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martedì 6 aprile 2021

Le Sante Messe del tempo pasquale in dom Prosper Guéranger #5 martedì di Pasqua

Continuiamo le meditazioni liturgiche tratte dall’Année Liturgique di dom Propser Guéranger (Le Mans 1841-1866) per il tempo pasquale: martedì di Pasqua.

L.V.

MARTEDÌ DI PASQUA

La Stazione

A Roma, oggi, la Stazione è alla Basilica di San Paolo. La Chiesa si affretta a condurre ai piedi del dottore dei Gentili il suo candido esercito di neofiti. Compagno di lavoro di Pietro, associato al suo martirio, Paolo non è base della Chiesa, ma ne è il predicatore del suo Vangelo a tutte le nazioni. Egli ha sentito i dolori e le gioie della sua nascita, e i suoi figli sono divenuti innumerevoli. Dal profondo della tomba le sue ossa trasaliscono di allegrezza all’avvicinarsi dei nuovi figli, avidi di ascoltare la sua parola nelle immortali Epistole, per mezzo delle quali egli parla ancora, e parlerà sino alla fine dei secoli.

MESSA

EPISTOLA (Atti 13, 26-33) – In quei giorni si alzò Paolo e fatto cenno con la mano disse: «(…) Fratelli, figli della stirpe di Abramo, e quanti fra voi siete timorati di Dio, a noi è stata mandata questa parola di salvezza. Gli abitanti di Gerusalemme infatti e i loro capi non l’hanno riconosciuto e condannandolo hanno adempiuto le parole dei profeti che si leggono ogni sabato; e, pur non avendo trovato in lui nessun motivo di condanna a morte, chiesero a Pilato che fosse ucciso. Dopo aver compiuto tutto quanto era stato scritto di lui, lo deposero dalla croce e lo misero nel sepolcro. Ma Dio lo ha risuscitato dai morti ed egli è apparso per molti giorni a quelli che erano saliti con lui dalla Galilea a Gerusalemme, e questi ora sono i suoi testimoni davanti al popolo. E noi vi annunziamo la buona novella che la promessa fatta ai padri si è compiuta, poiché Dio l’ha attuata per noi, loro figli, risuscitando Gesù (…)».

La fede nella Risurrezione

Questo discorso che il grande Apostolo pronunciò ad Antiochia di Pisidia, nella sinagoga degli Ebrei, ci dimostra che il dottore dei Gentili seguiva lo stesso metodo usato dal Principe degli apostoli, per il suo insegnamento. Il punto capitale della loro predicazione era la risurrezione di Gesù Cristo: verità fondamentale, avvenimento supremo che garantisce tutta la missione del Figlio di Dio sulla terra. Non basta credere in Gesù Cristo crocifisso, se non si crede in Gesù Cristo risuscitato; è in quest’ultimo dogma che è contenuta tutta la forza del cristianesimo. Su quest’avvenimento che è il più incontestato, riposa tutta la certezza della nostra fede. E in realtà nessun fatto di quaggiù gli è paragonabile per l’impressione che ha prodotto.
Voi vedete che in questi giorni tutto il mondo ne è scosso: la Pasqua riunisce milioni e milioni di uomini di ogni razza e di ogni clima. Ecco già diciannove secoli da che Paolo riposa sulla via Ostiense: quante cose si sono cancellate dalla memoria degli uomini; cose che, nondimeno, a suo tempo fecero gran chiasso mentre avvenivano, dopo che quella tomba, per la prima volta, racchiuse le spoglie dell’Apostolo. L’ondata di persecuzione sommerse la Roma cristiana durante un periodo di oltre duecento anni; fu anche necessario, nel III secolo, spostarne le ossa per qualche tempo, nascondendole nelle catacombe.
In seguito venne Costantino che innalzò una basilica erigendovi quell’arco di trionfo presso l’altare sotto il quale riposa il corpo dell’Apostolo.
Ma, a partire da quell’epoca, quanti cambiamenti, quanti rovesci, dinastie, forme di governo si sono succedute nel nostro mondo civilizzato e al di là di esso! Niente è rimasto immobile, salvo la Chiesa eterna. Ogni anno, durante più di mille e novecento, ella è andata a leggere nella Basilica di San Paolo, presso la sua tomba, questo medesimo discorso in cui l’Apostolo annuncia agli Ebrei la Risurrezione di Cristo. Di fronte a una tale continuità, ad una tale inamovibile fedeltà fino nei dettagli più secondari, diciamo anche noi: Cristo è veramente risuscitato; egli è il Figlio di Dio, poiché nessuno tra gli uomini ha mai lasciato un’orma così profonda della sua mano sulle cose del mondo visibile.

