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venerdì 17 dicembre 2021

Porfiri: il carattere virile della musica di Chiesa.

Alcune interessanti riflessioni del Maestro Aurelio Porfiri.
Luigi

22 Novembre 2021, Marco Tosatti
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IL CARATTERE VIRILE DELLA MUSICA DI CHIESA

Potrà forse sorprendere qualcuno che si parli di un “carattere virile” per quello che riguarda la musica di Chiesa, ma questo in realtà deve essere compreso come una delle caratteristiche importanti che la stessa ha sempre avuto a Roma, almeno in forma prevalente. Il carattere virile qui non si intende come maschile soltanto, ma come simbolo di ciò che è fiero, forte, perenne. Si è blandito quel canto a voce piena che fu poi spesso sostituito, nelle cattive interpretazioni della pur lodevole per altri versi riforma solesmense, con pigolii di anime che forse temevano di svegliare un bambino che dorme. Il canto della fede è invece il canto dei guerrieri che sono impegnati nella buona battaglia e che la testimoniano al loro Creatore.

Isidoro di Siviglia ci dice nelle sue Etimologie: “Perfecta autem vox est alta, suavis et clara”. E poi aggiunge che è clara ut aures adinpleat. Insomma, non è quel canto gregoriano timido che alcuni fanno passare per angelico, spirituale, celestiale. In tutto questo è certo entrata una certa corruzione romantica e sentimentalistica che ha saputo ben penetrare nella musica liturgica e che ha raccolto i frutti più rigogliosi nella stagione postconciliare. Ma questa effeminatezza (che non è, si badi bene, femminilità) non ha giovato certamente a quella devozione che deve essere caratteristica della musica sacra, ma anzi ha chiaramente denotato il presente periodo di corruzione morale e spirituale, come simile corruzione intercorse nel tempo di decadenza dell’Impero Romano.

La musica sacra, per come era intesa nella scuola romana, tentava l’accesso alle vie angeliche ma passando per le vie basse. Certo l’ascesa dei castrati portò un elemento di ambiguità che, seppure fu foriero di eccezionali performances artistiche, ma fu anche portatore di possibili derive estetiche. Lo studioso della Cina François Jullien, nel suo bellissimo “Essere o vivere”, può affermare: “L’ambiguità è ciò che non si lascia dividere, e non perché gli opposti vi coesistano, come nel “misto”, ma perché in essa gli opposti non si sono mai sufficientemente demarcati per distaccarsi l’uno dall’altro. Si potrà dire allora che l’ambiguità è il “tra” della loro non-separazione; o che il luogo dell’ambiguità è il tra-due”. Ecco, questo luogo di non demarcazione non è stato certo assente negli sviluppi della scuola romana, influenzando alcuni protagonisti che non seppero sottrarsi al fascino delle sirene.