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lunedì 21 giugno 2021

Sgarbi sui preti senza abito e altro

Intelligenti parole di Vittorio Sgarbi: [...] Era iniziato tutto quando alcuni preti, negli anni della contestazione, cominciarono ad abbandonare la tonaca per vestire abiti borghesi, per non «sembrare» preti, ma magari operai, e mostrarsi con ciò più vicini al popolo. Così comincia a sparire Don Camillo, e la religione si tutela dall'uso di un armamentario che appare obsoleto. Il rosario resta fra le dita di qualche vecchia beghina, testimone di superstizioni e riti da nascondere e dimenticare. [...] Guardate l'ultima campagna Gucci, in Italia, con un nero e un pakistano, vestiti in modo incomprensibile e ridicolo, e i nuovi modelli di altri stilisti in attesa che decidiamo di che sesso vogliamo essere. Una gonna non si nega a nessuno, ma che nostalgia dell'abito talare del prete, con la sottana fino ai piedi! [...].
Ma tutto l'articolo è da leggere.
Luigi

Vittorio Sgarbi, Il Giornale, 8-6-21

Ai tempi di Don Camillo e Peppone era lecito, Dc contro Pci, essere clericali e laici. Don Camillo parlava con il Cristo, Peppone esibiva la falce e il martello. Due posizioni culturali e politiche. Eppure anche la Democrazia cristiana era un partito laico che non si preoccupava di usare un aggettivo così connotato di valori religiosi, per i quali si provava rispetto e non vergogna, soggezione e non paura del ridicolo.

Oggi le menti illuminate e moderne compatiscono Salvini perché mostra o dona il Rosario; quarant'anni fa Andreotti lo recitava. Così parla di un suo incontro con Madre Teresa di Calcutta: «Di Madre Teresa ho stupendi ricordi nella partecipazione alla messa della sua comunità durante le sue non infrequenti soste romane... Ma fu per me un privilegio esaltante la perdita della coincidenza degli aerei, il giorno del funerale di Indira Gandhi. Stavo imbarcandomi con la delegazione italiana sull'aereo militare quando mi avvertirono e fu una gioia invitarla a venire con noi, insieme ad un'altra suora. Furono ore indimenticabili, ma ancor più mi commosse l'arrivo. E andammo per una breve sosta nella nostra ambasciata di New Delhi. Madre Teresa mi prese per un braccio e mi portò in giardino a recitare il rosario. Un momento di paradiso». Oggi non sarebbe possibile, o dovrebbe farlo di nascosto. Non risulta che nessuno abbia irriso Andreotti come ora chiunque, dalla Gruber ad Aldo Grasso, compatisce o guarda con ironia e sussiego Matteo Salvini per avere, con i suoi modi semplici, voluto far riferimento alla sua fede di cristiano e ai suoi valori. E ha parlato di rosario nel mese in cui era consuetudine recitarlo, maggio, il mese della Madonna.

Non è più lecito. Se ne fa una questione di buon gusto, chiamando ostentazione quelli che i musulmani fanno dieci volte al giorno. No. Da noi non si può. Dobbiamo vergognarci di essere cristiani. È in corso uno sradicamento dei valori cristiani, anche attraverso l'intolleranza e il compatimento riservati a Salvini da osservatori che si considerano autorevoli, e garanti di una società civile che non può ammettere debolezze o ingenuità religiose. Cui è riservato il rango di superstizioni.

Era iniziato tutto quando alcuni preti, negli anni della contestazione, cominciarono ad abbandonare la tonaca per vestire abiti borghesi, per non «sembrare» preti, ma magari operai, e mostrarsi con ciò più vicini al popolo. Così comincia a sparire Don Camillo, e la religione si tutela dall'uso di un armamentario che appare obsoleto. Il rosario resta fra le dita di qualche vecchia beghina, testimone di superstizioni e riti da nascondere e dimenticare. È perfino osceno, oltre che sconveniente che un uomo per bene, e per di più piemontese, come Aldo Grasso, aggiunga, dopo la facile ironia della Gruber sul pellegrinaggio a Fatima di Salvini (come se qualcuno avesse mostrato riserve sulla visita di un leader internazionale ad Assisi), il riferimento alla esclamazione «eh la Madona!» di Renato Pozzetto alla imprevista visione del sesso femminile. Una bestemmia? Una caduta di gusto? No. L'atteggiamento di sufficienza e di superiorità delle classi colte ed evolute rispetto alla esibizione della fede come una superstizione. Non se ne rende conto Grasso; ma il suo commento sembra suggerire la vergogna di proclamarsi cristiani, come sua madre, come suo padre, come mia madre, come mio padre. Eppure nessuno irriderebbe un convertito all'Islam, o un seguace del Dalai Lama, perché fa tendenza, è chic, e lo impone la difesa delle minoranze. Così è un eroe Fedez se si scatena in favore del ddl Zan, perché fa moda, la difesa di chi abbia una condizione («discriminata»)cui va garantita dignità.

Se vuoi far vedere il Rosario, allora: «eh la Madona!». Come ti permetti! Torna nelle catacombe. Che volgarità!

Intanto la moda ci impone di vedere stilisti celebri inginocchiarsi a una sola religione: quella transgender, per non discriminare nessuno. Guardate l'ultima campagna Gucci, in Italia, con un nero e un pakistano, vestiti in modo incomprensibile e ridicolo, e i nuovi modelli di altri stilisti in attesa che decidiamo di che sesso vogliamo essere. Una gonna non si nega a nessuno, ma che nostalgia dell'abito talare del prete, con la sottana fino ai piedi!

Almeno aveva un significato spirituale, non sessuale. E, in fondo, era triste anche il richiamo di Grasso alla esclamazione, in ben altro contesto, di Pozzetto. Questo è il comportamento politicamente corretto, secondo i nuovi evangelisti.