Una interessante riflessione – tradotta in italiano – dello scrittore e filosofo ateo Michel Onfray sulla lettera apostolica in forma di motu «proprio» «Traditionis custodes», pubblicata sul quotidiano Le Figaro il 19 luglio.
L.V.
TRIBUNE - Lo scrittore e filosofo*, pur essendo ateo, vede nella Chiesa cattolica e nei suoi riti il polso della nostra civiltà. La spiegazione spiega perché la decisione di papa Francesco di intervenire nella Messa in latino lo sgomenta.
di Michel Onfray
Sono ateo, come sappiamo, la mia vita nella Chiesa cattolica mi interessa perché dà il polso alla nostra civiltà giudaico-cristiana, che è in pessime condizioni. Perché se Dio non è del mio mondo, il mio mondo è quello reso possibile dal Dio dei cristiani. Non importa quello che dicono quelli che pensano che la Francia inizi con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo, il che è stupido come credere che la Russia sia nata nell’ottobre del 1917, il cristianesimo ha plasmato la mia civiltà e che credo di poterla amare e difendere senza battere il mio cuore, senza dover chiedere perdono per le sue colpe, senza aspettare una redenzione dopo la confessione, la contrizione e l’inginocchiarsi. È pazzesco come coloro che ripugnano al cristianesimo dicendo che non ha avuto luogo si trovano come rum il babà che conosciamo!
Benedetto XVI è stato un papa filosofo formatosi in ermeneutica e fenomenologia tedesca. Nel testo leggiamo anche autori cattolici francesi. Il suo Gesù di Nazareth (2012) è inscritto nella storia dell’idealismo tedesco, in particolare dell’hegelismo che si dice di destra per distinguerlo da quello che, detto di sinistra, porta al giovane Marx.
Papa Francesco non è a questo livello teologico, tutt’altro. Ma non gli manca l’astuzia gesuitica che significa che, venendo dalla Compagnia di Gesù, sceglie per il nome di sommo pontefice quello che più si oppone agli intrighi e alle anticamere dove i gesuiti amano stare, cioè quello di Francesco di Assisi. Jorge Mario Bergoglio, chimico di formazione, viene dal peronismo; Joseph Ratzinger, teologo della formazione, dell’antinazismo.
Ai miei occhi, l’atto maggiore di papa Benedetto XVI è stato il discorso di Ratisbona, il 12 settembre 2006, nell’università tedesca dove era professore, ha svolto il suo lavoro di papa credendo che cristianesimo e islam mantengano nei testi un’antinomia relazione, in particolare sull’articolazione tra fede e ragione, ma anche sulla questione della violenza in generale e sulle cellule del jihad in particolare. Dico dai testi perché era qui la sua preoccupazione, anzi presentava l’esegesi personale di un dialogo situato all’inizio del XV secolo tra l’imperatore bizantino Manuele II Paleologo e uno studioso persiano. L’invito a riflettere su questa domanda è stato il prezzo di un insulto planetario all’Islam...
L’atto maggiore di papa Francesco è, sempre secondo me, quello di essersi fatto fotografo davanti a un crocifisso su cui Gesù indossa il giubbotto salvagente arancione dei migranti. È qui l’icona trionfante del Vaticano II che liquida ogni sacralità e ogni trascendenza a favore di una morale diffusa globalmente come la gola di uno scout.
È secondo questa logica che dobbiamo intendere la decisione di papa Francesco di abrogare, diciamolo in termini laici, la decisione presa da Benedetto XVI di consentire le Messe in latino, diciamo le Messe tridentine, per chi lo desidera. Nel Summorum pontificum, Benedetto XVI ha liberalizzato la cosiddetta Messa di Pio V. Nella Traditionis custodes, Francesco cancella questa liberalità. Benedetto XVI ha voluto superare lo scisma con i tradizionalisti, Francesco lo ripristinerà con il pretesto ovviamente, gesuita un giorno, gesuita sempre, che intende così unire ciò che separa. Le vocazioni cadono con il Vaticano II. Ma i religiosi che mantengono il rito latino non conoscono la disaffezione, anzi riempiono i seminari. Papa Francesco preferisce le chiese vuote con le sue tesi a quelle piene con le celle di Benedetto XVI.
