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venerdì 25 dicembre 2020

SMENTITA: Il vescovo Stankevičs NON AVREBBE CHIESTO al parlamento lettone il riconoscimento legale delle coppie omosessuali e di coloro che convivono senza sposarsi

AGGIORNAMENTO DI VENERDÌ 25  DICEMBRE. In una intervista rilasciata a Riccardo Cascioli e pubblicata sul quotidiano La Nuova Bussola Quotidiana di giovedì 24 dicembre il Vescovo mons. Zbigņevs Stankevičs smentisce tutte le frasi a lui attribuite dal blog InfoCatólica, diffusa da Marco Tosatti sul blog Stilum Curiae e riportate dallo stesso quotidiano La Nuova Bussola Quotidiana, poi riprese da MiL.
Prendiamo atto della smentita sulla notizia inizialmente riportata e trascriviamo  di seguito l’intervista in cui si ricostruisce l’intera vicenda.
Rimaniamo curiosi di leggere l’intera sbobinatura dell’audizione del Vescovo mons. Zbigņevs Stankevičs  davanti al Parlamento lettone.

L.V.


Nei giorni scorsi sulla stampa internazionale è passata la notizia che l'arcivescovo di Riga, monsignor Stankevics, ha chiesto al Parlamento di approvare una legge per riconoscere le unioni gay. Ma la notizia, come spiega alla Bussola lo stesso arcivescovo, era falsa, originata dal totale travisamento delle sue parole da parte dell'agenzia di stampa nazionale. Al contrario, in una audizione davanti alla Commissione affari sociali del Parlamento, l'arcivescovo aveva perorato la causa dell'unicità della famiglia naturale e del matrimonio, in un momento di forte pressione, anche internazionale, per approvare le unioni gay.

