Non basta comprarsi un clergyman e dismettere la talare per convincere Francesco (QUI MiL).
"“Papa Francesco ha ridotto l’Opus Dei a uno statuto ancora inferiore a quello di istituto secolare, come era stato approvato nel 1950, con l’orgoglio di essere stato il primo e il modello degli istituti secolari. Allora, come istituto secolare, l’Opus Dei aveva un presidente generale e poteva incardinare preti e laici. Nella nuova formulazione di papa Francesco, solo i chierici possono essere incardinati nella nuova associazione pubblica clericale alle dipendenze del dicastero per il clero. Appare evidente che l’Opus Dei viene privata dei laici, che costituivano la sua forza e che non possono più essere considerati suoi membri”.
Luigi
Settimo Cielo, 31-8-23
Si è tanto favoleggiato sull’inimicizia tra la Compagnia di Gesù e l’Opus Dei. Ma che la favola divenisse realtà i capi dell’Opera lo pensarono e temettero fin da subito, quando nel 2013 il gesuita Jorge Mario Bergoglio ascese al soglio di Pietro. La loro decisione fu di chiudersi in un silenzio totale, di entrare nell’ombra come una talpa nella tana, nella speranza che questo pontificato passasse senza far loro danno, senza demolire le loro conquiste negli anni d’oro di Benedetto XVI e più ancora di Giovanni Paolo II.
Invece proprio questo è accaduto. Prima con passo lento, poi con moto sempre più accelerato fino al colpo finale di questo mese d’agosto, papa Francesco ha smantellato ciò che l’Opus Dei aveva costruito di sé in decenni.
Nel titolo, nulla cambia: l’Opera continua ad essere una “prelatura personale”, l’unica con questa qualifica nella Chiesa, Ma prima con la costituzione apostolica “Praedicate evangelium” del 19 marzo 2022, poi con la lettera apostolica “Ad charisma tuendum” del successivo 14 luglio e poi ancora con il motu proprio dell’8 agosto 2023, papa Francesco l’ha svuotata della sua sostanza, l’ha declassata ad “associazione pubblica clericale di diritto pontificio con facoltà di incardinare chierici”, cioè a semplice congrega di sacerdoti, oggi circa 2 mila, sottoposta al controllo del dicastero vaticano per il clero, senza più autorità su quei 90 mila laici che erano il suo punto di forza nella società, tornati ora a dipendere, canonicamente, dai rispettivi parroci e vescovi. Proprio così: perché questo è ciò che stabilisce il nuovo canone 296, modificato da Francesco, del codice di diritto canonico, che a sua volta rimanda al canone 107 dello stesso codice (a meno che valga l’opposta interpretazione di Juan Ignacio Arrieta, segretario del dicastero per i testi legislativi, secondo cui, stando al canone 302 dello stesso codice, le associazioni semplicemente definite “clericali” sono sì rette da chierici, ma sono fatte anche di fedeli).
Nelle aspirazioni dell’Opus Dei, in buona misura realizzate negli anni d’oro, la prelatura personale doveva essere una sorta di diocesi senza un proprio territorio delimitato ma estesa al mondo intero, col suo vescovo nella persona del prelato dell’Opera, il suo clero e i suoi fedeli. Doveva quindi far parte, in questa forma specialissima, della struttura gerarchica della Chiesa, e far riferimento in curia alla congregazione per i vescovi.
Il riconoscimento dell’Opus Dei come prelatura personale risale al 1982, sette anni dopo la morte del fondatore, lo spagnolo Josemaría Escrivá de Balaguer, proclamato santo nel 2002. Poi però, contrariamente alle sue aspettative, il codice di diritto canonico del 1983 non la colloca tra le strutture gerarchiche ma nel capitolo “De populo Dei”.
In compenso i due successori di Escrivá sono fatti vescovi: prima Álvaro del Portillo, poi Javier Echevarría, che è in carica quando Bergoglio diviene papa. Alla sua morte gli succede nel 2017 l’attuale prelato, Fernando Ocáriz (nella foto), che però Francesco non gratifica della dignità episcopale. E già questo è un primo colpo che il papa gesuita infligge all’Opera, preludio del successivo divieto assoluto del 2022 a che il prelato sia insignito dell’ordine episcopale, salvo restando il suo diritto a “usare le insegne corrispondenti” al titolo onorifico di “protonotario apostolico soprannumerario”.
All’inizio del pontificato di Francesco, l’Opus Dei vantava due cardinali di primo piano: in curia Julián Herranz Casado, autorevole canonista; in Perù Juan Luis Cipriani Thorne, arcivescovo di Lima. In più erano numerose, in tutto il mondo, le diocesi rette da membri dell’Opera: nel solo Perù una mezza dozzina, tutte con vescovi d’indirizzo conservatore, puntualmente avversati, secondo copione, da vescovi gesuiti d’orientamento opposto.
