Riceviamo e pubblichiamo dagli amici dell'Osservatorio Internazionale Card. Van Thuan.
Luigi
I LAVORI DELLA COMMISSIONE GLENDON SUI VERI DIRITTI UMANI
UNA SVOLTA DA SOSTENERE E ACCOMPAGNARE
di Don
Samuele Cecotti
INVITIAMO AD UN DIBATTITO NEL DITO DELL’OSSERVATORIO
La Commission
on Unalienable Rights, istituita nel luglio 2019 dal Segretario di Stato
USA Michael R. Pompeo allo scopo di definire i diritti umani inalienabili ai
quali si dovrà attenere il Dipartimento di Stato USA nella sua politica estera,
ha svolto i suoi lavori sotto la presidenza della professoressa Mary Ann
Glendon, giurista cattolica della Harvard Law School, già presidente
della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali (nominata da san Giovanni
Paolo II), già membro del President's Council on Bioethics (nominata dal
presidente George W. Bush), già ambasciatrice statunitense presso la Santa
Sede.
Gli altri
membri: Kenneth Anderson, Russell Berman, Peter Berkowitz, Paolo Carozza, Hamza
Yusuf Hanson, Jacqueline Rivers, Meir Soloveichik, Katrina Lantos Swett,
Christopher Tollefsen e David Tse-Chien Pan.
La
Commissione Glendon ha avuto l’esplicito mandato di distinguere i “veri”
diritti umani inalienabili da quella proliferazione di presunti diritti umani
andati moltiplicandosi negli ultimi decenni attraverso interpretazioni e
giurisprudenze varie:
«As human rights claims have proliferated,
some claims have come into tension with one another, provoking questions and
clashes about which rights are entitled to gain respect. Nation-states and
international institutions remain confused about their respective
responsibilities concerning human rights.
With that as
background and with all of this in mind, the time is right for an informed
review of the role of human rights in American foreign policy»[1].
L’intento
della Commissione è stato da più d’un osservatore giudicato come espressione
d’un rinnegamento del liberalismo da parte degli USA (almeno da parte
dell’Amministrazione Trump)[2]
e come azione contro-rivoluzionaria[3].
Entrambi i giudizi debbono essere vagliati criticamente.
Certamente
l’istituzione della Commission on Unalienable Rights, l’esplicito
mandato affidatole da Pompeo e il lavoro svolto dagli esperti guidati da Mary
Ann Glendon meritano il massimo interesse, ben più di quanto dimostrato dalla
stampa e dall’intellighenzia (anche cattolica) in Italia.
Nel clima
ideologico oggi dominante l’intenzione dell’Amministrazione Trump di
distinguere nettamente i veri diritti umani inalienabili da i così detti “nuovi
diritti” (diritto all’aborto, diritti LGBT, diritto all’eutanasia e al suicidio
assistito, etc.) è certamente un atto di grande coraggio politico, decisamente
in controtendenza.
In questo il
lavoro della Commissione Glendon[4],
specialmente se Trump sarà confermato presidente per altri quattro anni, potrà
rappresentare un punto di svolta riguardo l’azione USA in sede internazionale e
riguardo l’ingerenza statunitense nelle legislazioni degli altri Paesi del
mondo. Da decenni ormai (l’Amministrazione Obama ha rappresentato il culmine di
questa politica) gli USA svolgono una potente azioni corruttrice degli
ordinamenti giuridici promuovendo in tutto il mondo i così detti diritti
riproduttivi, i così detti diritti di genere, i così detti diritti
all’autodeterminazione assoluta dell’individuo. Ovvero aborto, contraccezione,
sterilizzazione, divorzio, unioni civili, matrimonio gay, eutanasia,
transessualismo etc. sono potentemente promossi dagli USA, come diritti, in
tutto il mondo. All’inserimento negli ordinamenti nazionali di questi presunti
diritti sono spesso subordinati aiuti diretti e indiretti degli USA e delle
Organizzazioni internazionali con un vero e proprio ricatto ai Paesi bisognosi
d’aiuto (poveri, colpiti da calamità, martoriati da guerre) o semplicemente
vincolati militarmente-politicamente-economicamente agli USA.