Disinformazione. Come ai tempi dell’Unione Sovietica, "disinformatja". Questa volta a servizio del potere del momento, cioè la lobby Lgbt, e la vittima è la Chiesa cattolica della Lettonia, più precisamente l’arcivescovo di Riga, monsignor Zbignevs Stankevics. È successo che nei giorni scorsi l’agenzia nazionale di stampa, Leta, ha diffuso con grande rilievo la notizia che monsignor Stankevics ha chiesto al Parlamento lettone (Saeima) di approvare una legge per il riconoscimento delle unioni tra persone dello stesso sesso. Richiesta poi reiterata dall’intera Conferenza episcopale lettone.
La notizia è di quelle che non passano inosservate, e infatti veniva ripresa da diverse testate internazionali e quindi anche dalla Bussola (articolo ora rimosso). Peccato non fosse vera. Ovvero: monsignor Stankevics è stato effettivamente ascoltato in una audizione alla Commissione Saeima per gli affari sociali, ma il suo discorso era di tutt’altro tenore, puntava invece a difendere l’unicità del concetto di famiglia dagli assalti della lobby Lgbt.
È lo stesso monsignor Stankevics a spiegarlo alla Nuova Bussola Quotidiana, denunciando questa fake news che «ha causato un danno morale non solo a me personalmente, ma all’intera Chiesa di cui sono vescovo».
Che cosa sta dunque succedendo in Lettonia? «Come nell’Europa occidentale 10-20 anni fa, anche qui da qualche anno c’è una guerra contro la famiglia naturale. Con le elezioni del 2018 la Lettonia ha un Parlamento e un governo molto frammentato, con forte crescita della presenza pro-Lgbt nella politica e nei media». Lo scontro tra difensori dell’ordine naturale e fautori della rivoluzione antropologica si è quindi radicalizzato e il tema del riconoscimento delle unioni gay è arrivato in Parlamento. In questo scenario è poi arrivata in novembre, pesantissima, la sentenza della Corte Costituzionale che riconosce il diritto al “congedo di paternità” anche in una coppia dello stesso sesso, invitando il Parlamento ad adeguare la legge a questa sentenza.
Così il 14 dicembre la Conferenza episcopale lettone ha pubblicato una lettera aperta al presidente della repubblica Egils Levits, al primo ministro Krišjānis Kariņš, al presidente del Parlamento e ai capi delle commissioni parlamentari interessate, chiedendo di non modificare la definizione di famiglia naturale e di matrimonio. È qui che si colloca l’intervento dell’arcivescovo di Riga davanti alla Commissione Saeima per gli affari sociali, il 15 dicembre: «L’attacco alla famiglia naturale - spiega monsignor Stankevics - sta creando una forte tensione sociale e una profonda spaccatura della nostra società. La situazione, aggravata anche dalle paure per il Covid-19, è esplosiva, perciò ho chiesto a degli esperti un suggerimento su come risolvere alcuni problemi pratici legati alle convivenze – ogni genere di convivenza – senza mettere in pericolo la definizione di famiglia e di matrimonio». Ne è nata una proposta, cioè una “Legge sulla convivenza domestica dichiarata e sull’assistenza reciproca”, che è ciò che l'arcivescovo di Riga ha sostenuto in Parlamento.
In cosa consiste? Nel riconoscere alcuni diritti – subentro nell’affitto, visita negli ospedali e altre questioni economiche – a tutti coloro che vivono insieme prendendosi cura l’uno dell’altro, quindi anche anziani, genitori affidatari, persone con bisogni speciali con i loro accompagnatori, anche membri di congregazioni religiose. Ovvero «una soluzione tecnica che non tocca questioni ideologiche e che non viola i valori fondamentali della società», dice monsignor Stankevics. Per questo motivo si parla anche di “dichiarazione” e non “registrazione”: «Dichiarazione – spiega l’arcivescovo di Riga – è un concetto neutro, è un semplice atto davanti a un notaio e non implica registrazioni statali che assimilerebbero queste convivenze al matrimonio». Infatti, altri hanno poi proposto al Parlamento una semplice modifica della Legge notarile.
Tutto questo ha detto l’arcivescovo alla Commissione parlamentare, ma nel lungo resoconto dell’agenzia di stampa nazionale, le parole di monsignor Stankevics sono state artatamente travisate facendogli dire che ci sono «ritorsioni e odio» per coloro che raccolgono firme a favore della registrazione delle unioni gay; e quindi è bene «lasciare da parte l’ideologia» e «offrire meccanismi di protezione per le famiglie dello stesso sesso». E lo stesso titolo della notizia indirizzava chiaramente l’interpretazione delle parole del vescovo: “Quando si decide sulla protezione delle coppie dello stesso sesso, l’ideologia e le credenze religiose devono essere abbandonate».
Dopo reiterate proteste e con la prova della registrazione del discorso in Commissione parlamentare, l’arcivescovo di Riga ha ottenuto che l’agenzia Leta correggesse la notizia, a cominciare dal titolo, ma il danno era ormai fatto perché la notizia della richiesta della Chiesa cattolica lettone per una legge sulle unioni gay era ormai girata nel mondo. A rafforzare l’impressione che ormai la Chiesa si stia ovunque accodando al potere dominante.
Detto questo, e denunciata quindi con forza questa opera sistematica di disinformazione, una parola va però anche detta sulla proposta caldeggiata dall’arcivescovo, che anche in Italia era stata avanzata a suo tempo dall’onorevole Carlo Giovanardi come alternativa alla legge Cirinnà. Noi crediamo che, malgrado le buone intenzioni e anche le ragioni giuridiche, si tratti di una proposta ingenua e inefficace se è pensata come strumento per evitare l’equiparazione delle unioni gay al matrimonio e alla famiglia. Anche ammesso che fosse approvata, sarebbe soltanto intesa come un primo cedimento, il classico buchino nella diga che ne provocherà il crollo.
Guardando anche all’esperienza degli altri Paesi occidentali e a cosa sta succedendo nella Unione Europea, è ingenuo pensare che la lobby Lgbt si accontenti di risultati di questo genere: la guerra è stata dichiarata per arrivare alla totale distruzione della famiglia e non si fermeranno fino a obiettivo pienamente raggiunto. È come se alla Germania nazista che voleva prendersi la Polonia si fossero offerti i gabbiotti della polizia polacca di confine.
Inoltre, a un risultato pratico sostanzialmente nullo, corrisponde l’alto rischio di essere fraintesi e strumentalizzati nei princìpi che si vuole difendere. Ci si espone più facilmente all’opera di disinformazione del potere. Come l’episodio dell’arcivescovo di Riga dimostra chiaramente.

