Nello svolgimento della liturgia, delle cerimonie liturgiche, in passato molta importanza veniva data al ruolo della ripetizione rituale, per cui certi gesti o testi venivano reiterati divenendo familiari ai partecipanti al sacro rito. Tutto questo era fissato nelle rubriche che costituivano una garanzia per coloro che, in diverse capacità, partecipavano all’azione sacra.
Come ci informa Robert Lesage (in Dizionario pratico di Liturgia Romana, 1956), dal XVI secolo almeno fu provveduto per le Cappelle Papali un libro proprio per regolare le Cappelle Pontificie, che derivava direttamente dagli Ordines Romani che regolavano la liturgia nel medioevo. Non solo, ma ben sappiamo come questo retto ordinamento delle cerimonie toccava anche la musica, tanto che c’erano mottetti specifici che
venivano ripetuti sistematicamente in certe festività, come ci ricorda il cantore Pontificio Andrea Adami da Bolsena (1663-1742) nel suo importante lavoro Osservazioni per ben regolare il Coro dei Cantori della Cappella Pontificia, tanto nelle Funzioni ordinarie, che straordinarie, pubblicato a Roma nel 1711.Cassian Folsom (in Scientia Liturgica I) ci avverte come i cerimoniali papali prendono forma già dal XII secolo, si sviluppano nell’ultimo quarto del XIII secolo, traversano varie fasi dovute alla cattività avignonese e al tempo del grande scisma per poi arrivare al periodo rinascimentale in cui vengono pubblicati due libri importanti, il Caerimoniale romanum di Pietro di Burgos, maestro delle cerimonie di Nicola V e il De caerimoniis Curia Romanae libri tres di Agostino Patrizi Piccolomini e Giovanni Burchard, scritto su richiesta di Innocenzo VIII e pubblicato nel 1516 sotto Leone X.
È ovvio che libri simili e altri dello stesso tipo servono per mettere in evidenza la legge liturgica, con le rubriche stampate in rosso proprio per essere messe in evidenza e proteggere coloro che sono nel presbiterio dalla smania di protagonismo e coloro che sono nella navata da dover assistere a riti liturgici in cui l’attenzione viene spostata dall’oggettività della liturgia alla soggettività dei ministri. Garanzia dello svolgimento della liturgia e del rispetto della legge liturgica era quella del cerimoniere, che non doveva inventare nulla ma solo far rispettare l’ordinato svolgimento della celebrazione in modo che tutti svolgessero il proprio compito nel modo più appropriato e a cui doveva infatti obbedienza, nell’ambito della cerimonia stessa, anche un diretto superiore. Anche il Papa, nella liturgia, deve ascoltare il suo Maestro di Cerimonie. Tutto questo, come detto, era una garanzia di protezione per tutti, dalle tentazioni che ci sottopone il concetto di “creatività”.
Se è vero che nei primi secoli ci fu una fase fluida della liturgia, questo non va compreso come uno sfoggio di creatività, ma come un necessario momento di passaggio dovuto alla fase sorgente del culto cristiano, quando testi e preghiere non erano fissati. Quindi, l’enfasi non era nella cosiddetta creatività ma nel fatto che si stava sviluppando l’architettura dell’edificio liturgico romano. In tempi recenti però la creatività ha ripreso molto vigore, tanto che la liturgia è spesso manipolata a piacere di liturgisti senza scrupoli. Del resto ci avverte di questo anche A. Pistoia, che nel Nuovo Dizionario di Liturgia dedica alla voce “creatività” un lungo articolo in cui premette: “L’impiego del termine ‘creatività’ nell’ambito della liturgia cattolica è assai recente, risalendo al primo impatto della riforma liturgica post-conciliare con il mondo della cultura odierna. E proprio da tale cultura è stato preso a prestito”.
Ora, se vediamo all’utilizzo del termine “creatività” nella cultura moderna, vediamo che molto spesso esso prende un significato che coincide con l’originalità, cioè con fare quello che non era stato fatto in precedenza. Si oppone cioè alla sapienza tradizionale, sui cui il rito liturgico si basa, che predilige la sapienza della ripetizione, da cui può nascere (ma non deve per forza nascere) la novità. Con questa mentalità la liturgia è un cantiere sempre in corso d’opera, siamo sempre sottoposti ai capricci di questo o quel celebrante.
Bisognerebbe recuperare la saggezza di un sano rubricismo, per proteggere la liturgia e coloro che, con compiti diversi, vi prendono parte.
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Verissimo! "La liturgia non vive di trovate accattivanti ma di ripetizioni solenni", scriveva un certo Joseph Ratzinger. Purtroppo la Messa non viene più concepita e celebrata come atto di culto ma prevalentemente di intrattenimento catechistico. Peter Kwasniewski fa notare la schizofrenia esistente nella continua interruzione del rito con le inserzioni e monizioni personali del celebrante. Sono cose che riscontriamo tutti, e ho riscontrato anche io domenica sera:
RispondiElimina"Buonasera e ben arrivati / Nel nome del Padre..."
"Oggi ricordiamo bla bla bla / Il Signore sia con voi"
"Chiediamo perdono per tutte le volte bla bla bla / Confesso a Dio onnipotente..."
In generale l'aspetto rituale (quel che ne resta nella nuova prassi liturgica) diviene quasi un intralcio alla creatività del celebrante che non perde occasione di "farcire" il rito con le sue monizioni e interpolazioni, alla stregua di un monologo teatrale in cui Dio è tragicamente ignorato.