Roberto
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, l’avvocato Luca De Netto ci offre questa riflessione – di cui lo ringraziamo di cuore – sulla situazione relativa all’ultimo Motu Proprio emanato dal Pontefice regnante. Buona lettura.
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DAL SUMMORUM PONTIFICUM A TRADITIONIS CUSTODES: COME LAICI INASCOLTATI CHE FINE FACCIAMO?
Quando chi scrive è nato, il Papa era Giovanni Paolo II. Cresciuto sotto quel pontificato, frequentando il Catechismo e ricevendo i Sacramenti.
Da bambino ero affascinato dal canto del “Tantum ergo” di cui non comprendevo una sola parola, ma volevo imparare a cantarlo. A differenza di certe imposizioni che i catechisti si sforzavano di attuare pretendendo che “animassimo la Messa” con l’Allelujia delle lampadine. Da cui qualcosa di istintuale mi chiedeva di fuggire.
Come da quel battere le mani ai canti che parevano un concerto dei Nomadi. Con la differenza che i Nomadi, almeno, intonano egregiamente il Tantum Ergo…
Con il tempo si cresce, e si cerca. Si cambiano le città, le chiese, le parrocchie.
Ma, con il passare degli anni, ho assistito ad una sempre maggiore banalizzazione delle messe, che ad un certo punto mi son diventate davvero intollerabili; fino a non afferrare più cosa fossero, e considerarle vuoti ritrovi dove “ascoltare le letture” e mille altre parole. Parole su parole. Fiumi di parole. I Jalisse al posto del silenzio. E del gregoriano.
Una noia micidiale. Un‘ora di in-sofferenza a cui prendevi parte solo e soltanto per il Sacramento eucaristico. Per il resto, meno durava, meno parlavano i preti, meglio era. Fuggire il prima possibile!
Nel frattempo il Papa era diventato Benedetto XVI.
E proprio sotto il pontificato di Papa Ratzinger ho, per la prima volta, assistito ad una Messa che mi ha lasciato talmente rapito ed inebriato da farmi commuovere.
Un santo sacerdote che, celebrando “di spalle” ai fedeli, compiva una serie attenta di gesti, si inginocchiava con scrupolo, proferiva parole in lingua latina e per tre volte ripeteva “Domine non sum dignus” prima di accostarsi al Corpo e Sangue di Cristo.
Meraviglia delle meraviglie! Era come percepire il Cielo sceso in terra! Qualcosa che non si può descrivere, che occorre vivere.
A fine Messa chiesi, volevo sapere, volevo conoscere quella Messa, quel Rito! Volevo viverlo e frequentarlo.
E si aprì un mondo. Per me. Per tanti altri fedeli. Per numerosi giovani che si erano addirittura completamente allontanati dalla Chiesa.
Purtroppo, però, scoprimmo anche le invidie, le gelosie, i pregiudizi, i pericoli e le avversità che quel rito destava per il sol fatto di esistere e di essere celebrato.
Mai da nessun fedele, sia chiaro! Ma sempre da parte di una minoranza del clero. Che spesso i fedeli tendeva a sobillarli.
Così abbiamo costituito un Coetus a norma del Summorum Pontificum, e, quando è stato necessario reperire un sacerdote che regolarmente celebrasse nella forma straordinaria di quello che Ratzinger ci aveva rassicurato essere un unico rito, le difficoltà sono parse insormontabili.
Giovani sacerdoti, che pure conoscono e celebrano privatamente con il Messale di Giovanni XXIII, per timore, per ansia di carriera, per evitare etichette, hanno preferito voltarci le spalle. E non certo per dire messa… Qualcuno ci ha persino tolto il saluto.
Gli anziani, invece, hanno tirato fuori la storia del Concilio Vaticano II che avrebbe cambiato tutto. Come sarebbe a dire cambiato tutto?!? E prima del Concilio?!? E i nostri nonni dunque avevano sbagliato? E cosa c’entrava poi il Concilio, che nessuno di noi aveva mai tirato in ballo o nemmeno nominato, tanto fosse naturale e scontato, come lo era l’aver frequentato per tanti anni il rito di Paolo VI? E che tra l’altro si continuava a frequentare. Evitando però, come la peste, quelle messe nuove dove il celebrante fa lo showman o si dilunga in inutili e noiose omelie sociologiche.
Alla fine dei discorsi con il clero, sembrava che il problema fosse sempre il Vescovo, che, come Don Rodrigo, pareva aver ribadito ai sacerdoti, sempre un po’ Don Abbondio: “questa Messa non s’ha da fare, né domani, né mai!”.