La separazione non è la funzione del… diavolo? L’etimo lo testimonia. Se avessi la fede cattolica, non potrei fare a meno di pensare alla Lettera di Giovanni che dice: «Ogni spirito che divide Gesù Cristo non è da Dio; ed ecco l’Anticristo, che avete sentito dire che deve venire; ed egli è già ora nel mondo». (1.4:3).
La posta in gioco in questa vicenda è la continuazione del Vaticano II, cioè l’abolizione del sacro e della trascendenza. La secolarizzazione del rito ridotto a una liturgia la cui vita è un lungo fiume tranquillo ha mostrato tutta la potenza con il suo fresco sacerdote che suona la chitarra e canta stupidamente «Gesù, Jé-é-é-sus, torna indietro». Possiamo preferire il canto gregoriano senza essere nostalgici di Vichy…
Ora il genio del cristianesimo, testimoniano i vari concili sulla possibilità o meno di raffigurare Cristo, è stato quello di rendere possibile una civiltà dell’allegoria, del simbolismo e della metafora. Il genio ebraico si trova nell’ermeneutica, quello del cristianesimo nella spiegazione delle parabole. Gli ebrei inventano l’ermeneutica per i più dotti, i rabbini lettori della Kabbalah; i cristiani sviluppano l’ermeneutica popolare, per i fedeli ai quali si raccontano storie da decifrare con la storia santa. La nostra civiltà dell’immagine, della ragione esplicativa, della filosofia separata dalla teologia, procede da questo mondo.
La Messa in latino è retaggio del tempo genealogico della nostra civiltà. Eredita storicamente e spiritualmente una lunga stirpe sacra di riti, celebrazioni, preghiere, tutto cristallizzato in una forma che offre uno spettacolo totale – un Gesamtkunstwerk, per usare una parola che deriva dall’estetica romantica tedesca.
Per chi crede in Dio, la Messa in latino sta alla Messa del lungo fiume tranquillo quella che sembra piacere a Papa Francesco, come la basilica romana contemporanea di Sant’Agostino sta a una sala polivalente in un bar di palazzi ad Aubervilliers: una vi cercherebbe invano il sacro e la trascendenza. Quale spiritualità in questi casi?
Mettiamola in modo enigmatico, papa Francesco fa bene quello che è dov’è… Aggiungiamo in modo altrettanto enigmatico, ma non così tanto, che ci chiediamo perché viviamo in un’epoca con due papi.
* Ultimo libro pubblicato: «L’arte di essere francesi», Libri «Essais»
Più che altro nei siti ipermodernisti si veicola la forzatura ideologica e menzognera che la Messa in latino non possa andare d'accordo con il Vaticano II. Sempre l' ignoranza degli estremi, da una parte e dall'altra! E invece proprio perché il Vaticano II è molto vicino allo spirito del Vangelo nel senso discendente del termine, serve mantenere una forma liturgica ascendente che controbilanci. Gesù è l' equilibrio, è Dio che pone la retta via, che modera gli estremi. È il contrasto sublime del Dio-uomo, del Re che nasce in una capanna, del figlio di Dio che muore in croce. Quindi si, signori miei, proprio il Vaticano II insieme alla Messa in latino di San Pio V sono la degna rappresentazione del cattolicesimo, dell'amare Dio e il prossimo. Una Messa deve dare un senso di rispetto, non si suona la chitarra mentre nostro Signore muore in croce e si deve parlare una stessa lingua nel rito in tutto il mondo. Poi non si nega l'uso della lingua nativa nel rapporto con Dio, ma un rito è un rito. Gli estremi da un lato e dall'altro stanno distruggendo la Chiesa.
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