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domenica 8 gennaio 2023

«Canonizzare Camara significa canonizzare il comunismo»

Un nazi-comunista beato?
Ormai non ci possiamo stupire di nulla da S. Marta.
Due testi di mons. Helder Câmara che abbiamo pubblicato sulle pagine Facebook della TFP. 
In aggiunta un'intervista, sul vescovo "rosso", a Julio Loredo.
Luigi

MONS. HELDER CÂMARA: “COMPAGNO DI LOTTA” DEL PARTITO COMUNISTA
La possibile beatificazione di mons. Helder Câmara, il “vescovo rosso” del Brasile, ha acceso i fuochi della polemica. Alcuni suoi partigiani si ostinano nel dire che egli non era un comunista, bensì appena un amico dei poveri. Ecco invece le sue parole, dichiarandosi apertamente “compagno di lotta” del Partito Comunista brasiliano:
“Il Partito Comunista è stato il primo a gridare per i lavoratori, ed è praticamente l’unico che si dedica alla lotta operaia. Si condanna il Partito Comunista perché esso è ateo, sovversivo e combatte contro le strutture ingiuste. Dimentichiamo, però, che i comunisti sono nostri fratelli e nostri fratelli samaritani. Nel momento in cui i lavoratori sono attaccati dalla struttura capitalista, chi più li difende sono i valori del Partito Comunista. Eppure noi trascuriamo questo grande spirito di lotta, questa dedizione alla classe operaia. È un valore evangelico che abbiamo dimenticato. È per noi motivo di grande gioia avere il Partito Comunista come compagno di lotta”. (“Missão Operária”, Anno II, n° 4, p. 48. Citato in una lettera del governatore Abreu Sodré al cardinale Agnelo Rossi, in “SEDOC”, vol. 3, febbraio 1971, cols. 987-988.)
Come la mettiamo col decreto del Sant’Uffizio del luglio 1949, che scomunica non solo chi è iscritto al Partito Comunista, ma anche “chi ne fa propaganda in qualsiasi modo”?

DOM HELDER E LA VIOLENZA
Trascriviamo l’interessante testimonianza di un (allora) giovane cileno che partecipò a una conferenza di mons. Helder Câmara a Santiago del Cile, nel 1969:
“In questo centenario della nascita di Dom Helder Câmara (2009, ndr), ritengo opportuno ricordare un fatto cui ho assistito quando ero molto giovane. Credo che esso sveli un aspetto poco conosciuto dell’arcivescovo rosso.
“Nel 1969, come studente di giurisprudenza presso la Pontificia Università Cattolica del Cile, a Santiago, accompagnai per alcuni giorni la visita che Dom Helder fece nella capitale cilena, perché ne volevo scrivere un rapporto. Tra le attività della visita ci fu un incontro, tenuto segreto, con «Iglesia Joven» (Giovane Chiesa), movimento estremista schierato con la Teologia della Liberazione, che pochi mesi prima aveva preso d’assalto la cattedrale di Santiago.
“Riuscii a infiltrarmi nella riunione con un registratore portatile (che all’epoca non erano molto discreti…), per registrare le parole di Dom Helder. Purtroppo sono stato riconosciuto da un collega dell’Università, figlio dell’ambasciatore cileno in Vaticano. Volevano portarmi via il registratore, ma sono riuscito a scappare e sono salito sul palcoscenico, sedendomi in un posto dove un’eventuale aggressione sarebbe stata vista anche da Dom Helder.
“Durante la sua conferenza, rispondendo alle domande, una di queste riguardava la legalità dell’uso della violenza nella lotta intrapresa dalla sinistra. Ricordo perfettamente la risposta di Dom Helder, che registrai. Mi sembra ancora di sentirlo, tanto mi ha colpito: “Non mi ci vedo infilzando un coltello nella schiena di un imprenditore, ma alla violenza istituzionalizzata è legittimo rispondere con la violenza rivoluzionaria”.
“Credo che non sia possibile un incitamento alla violenza più eloquente. Molti dei presenti, che hanno sentito quelle parole, hanno poi formato le milizie terroristiche del MIR (Movimento di Sinistra Rivoluzionaria) e altre simili, che hanno messo il mio Paese e ferro e fuoco.
“Ho lasciato la conferenza e mi sono dileguato nell’oscurità. Più tardi, all’università, ho ricevuto una minaccia dal figlio dell’ambasciatore di cui sopra: se avessi pubblicato quello che avevo visto e sentito, ne avrei subito le conseguenze.
“Non volevo che passasse il centenario di questo personaggio senza rendere pubblica la sua dichiarazione. Dom Helder è stato quattro volte candidato al Premio Nobel per la Pace, ma la mia testimonianza rivela come tale pretesa si scontra con la realtà”.
(F.A.A., documento firmato, Santiago, Cile. In "Catolicismo", marzo 2009)