Grazie a Dio, il Summorum Pontificum ci consentiva comunque di agire, rivendicato tutto il ruolo e la centralità dei laici che quel documento, in perfetta adesione e linea al Concilio Vaticano II, rimarcava. Perché poi i documenti del Concilio abbiamo voluto studiarli ed apprezzarli. E tirarli fuori nei confronti di chi di dovere…
Il protagonista indiscusso della liturgia antica, o, meglio, della sua attuazione, diffusione e partecipazione, secondo il documento di Benedetto XVI, erano proprio i laici. Non i sacerdoti e non i vescovi! Mai documento fu più conciliare del Motu Proprio Summorum Pontificum, con i laici costituiti in Coetus come motore e sviluppo della Liturgia!
Benedetto XVI si rivelava essere così un dei più grandi interpreti del Concilio, nel solco di tutta la Tradizione della Chiesa.
Non rottura, non un prima ed un dopo, come sostenevano certi preti sedicenti conciliari, ma continuità, cammino, unità. Con i laici protagonisti indiscussi, fino al punto da poter ricorrere alla Congregazione competente per il rispetto del Motu Proprio contro l’eventuale ed illegittima opposizione del proprio Vescovo.
Qualcosa di davvero straordianario. Forma extraordinaria, per l’appunto. Non a caso.
Con la pubblicazione di questo nuovo Motu Proprio di Papa Francesco (per il quale le nostre preghiere oggi sono e devono esser ancor più intense), invece, sembra che i laici siano stati ridotti ad un nulla, a spettatori passivi di un processo del tutto clericale.
Dove nemmeno più il singolo sacerdote ha la giusta facoltà di scelta.
Persino i vescovi sono stati limitati, e tutto è stato ricondotto a Roma.
Centralismo puro e passività assoluta. Altro che pre-concilio! Altro che Messa antica! Neanche nel Medioevo si era mai giunti a tanto. Anzi, tutt’altro…
I diritti dei fedeli, del Santo Popolo di Dio, sembrano essere completamente cassati, conculcati, svaniti. Cancellati con un tratto di penna dall’oggi al domani.
Ma proprio alla luce di tali evidenti stranezze, come laici vorremmo conoscere il risultato di questo questionario. Capire come i singoli vescovi abbiano risposto. Capire se le risposte sono state vagliate tutte, e come… E magari da chi!
Perché noi, come tanti altri, abbiamo scritto sia all’Ordinario del luogo che alla Congregazione per la Dottrina per la Fede spiegando, prima che il questionario venisse consegnato con le risposte, le ragioni dei laici e la nostra situazione.
Il perché amiamo questa Liturgia. La sua forma, la sua ritualità, i suoi gesti. E quanto riempa di Assoluto e di Sacro il nostro cuore ed il nostro animo. Una sensibilità che chiediamo sia rispettata, così come rispettiamo quelle altrui.
Ma tali nostre limpide spiegazioni, saranno state prese in considerazione? A noi risulta che tolti pochi casi come il nostro, dove ciò che si riscontra è un mero pregiudizio da parte clericale, nella stragrande maggioranza delle Diocesi la Messa antica è stata ben accolta e sostenuta, concorrendo alla crescita della Chiesa tutta.
Ed anzi, apportando persino benefici nel limitare gli abusi nella celebrazione del Messale di Paolo VI, anche grazie ai tanti fedeli che frequentano le due forme e ai sacerdoti che celebrano San Pio V come il novus ordo.
Basterebbe vedere chi, come noi, si inginocchia al Credo anche nel nuovo rito alle parole “e per opera dello Spirito Santo si è incarnato…”, o resta in ginocchio durante l’intera consacrazione e dossologia fino al “per Cristo, con Cristo..”.
Non riusciamo pertanto non solo a comprendere questo nuovo motu proprio, e soprattutto ci chiediamo: a noi laici che siamo o eravamo Coetus, adesso che ruolo spetta? Siamo ancora o non siamo più soggetti di diritto attivi? Ci viene riconosciuto il ruolo e la centralità che il Concilio Vaticano II ci aveva attribuito? Come faremo affinché le nostre legittime aspettative siano accolte? Chi ci tutelerà? O forse, a mali estremi, dovremmo attrezzarci diversamente, ed aprire le porte delle comunità delle Diocesi a qualsiasi realtà che celebra validamente secondo il Messale del 1962, a prescindere da norme e resto?
Però in tal caso, sia chiaro, la responsabilità sarebbe tutta di quei Vescovi che si ostinano a non ascoltare, di quei sacerdoti diocesani che mancano di coraggio o alimentano pregiudizi. Ma forse e soprattutto di chi ha ideato e scritto questo Motu molto… im-Proprio.
Attendiamo fiduciosi risposte. Prima che sia troppo tardi…
Avv. Luca De Netto