeternam risuona tre volte, nell’introito, nel graduale e alla comunione.
Nella liturgia tradizionale della Commemorazione dei fedeli defunti, quella appunto che si celebra il giorno dei morti, il Requiem aeternam risuona tre volte, nell’introito, nel graduale e alla comunione.
“Las Animas” è intessuta di altri richiami a questa liturgia, anzi, per essere precisi, alla prima messa delle tre previste nella giornata.
- Nella penultima strofa “consumare quelle spoglie, / mutarle in luce chiara, incorruttibile” è un’eco dall’epistola (prima lettera ai Corinzi, 15, 51-57: “Et mortui resurgent incorrupti, et nos immutabimur. Oportet enim corruptibile hoc induere incorruptionem…”)
- E ancora: “fa’ che la morte sia morte” alla terza strofa potrebbe rifarsi al “fac eas, Domine, de morte transire ad vitam” dell’offertorio, ripreso in chiave paradossale per invocare un distacco netto e senza traumi.
È forse superfluo aggiungere che anche in questo caso siamo di fronte a un libero confronto con le parole della liturgia, reinterpretate all’interno di una riflessione personale sulla vita e sulla morte.
- Nella penultima strofa “consumare quelle spoglie, / mutarle in luce chiara, incorruttibile” è un’eco dall’epistola (prima lettera ai Corinzi, 15, 51-57: “Et mortui resurgent incorrupti, et nos immutabimur. Oportet enim corruptibile hoc induere incorruptionem…”)
- E ancora: “fa’ che la morte sia morte” alla terza strofa potrebbe rifarsi al “fac eas, Domine, de morte transire ad vitam” dell’offertorio, ripreso in chiave paradossale per invocare un distacco netto e senza traumi.
È forse superfluo aggiungere che anche in questo caso siamo di fronte a un libero confronto con le parole della liturgia, reinterpretate all’interno di una riflessione personale sulla vita e sulla morte.
Per i lettori interessati, qui potranno trovare un nostro commento e parte del testo a cui abbiamo pocanzi fatto riferimento.
Roberto
Che vuol dire “discretamente cristiano”?
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