13-12-2022, Stefano Chiappalone, La Nuova Bussola Quotidiana

A breve dom Helder Camara potrebbe essere dichiarato venerabile. Protagonista della teologia della liberazione, benevolo verso Urss e Cina, nella sua diocesi si pianificava la lotta armata rivoluzionaria. Un "santino mediatico" e ideologico, ben più che religioso, dice alla Bussola Julio Loredo, presidente della TFP italiana.
Un deciso passo in avanti per la causa di beatificazione di mons. Helder Camara (1909-1999), il “vescovo rosso” brasiliano che a breve potrebbe essere dichiarato venerabile. Lo ha reso noto l’arcivescovo mons. Fernando Saburido, suo successore nell’arcidiocesi di Olinda e Recife, retta da Camara tra il 1964 e il 1985. Un prelato sui generis, schierato con l’ala più progressista dei padri conciliari e poi, a concilio concluso, desideroso di un Vaticano III che superasse il secondo (naturalmente a sinistra). Protagonista della teologia della liberazione, sul piano politico, si mostrò decisamente benevolo verso le dittature comuniste, dall’Unione Sovietica, alla Cina, a Cuba, sempre all’insegna della “difesa dei poveri” con cui è stato propagandisticamente identificato in vita e in morte. Qualora un giorno mons. Camara salisse agli onori degli altari, costituirebbe un modello a dir poco controverso. A sostenerlo, auspicando che la causa venga sospesa, è Tradizione Famiglia Proprietà (TFP), rete di associazioni nata proprio in Brasile dall’opera di Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), leader cattolico e impegnato nella “battaglia culturale” su posizioni opposte a quelle di dom Camara. Ne parla a La Bussola Julio Loredo, presidente della TFP italiana.

Loredo, potremmo avere dunque un “vescovo rosso” sugli altari?
Dom Helder Camara è stato una figura chiave del progressismo ecclesiale dagli anni ‘30 fino alla morte, protagonista della svolta a sinistra dell’Azione Cattolica in Brasile. In seno a questo processo è sorta anche la teologia della liberazione. Inoltre negli anni ’50 e ’60 ha avuto un ruolo centrale nel ricambio (generazionale ma anche ideologico) dell’episcopato brasiliano, favorendo la nomina di prelati progressisti insieme al nunzio dell’epoca, mons. Armando Lombardi.

Una parabola partita però dal fronte opposto...
E non da semplice militante: era il numero due del partito filo-nazista Azione Integralista Brasiliana, fondato da Plinio Salgado. Quando fu ordinato sacerdote, nel 1931, sotto la talare indossava la divisa delle milizie integraliste. Grazie a uno studio di Plinio Correa de Oliveira, che ne mostrava l’incompatibilità con la dottrina cattolica, venne meno l’appoggio ecclesiastico al movimento, poi messo fuorilegge dal presidente Getulio Vargas. Dopo la dissoluzione e l’esilio di Salgado, Camara iniziò il suo trasbordo ideologico verso sinistra – che abbiamo descritto in apertura – fino alla teologia della liberazione e alla costituzione di comunità ecclesiali di base (CEB), prefigurate dal pedagogo brasiliano marxista Paulo Freire, ispiratore del Movimento de Educação de Base.

Come si mosse dom Camara durante il Concilio?
Pur non avendo mai preso la parola in aula, è stato assolutamente centrale dietro le quinte del Vaticano II. Era lui a coordinare gli incontri fra esponenti dell’ala progressista (curiosamente anche sul fronte tradizionalista la spinta veniva dal Brasile, grazie agli incontri coordinati da Plinio Correa de Oliveira dai quali scaturì il Coetus Internationalis Patrum). In questi anni dom Helder, già parte integrante della teologia della liberazione, portava avanti il dissenso dal magistero anche sul piano morale fino alla critica della Humanae Vitae di Paolo VI e alla difesa dell’aborto.

Un politico più che un vescovo?
Nel 1969 tenne un celebre discorso a New York in cui appoggiava il comunismo internazionale. Difendeva l’URSS e la Cina di Mao. Al Sessantotto risale uno degli episodi più scioccanti: il documento Comblin. Nel giugno 1968 trapelò questo documento che pianificava una rivoluzione comunista armata in Brasile. Joseph Comblin era un sacerdote belga, professore presso l’istituto teologico di Recife. Dunque, nella diocesi e sotto l’egida di mons. Camara, il quale non negò l’autenticità del documento, limitandosi a dire che non era ufficiale. Il progetto contemplava, per esempio, l’abolizione della proprietà privata, delle forze armate, la censura di stampa, radio e tv, i tribunali popolari. In pratica una rivoluzione bolscevica in Brasile. Correa de Oliveira raccolse 2 milioni di firme chiedendo l’intervento di Paolo VI per bloccare questa infiltrazione marxista nella Chiesa brasiliana, ma non ebbe risposta.

Anzi, il controverso presule rimase in carica fino ai 75 anni canonici.
Nel 1984 Giovanni Paolo II nominò suo successore José Cardoso Sobrinho, che ha cercato di mettere un po’ d’ordine nella diocesi, addirittura chiudendo l’istituto teologico e creandone un altro. Nello stesso anno usciva l’istruzione vaticana Libertatis Nuntius che condannava gli aspetti esterni della teologia della liberazione, ma era come chiudere la stalla con i buoi già scappati.

E lui personalmente non ha mai ritrattato le sue posizioni?
Non risulta. E alla sua morte, nell’agosto 1999, godeva di una sorta di canonizzazione mediatica. Alcuni giornali italiani titolavano: «Profeta dei poveri», «Santo delle favelas», «Voce del Terzo Mondo», e addirittura «San Helder d’America».

Una “fama di santità” ideologica, più che religiosa.
Un’eventuale canonizzazione di dom Helder Camara sarebe la canonizzazione del comunismo, della teologia della liberazione, del dissenso. Lo chiamano già “Santo dei poveri”, ma lui difendeva regimi che provocano la povertà, come aveva sintetizzato Indro Montanelli: «La sinistra ama tanto i poveri, che ogni volta che sale al potere ne aumenta il numero». Riguardo alla «falsificazione della fede cristiana» operata dalla teologia della liberazione, Benedetto XVI disse che « bisognava opporsi anche proprio per amore dei poveri e a pro del servizio che va reso loro».