Se i risultati
della Commissione Glendon divenissero effettivamente criterio di giudizio e
d’azione per il Dipartimento di Stato avremmo una vera svolta nella politica
USA che cesserebbe così dall’essere il primo sponsor mondiale dei così detti
“nuovi diritti”.
Basta ciò
per parlare di fine dell’ordine liberale? O per parlare di azione
contro-rivoluzionaria?
In realtà,
esaminando tanto il mandato conferito da Pompeo quanto il lavoro svolto dalla
Commissione, si deve riconoscere che non si è mai usciti dal quadro liberale,
al più si è rifiutato l’esito liberal-radicale del liberalismo in nome di una
lettura classica (ma anche liberal-democratica) dello stesso liberalismo.
I pilastri
sui quali si è voluta fondare questa chiarificazione circa i diritti umani
inalienabili sono in ciò espliciti: 1) la mens dei Padri Fondatori
consegnata nei Testi fondativi degli USA e fatta vivere attraverso le sue
riattualizzazioni lungo i due secoli americani; 2) la Dichiarazione Universale
dei Diritti Umani del 1948.
Entrambe le
fonti pongono più d’un problema, primo dei quali il non andare mai oltre un
fondamento convenzionale che dunque resta un non-fondamento o, almeno, un
non-fondamento-ultimo essendo solo spostato il problema dal fondamento del
presunto diritto al fondamento della convenzione che si vuole
fondamentale-fondativa.
Dire che un
diritto è tale (e per di più inalienabile) perché così dichiarato dai Padri
Fondatori o perché così è scritto nella Dichiarazione Universale dei Diritti
Umani non prova nulla circa la fondatezza di quel diritto, la sua
inalienabilità e la sua universalità (diritto dell’uomo, di ogni uomo). Prova
solamente che alcuni uomini (siano essi i firmatari della Dichiarazione
d’Indipendenza, della Costituzione o della Dichiarazione del ’48) in un certo
tempo così dichiararono. Per la stessa ragione altri uomini in altro tempo o
altro contesto potrebbero dichiarare diversamente emendando, estendendo,
cancellando, contraddicendo quanto precedentemente dichiarato inalienabile
diritto umano. Se ciò che si dichiara sia il vero o il falso resta questione
senza risposta.
È pur vero
che i diritti fondamentali sono nella mens dei Padri Fondatori
(richiamata dalla Commissione Glendon perché tale mens ha rilevanza
costituzionale e, specie per la scuola originalista, tale mens è
vincolo insuperabile per tutto l’ordinamento giuridico statunitense) diritti
naturali dati e garantiti da Dio stesso. E questo è già un punto di
contraddizione con la cultura filosofico-giuridica occidentale odierna che si
dà senza fondamento in Dio e tacendo l’idea stessa di diritto naturale.
E tuttavia
non basta affermare un generico giusnaturalismo per risolvere il problema del
fondamento e della natura dei così detti diritti umani inalienabili. Neppure è
sufficiente un vago riferimento a Dio.
Resta dunque
il problema del fondamento e della natura che si specifica, dato il quadro
giusnaturalista di riferimento, nel problema di cosa si debba intendere per
diritto naturale. La risposta non è scontata e tantomeno univoca.