***

Dal blog in lingua spagnola InfoCatólica apprendiamo che mons. Zbigņevs Stankevičs, Arcivescovo metropolita di Riga, Gran priore per la Lettonia dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, Vicepresidente della Conferenza Episcopale della Lettonia, ha chiesto, il 14 dicembre durante un’audizione al Parlamento lettone, che venga creato un quadro giuridico per le coppie dello stesso sesso, e anche per altre persone che desiderano vivere insieme ma non unirsi secondo il matrimonio tradizionale: «Dobbiamo mettere da parte tutte le ideologie e creare un vero quadro giuridico che protegga tutti i membri della società».
Il giorno successivo, martedì 15 dicembre, la Conferenza episcopale lettone ha inviato una lettera al presidente Egils Levits e alla presidente del parlamento Ināra Mūrniece, chiedendo di non modificare la definizione giuridica di matrimonio ma di legalizzare altre forme di relazione che possono beneficiare di tale tutela legale.
Ricordiamo che – nonostante la Costituzione della Lettonia continui a definire il matrimonio come «unione tra un uomo e una donna» – la Corte costituzionale lettone, con una sentenza del mese di novembre, ha stabilito che il termine «famiglia» non equivale a «matrimonio» e la famiglia può includere una gamma più ampia di relazioni rispetto a un semplice matrimonio tra un uomo e una donna.
Inutile aggiungere che la dottrina cattolica insegna diversamente, come è stato esposto nelle Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legali delle unioni tra persone omosessuali della Congregazione per la dottrina della fede pubblicate il 3 giugno 2003, ma soprattutto dai numeri 2357-2359 del Catechismo della Chiesa Cattolica.
Riportiamo la notizia diffusa in Italia su Stilum Curiae da Marco Tosatti ed il commento di Andrea Morandini pubblicato sulla Nuova Bussola Quotidiana.

L.V.


Cari amici e nemici di Stilum Curiae, Romana Vulneratus Curia (RVC per amici e nemici) è giunto a conoscenza dell’iniziativa presa dall’arcivescovo di Riga, Lettonia, Stankevičs in tema di unioni civili e matrimonio fra persone dello stesso sesso. E ne è rimasto francamente sconcertato. Anche perché l’arcivescovo, di origini polacche, regnante Giovanni Paolo II ben difficilmente si sarebbe permesso… ma con l’attuale Pontefice, invece… Le Corti hanno modelli immutabili nei secoli. Buona lettura.

§§§

Caro Tosatti. In questa chiesa qualsiasi prete neghi il peccato vien esaltato come misericordioso.
Come si può leggere nell’allegato link, l’Arcivescovo di Riga, mons, Zbigņevs Stankevičs, si è rivolto al parlamento della sua Lettonia per sollecitare il riconoscimento legale delle unioni omo… Spiegando con un concetto tanto caro a papa Bergoglio, che “si devono trovare motivi per unire, non dividere”.
Questo reiterato invito bergogliano a fondere il bene con il male e il vero con il falso, pur di non creare divisioni, è stato già oggetto di valutazioni da quando questo tipo di vocabolario è stato imposto con il famoso “chi sono io per giudicare”.
Imporre (da parte di una autorità morale) che è vero ciò che è falso, senza permettere di distinguere, è ipocrisia, inganno e slealtà? o no?
La perversione deve sembrare sempre molto umana. Da parte del “perverso” deve esser considerata naturale e non mortificabile, da parte del mondo che osserva, deve esser comprensibile e tollerabile.
Scrisse l’Oscar Wilde pentito che: “nella mia perversità e per amore di tale perversità, mutai le cose buone in male e le cose cattive in bene”.
Magari questo arcivescovo di Riga, nell’intento di compiacere papa Bergoglio e conformando al suo pensiero la propria coscienza, sta pensando di proporre una specie di santificazione del peccato, con il fine misericordioso di lasciare il povero peccatore in pace, con coscienza tranquilla e soddisfatto della sua assoluta normalità.
Scrisse il luogotenente del Fuhrer, Göring nel 1938: “Io non ho coscienza, la mia coscienza è Adolf Hitler”.
Ma al processo di Norimberga non hanno riconosciuto il suo rifiuto di coscienza personale e fu condannato a morte.
Ci pensi arcivescovo.
Una preghiera per questo.

RVC


L’arcivescovo di Riga mons. Zbignevs Stankevics e l’intera Conferenza episcopale battono un altro record: stanno facendo pressione sul governo lettone per riconoscere legalmente le unioni omosessuali, per «mettere da parte tutte le ideologie».