Sta di fatto che, regnante Francesco, Herranz e Cipriani escono rapidamente di scena, anche per ragioni d’età, e i vescovi dell’Opera spariscono anch’essi man mano. Oggi in Perù ne resta uno solo, Ricardo García García, a capo della minuscola prelatura territoriale di Yauyos-Cañete-Huarochiri.
A far balenare una speranza di tregua era stata nel 2016 la nomina a direttore della sala stampa vaticana dello statunitense Greg Burke, già corrispondente da Roma per Fox News e Time magazine, “numerario” dell’Opus Dei, cioè suo membro celibe con i voti di castità, povertà e ubbidienza, al pari del celebre portavoce di Giovanni Paolo II Joaquín Navarro-Valls.
Burke succedeva al gesuita Federico Lombardi ed era stato letteralmente allevato per anni in segreteria di Stato col titolo di “senior communication advisor”, in vista di questa sua promozione. Ma di fatto il papa lo trattò malissimo, avvalendosi di suoi personali addetti alla comunicazione e scavalcando sistematicamente la sala stampa.
Nell’ottobre del 2018, durante il sinodo sui giovani, a Burke fu persino negato il compito di tenere lui i quotidiani briefing informativi su ciò che accadeva in aula. Il successivo 31 dicembre si dimise dall’incarico, e con lui la sua vice, la spagnola Paloma García Ovejero.
Oggi in Vaticano l’Opus Dei non copre più alcun ruolo di rilievo, dopo aver perso nell’ormai lontano 2012 anche la presidenza dello IOR, la “banca” della Santa Sede, con la cacciata del suo “soprannumerario” Ettore Gotti Tedeschi. Nella gerarchia mondiale, il solo membro di spicco dell’Opera è oggi José Horacio Gómez, dal 2010 arcivescovo di Los Angeles e dal 2016 al 2019 presidente della conferenza episcopale degli Stati Uniti, ma mai fatto cardinale da papa Francesco.
Mentre al contrario cresce a dismisura, attorno al papa regnante, la corte dei gesuiti, con in testa ben tre cardinali: il lussemburghese Jean-Claude Hollerich, regista del sinodo in corso sulla sinodalità, il canadese Michael Czerny e l’italiano Gianfranco Ghirlanda, tutti con ruoli di primissimo piano. Di cardinale gesuita ce n’è anche un quarto, lo spagnolo Luis Francisco Ladaria Ferrer, prefetto uscente del dicastero per la dottrina della fede, ma ha il difetto di non concordare con le derive dottrinali lasciate correre da Francesco, che infatti s’è liberato di lui mandandolo in pensione e sostituendolo con un personaggio di indirizzo diametralmente opposto.
All’indomani del motu proprio papale dell’8 agosto, il prelato del’Opus Dei Ocáriz ha dichiarato totale sottomissione a quanto stabilito. Che un grande esperto della materia, Giancarlo Rocca, sacerdote della Società di San Paolo e direttore dal 1969 del monumentale “Dizionario degli istituti di perfezione”, ha così riassunto su “Settimana News”:
“Papa Francesco ha ridotto l’Opus Dei a uno statuto ancora inferiore a quello di istituto secolare, come era stato approvato nel 1950, con l’orgoglio di essere stato il primo e il modello degli istituti secolari. Allora, come istituto secolare, l’Opus Dei aveva un presidente generale e poteva incardinare preti e laici. Nella nuova formulazione di papa Francesco, solo i chierici possono essere incardinati nella nuova associazione pubblica clericale alle dipendenze del dicastero per il clero. Appare evidente che l’Opus Dei viene privata dei laici, che costituivano la sua forza e che non possono più essere considerati suoi membri”.
Geraldina Boni, docente di diritto canonico ed ecclesiastico all’università di Bologna, ha a sua volta individuato “una contraddizione di arduo scioglimento” nell’assimilazione fatta da Francesco tra la qualifica di “prelatura personale” tuttora applicata all’Opus Dei e la sua nuova definizione di associazione fatta di soli chierici.
Ma di questa ennesima confusione posta in essere dal papa regnante pochi sembrano prendersi cura, forse anche a motivo di quella diffusa avversione che penalizza da decenni l’Opus Dei, al di là dei suoi effettivi meriti o colpe.
Una prova lampante di questa storica avversione può ad esempio essere letta qui, in questo colloquio pubblicato postumo nel 2003 tra quattro illustri e stimati intellettuali cattolici italiani, il primo dei quali uomo chiave nel determinare lo svolgimento del Concilio Vaticano II:
Sull’Opus Dei non pare che Bergoglio la pensasse molto diversamente da costoro, visto come l’ha ridotta, da papa.
Non è però finita. Un altro Papa potrà rimediare a molte cose. Nessun Papa è eterno.
RispondiEliminaDopo un Papa grasso ne viene uno secco,dice un proverbio romano.Il Signore scrive dritto anche su righe (estremamente)storte. Il resto è vanità......
RispondiElimina