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lunedì 3 gennaio 2022

Orrori architettonici… e dove trovarli #69 ad Agrigento (AG)

Complesso parrocchiale di San Gregorio dell’arch. Giuseppe Pellitteri (anno 2012).

Lorenzo

Descrizione del progetto: «Il nuovo complesso parrocchiale realizzato ad Agrigento è dedicato a San Gregorio Vescovo, figura molto importante per la città e la Chiesa agrigentina. Considerato l’ultimo grande esegeta della patristica greca, a lui si deve nel secolo VI la consacrazione a prima Cattedrale del Tempio della Concordia, salvando così dalla distruzione quello che sarebbe diventato un simbolo per Agrigento. Il ricordo di una così meritevole opera di conservazione dell’eredità culturale greca è stato recentemente vivificato, elevando il Santo a protettore degli studiosi della “Conservazione dei Beni Archeologici ed Architettonici”.
L’area in cui sorge la nuova Chiesa si trova a Cannatello in una zona vicina al Parco Archeologico, in un ex feudo denominato appunto Piano di San Gregorio, a rimarcare il forte legame tra il Santo Vescovo agrigentino e la Valle dei Templi. L’area poco edificata verso nord-est è abbastanza libera e caratterizzata dal tipico paesaggio della campagna agrigentina costiera, una pianura con vegetazione sparsa di natura mediterranea e colori della terra dorati; lungo il lato sud del lotto interessato alla costruzione, sono stati ritrovati i resti visibili di un sito archeologico risalente all’età del bronzo.
Il progetto della nuova chiesa di San Gregorio vuole cogliere in maniera forte e chiara l’aspetto sacro del paesaggio in cui sorge. Prima di tutto era la campagna stessa, piena di ulivi di tutte le generazioni, che già faceva sentire quella sacralità le cui radici affondano nella notte dei tempi. Ad Agrigento tutti i luoghi parlano il linguaggio della sacralità e riempiono un paesaggio che già nasce sacro. A partire da questo si sarebbero potuti strutturare gli spazi della nuova chiesa. Ma occorreva andare oltre: mettere in sintonia la sacralità di quel paesaggio campestre antico, con la particolare identità del paesaggio agrigentino, già sacro per altri motivi, introitandolo nella sacralità del tema affrontato, quello di dover progettare lì la domus ecclesiae per le generazioni future. Cioè, saper cogliere quell’inscindibile nesso che ci deve essere tra edificio sacro e paesaggio, inteso come manifestazione divina, come in passato.
Un asse spirituale tracciato nel paesaggio mediterraneo avrebbe interpretato i segni vivi dei momenti più sacri della storia di quei luoghi. Dietro la distesa del mare aperto, un infinito ancor più aperto da quando centinaia di profughi, di immigrati, di disperati, quasi quotidianamente arrivano dal resto del mondo per un approdo incerto. A partire dal dramma dell’approdo della disperazione verso una speranza protesa verso l’alto, rappresentata dal colle di Girgenti con la possanza della cattedrale, attraversando terre che registrano tutti i momenti più salienti della storia sacra e tutti i segni lasciati dal tempo: dal totem al tempio, dall’altare alla basilica. La nuova chiesa diviene il centro di questo percorso trascendente, come un punto di passaggio vitale verso l’infinito, riportando dentro tutti i simboli che segnano nella sacralità il paesaggio agrigentino.
Inoltre, la vicinanza del sito archeologico ha segnato fortemente il progetto, segnandone l’espressione frammentata e determinando la composizione dell’intero complesso che, prevalentemente ipogeo, lascia fuori terra solo gli edifici ecclesiastici più significativi: l’aula liturgica, il campanile e la casa canonica, che si affacciano su di un chiostro esterno ribassato, vero cardine di tutta la composizione. Su di esso infatti prospettano anche le aule seminterrate, destinate alle attività parrocchiali, e la cappella feriale, posta al di sotto del possente volume dell’aula liturgica: un parallelepipedo decostruito e movimentato, rivestito in travertino.
La presenza del chiostro è resa ancor più evidente dal ritmo dei pilastri del porticato, che funge da elemento di comunicazione tra gli ambienti per le attività pastorali. L’aver spinto il centro di tutto il complesso verso il basso, se da un lato ha consentito di lasciare più libero il paesaggio esterno, dove solo pochi elementi si confrontano con il sito archeologico limitrofo e la Valle dei Templi, imprescindibile riferimento figurativo, dall’altro ha permesso la creazione di una gradonata esterna che mette in relazione il sagrato e il chiostro stesso, con le diverse attività liturgiche che vi si svolgono; inoltre alla gradonata è affidato il ruolo di ospitare eventuali celebrazioni all’aperto.
È dal chiostro che si crea quel moto di ascesa, che attraversa entrambi i luoghi deputati alla preghiera, la cappella feriale di sotto e l’aula liturgica. Questa, anche se più elevata, entra ed è presente nel chiostro stesso, lo sovrasta, unificando tutti gli spazi sottostanti e proiettandoli verso il cielo, incardinati in un perno costituito da un parallelepipedo tagliato che punta verso l’alto, ben saldato a terra, ma che continua a legare la dimensione spirituale della Chiesa con la realtà fisica dei luoghi. La discesa verso il basso e il rivestimento delle pareti con lastre di acciaio corten danno la sensazione di entrare in un ambiente sepolcrale, dal quale il senso di risalita è dato da squarci di luce che penetrano dall’alto e, lambendo le pareti della Cappella centrale dell’Adorazione, portano lo sguardo verso il cielo e liberano lo spirito oltre i limiti fisici della costruzione.