Incredibile, ma (tragicamente) vero: in Lettonia è stato l’arcivescovo di Riga, mons. Zbignevs Stankevics, a chiedere personalmente, anzi a sollecitare lo scorso 15 dicembre il Parlamento nazionale, affinché vari al più presto una forma di riconoscimento legale per le coppie omosessuali e per quelle non sposate: «Dobbiamo mettere da parte tutte le ideologie e creare un vero e proprio quadro giuridico, che tuteli tutti i membri della società», ha dichiarato il prelato nel corso di un’udienza parlamentare. Un’affermazione pesante, anche perché giunta subito dopo la sentenza, emanata a novembre, con cui la Corte costituzionale ha distinto già tra «famiglia» e «matrimonio», spiegando come, a suo giudizio, non siano sinonimi: il primo termine includerebbe un ventaglio molto ampio di relazioni, nonostante in Lettonia, per ora, la Costituzione definisca ancora «matrimonio» in modo esclusivo l’«unione tra uomo e donna».
A fronte di ciò, le parole ostentatamente “inclusive” di mons. Stankevics suonano come una sorta di atteso placet definitivo anche dalla Chiesa: «Bisogna cercare di unire la società, non di dividerla», ha insistito il presule, adattando a sproposito, per l’occasione, una tra le citazioni più note di Giovanni XXIII, che tuttavia mai si sognò di applicarla a “nozze” omosessuali e dintorni.
L’arcivescovo ha ribadito: «Non mettiamo in discussione il concetto di famiglia tradizionale, ma parliamo di meccanismi di protezione di queste relazioni, anche tra persone dello stesso sesso, che sono al di fuori del controllo della definizione tradizionale del matrimonio». Secondo lui, insomma, sarebbe sufficiente che una coppia comunque “assortita” dichiari di vivere insieme, in una sorta di «casa comune», per aver diritto, in quanto tale, ad ottenere sempre e comunque protezione legale.
Già in ottobre avevano creato sconcerto le parole pronunciate in una intervista da papa Francesco, in cui ricordava di aver sostenuto in Argentina le unioni civili per evitare che passasse il matrimonio gay, ma qui si va ben oltre. Che un alto prelato della Chiesa cattolica giunga a formulare una richiesta di questo tipo dinanzi ad un Parlamento è cosa inedita e francamente sconcertante. Come poi possa conciliare tutto questo con il goffo tentativo di non minare, così facendo, le basi della «famiglia tradizionale», mons. Stankevics non lo spiega. E non può spiegarlo… È evidente come la sua richiesta rappresenti il lasciapassare verso il suicidio legalizzato dell’unico matrimonio possibile, quello naturale tra uomo e donna, quello che anche lui, come arcivescovo, dovrebbe avere cura di proteggere e tutelare. E non solo lui… Ha provveduto, infatti, a fargli immediatamente eco la stessa Conferenza episcopale lettone, che in una lettera al presidente Egils Levits ed al presidente del Parlamento nazionale Inara Murniece ha chiesto sì di non modificare la definizione legale del matrimonio, ma ha chiesto anche di legalizzare altre forme di relazione.
Si deve dunque ricordare ancora una volta che a dare torto pieno alle posizioni dell’arcivescovo e della Conferenza episcopale è il documento «Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali», tuttora valido, firmato nel marzo 2003 (quindi non molto tempo fa…) dall’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, card. Joseph Ratzinger. In tale documento si spiega chiaramente che, per lo meno in casa cattolica, quel che dice mons. Stankevics non ha assolutamente diritto di cittadinanza, anzi…: «La Chiesa insegna – si legge – che il rispetto verso le persone omosessuali non può portare in nessun modo all’approvazione del comportamento omosessuale oppure al riconoscimento legale delle unioni omosessuali. Il bene comune esige che le leggi riconoscano, favoriscano e proteggano l’unione matrimoniale come base della famiglia, cellula primaria della società. Riconoscere legalmente le unioni omosessuali oppure equipararle al matrimonio significherebbe non soltanto approvare un comportamento deviante, con la conseguenza di renderlo un modello nella società attuale, ma anche offuscare valori fondamentali che appartengono al patrimonio comune dell’umanità. La Chiesa non può non difendere tali valori, per il bene degli uomini e di tutta la società» (n. 11).

2 commenti:

  1. Altro vescovo di lucifero! Ma è ancora la Chiesa di Cristo quella in cui militano questi lerci figuri?

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