VANGELO (Lc 24, 36-47) – In quel tempo, Gesù apparve in mezzo ai suoi discepoli e disse: «Pace a voi!». Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. Poi disse: «Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture e disse: «Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme».

La pace

Gesù appare ai discepoli riuniti, nella stessa sera della sua risurrezione; e per prima cosa augura loro la pace. È lo stesso augurio che rivolge anche a noi per la Pasqua.
In questi giorni ovunque si ristabilisce la pace; la pace tra l’uomo e Dio; la pace della coscienza per il peccatore riconciliato; la pace fraterna tra gli uomini col perdono e l’oblio delle ingiurie. Riceviamo questo augurio dal nostro divino Risorto e custodiamo gelosamente questa pace che egli stesso si degna di portarci. Al momento della sua nascita a Betlemme, gli angeli annunziarono la pace agli uomini di buona volontà; oggi, Gesù medesimo, avendo compiuto la sua opera di pacificazione, viene in persona a portarcene la conclusione.
La pace: è la prima parola a quegli uomini che rappresentavano tutti noi. Accettiamo con amore questa parola felice e d’ora in avanti dimostriamoci in tutte le cose i figli della pace.

Imperfezione della fede

In questo grande avvenimento la nostra attenzione deve essere anche attirata dal comportamento degli apostoli. Essi sanno della risurrezione del loro Maestro; si sono affrettati ad annunciarla all’arrivo dei due discepoli di Emmaus; eppure quanto è ancora debole la loro fede! La presenza improvvisa di Gesù li turba; se egli si degna di far toccare le sue membra per meglio convincerli, sono emozionati e pieni di gioia; ma resta ancora in loro un certo senso di incredulità. Bisogna che il Salvatore spinga la sua bontà fino a mangiare avanti a essi per persuaderli che è proprio lui e non un fantasma. Eppure quegli uomini, prima dell’apparizione di Gesù, credevano e confessavano già la sua risurrezione! Quale lezione ci dà questo fatto del Vangelo! Vi sono dunque persone che credono, ma in una maniera così debole che basta un minimo urto per renderle titubanti: che sono persuase di avere una gran fede, mentre l’hanno appena sfiorata. Ma senza di essa, senza quella fede viva e vigorosa, cosa potremo far noi in mezzo alle battaglie che dobbiamo sostenere continuamente contro il demonio, contro il mondo e contro noi stessi? Per lottare, la prima condizione è quella di essere su un terreno resistente: l’atleta i cui piedi poggiano sulle sabbie mobili non tarderà a essere travolto.
Niente di più comune ai giorni nostri che quella fede vacillante, che crede finché non arriva una prova; di quella fede costantemente minata alla base da un sottile naturalismo, così difficile a non respirare, più o meno, nella malsana atmosfera che ci circonda.
Domandiamo continuamente la fede; una fede invincibile, soprannaturale, che divenga la grande forza di tutta la nostra vita; che mai ceda, che sempre trionfi nell’intimo di noi stessi, come esteriormente; affinché ci sia possibile di appropriarci con tutta sincerità di questa parola dell’Apostolo san Giovanni: «e questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede» (1Gv 5, 4).

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