L’edificio chiesastico vero e proprio, con l’aula liturgica a navata unica, un chiaro riferimento alle prime basiliche paleocristiane, è ruotato secondo la direzione est-ovest. Tale scelta non è casuale, ma denuncia una volontà precisa di recuperare un orientamento tipico sia del tempio greco che delle chiese medievali, segnando ancora una volta uno strettissimo connubio tra i due edifici cultuali. In questo modo l’aula liturgica risulta ruotata rispetto al chiostro, al campanile e alla casa canonica, orientati secondo l’allineamento dei due siti archeologici, quello vicino del periodo cretese e la Valle dei Templi.
Il fronte d’ingresso è palesato dalla presenza di due torri inclinate verso il centro e di altezza diseguale (minore quella più vicina al sito archeologico), che non solo imprimono maggiore solennità al corpo della Chiesa vera e propria, ma individuano l’asse visuale che ha negli scavi archeologici il suo fulcro. Esse collegano, inoltre, il fronte d’ingresso a quelli laterali, tra loro diversi: quello rivolto a nord riproduce il colonnato del tempio, il cui ritmo si basa sul modulo, ordinatore anche del ritmo del chiostro e del viale laterale, di sette elementi, quanti sono i Vescovi agrigentini Santi o Beati, le cui grandi effigi mosaicate sono collocate in corrispondenza all’interno; il fronte rivolto a sud, più compatto, è parzialmente forato da una serie di bucature che richiamano le note semibrevi dell’Ave Maria gregoriana.
Inserito al centro tra le due torri, vi è un robusto setto verticale anch’esso rivestito in corten, la cui giacitura perpendicolare alla strada denuncia l’ingresso ed enfatizza il concetto di accoglienza della Chiesa, simbolo dell’ascensione del Cristo e della porta sempre aperta alla comunità. Una porta che introduce anche alla città, come elemento simbolo di tutto il paesaggio urbano segnato dall’intero complesso, che si estende e si dilata oltre, sia sotto che intorno alla Chiesa, frammentato e differenziato in spazi subordinati, comunque connessi da piazze e spazi aperti, che possono assumere anche un carattere celebrativo. La sua imponenza e l’isolamento visivo, nel gesto dell’apertura e dell’invito ad entrare dato dalla rotazione del setto, trasformano in positività cristiana l’incertezza dell’ignoto, in speranza la certezza della fede.
Sottotono rispetto all’edificio della Chiesa, per rafforzarne la presenza, troviamo la casa canonica con il suo aspetto dimesso. L’edificio si caratterizza, infatti, per la sua semplicità formale e colore, sia nell’articolazione volumetrica che nel disegno delle facciate, dove il gioco delle bucature di logge e finestre vuole richiamare il linguaggio del paesaggio urbano di borgata. L’area a sud, lasciata libera dall’edificazione, fa da filtro all’area archeologica ed è attraversata da un sistema di percorsi carrabili e pedonali.
All’interno varcata la soglia dell’aula, l’area presbiterale è individuata da un parallelepipedo cavo pure rivestito in corten, ruotato e ben visibile dall’esterno; una rilettura della cupola rinascimentale, che penetrando all’interno dello spazio della navata avvolge, in un fascio di luce proveniente dall’alto, il Cristo sospeso e racconta, in tal modo, della sua Resurrezione.
Il velario inclinato, che copre parzialmente il lucernario, rappresenta la lastra tombale del sepolcro che si scoperchia e trasmette l’atto trascendentale del risorgere. Il Cristo in bronzo sospeso, libero dalla croce mentre risorge, è spoglio, simile agli uomini, fino alla morte per causa della Croce. «Cristo spogliò se stesso», nella cosciente accettazione della sua morte e appare in forma umana nel momento dell’eucarestia. La croce è visibile in prospettiva sullo sfondo, collocata sulla parete fondale. Attraverso la parete vetrata a nord, già dal sagrato esterno è intuibile in corrispondenza del presbiterio la presenza dei sottostanti luoghi di preghiera, la cappella feriale e quella dell’Adorazione, che sono direttamente raggiungibili anche dalla gradinata.
Il campanile, posto in prossimità della strada, è costituito da uno snello e alto parallelepipedo, rivestito in travertino, come le torri, e tagliato in diagonale; assolve anche l’importantissima funzione di landmark urbano, denunciando immediatamente con la croce incavata la presenza dell’edificio religioso. Il progetto artistico complessivo – vetrate, arredi sacri, mosaici, statue, ecc. – elaborato dell’artista Enzo Venezia, si è sviluppato di pari passo coll’evolversi del progetto architettonico, condividendo quindi di pari passo il pensiero e le soluzioni del progettista. L’apparato iconografico e gli oggetti sacri si integrano perfettamente in tutta l’architettura e ne caratterizzano e rafforzano il significato. In linea con gli attuali orientamenti scaturiti dal dibattito in atto sul recupero del ruolo storico dell’arte nell’architettura religiosa, l’intervento artistico concorre a dare espressione e significato allo spazio liturgico, che deve «esprimere simbolicamente l’economia della salvezza dell’uomo, divenendo visibile profezia dell’universo redento, non più sottomesso alla “caducità” […], ma riportato alla bellezza e all’integrità».»

Foto esterni:





Foto interni:






1 commento:

  1. Siamo a Stonehenge?
    Interni 2 e 3 con geroglifici.
    Interno 1 inquietante: la Croce e' senza Gesu', Gesu' e' sospeso a mezz'aria rilevabile dall'interno 3 e 4; Gesu' e' risorto.
    Interno 5 : il solito ulivo.
    Sembra esserci stato un passaparola sotterraneo :non piu' chiese sed aule liturgiche tutte uguali, senza il Sacrificio di Gesu'.Tutti assolti!


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