Quando si
parla di diritto naturale almeno una macro distinzione è necessaria tra il
giusnaturalismo classico-cristiano di impronta realista e il giusnaturalismo
moderno di impronta razionalista. Vi è cioè un giusnaturalismo che presuppone
un ordine obiettivo di giustizia conoscibile dall’uomo attraverso la conoscenza
della Realtà, dice la Realtà come universo ordinato e dice normativa la natura
dell’uomo e delle cose. Questo giusnaturalismo realista ha le sue radici nella
filosofia greca e nel diritto romano per giungere a pieno sviluppo nella
Cristianità dove si innesta sul concetto biblico di Creazione. L’insegnamento
di san Tommaso d’Aquino sulla lex naturalis e la riflessione giuridica,
canonistica e civilistica, medievale sul diritto naturale sono il punto di
massimo sviluppo del giusnaturalismo classico-cristiano. Sarà proprio a questo
giusnaturalismo che farà costante riferimento il Magistero della Chiesa lungo i
secoli.
Vi è poi il
giusnaturalismo razionalista moderno[5]
che prescinde da qualunque idea metafisica di natura e dunque anche dal
concetto di Realtà in tutta la sua consistenza ontologica. Il quadro
concettuale è, piuttosto, quello del razionalismo cartesiano. Il così detto
diritto naturale diviene allora prodotto della ragione umana
razionalisticamente intesa, nulla di più distante dal realismo del
giusnaturalismo classico-cristiano.
Ad esempio,
tra il giusnaturalismo di san Tommaso e il giusnaturalismo di Grozio vi è un
abisso concettuale tanto che si può con ragione parlare di equivocità
nell’espressione “diritto naturale”. L’espressione è la medesima ma indica due
concettualità tra loro insanabilmente contraddittorie.
Evoluzione
del giusnaturalismo olandese è il giusnaturalismo inglese che, con Locke,
fornirà ai Padri Fondatori il quadro ideologico di riferimento nel liberalismo
classico whig. Ecco allora che il
giusnaturalismo dei Padri Fondatori è eredità di Locke ed è nel solco del
giusnaturalismo razionalista moderno.
La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani è poi
manifestamente in continuità con la Déclaration
des Droits de l'Homme et du Citoyen del 1789, ovvero con quell’illuminismo
giuridico duramente condannato dalla Chiesa, ad esempio da papa Pio VI nel
breve Quod aliquantum.
È possibile
leggere la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 in senso
giusnaturalista classico-cristiano? È possibile leggere i così detti “diritti
umani” come “diritti naturali dell’uomo” nel senso di diritti inscritti nella
natura (normativa) dell’uomo e dunque diritti impressi dal Creatore nella
natura stessa? Sono questioni aperte.
Il quadro
giusnaturalista che la Commissione Glendon ripropone, come si vede, non è
chiaro e non certo esente da contraddizioni e problemi. Resta l’impressione che
l’Amministrazione Trump abbia voluto, con questa mossa, togliere ai “nuovi
diritti” e alle forze ideologiche che se ne fanno promotori la copertura data
dall’ombrello del diritto internazionale dei diritti umani e del diritto
costituzionale (diritti fondamentali).
L’operazione
è politicamente interessante e certamente meritevole di elogio per il coraggio
nell’andare in controtendenza rispetto alla rivoluzione radical in corso
da decenni in tutto l’Occidente. È una operazione schiettamente conservatrice
nel voler fissare la mens dei Padri Fondatori e la ratio della
Dichiarazione ONU del ’48 rifiutando invece la deriva relativista e nichilista
del liberal-radicalismo e la sua espressione più tipica, la dissoluzione del
diritto nella proliferazione di sempre “nuovi diritti”. Tuttavia, come ogni
opzione conservatrice (e non integralmente restauratrice dell’ordine giuridico
classico-cristiano), è debole dal punto di vista filosofico, giusfilosofico e
giuridico perché priva di un solido fondamento teoretico.
Per
disinnescare il processo dissolutore proprio del liberal-radicalismo non è
affatto sufficiente riandare al liberalismo classico o al liberal-democratismo,
è invece necessario ristabilire il primato del Reale affermando il realismo
metafisico-gnoseologico come conditio sine qua non del diritto perché
solo dalla conoscenza (metafisica) della natura umana è possibile ricavare
quella normatività naturale che fa inalienabili quei diritti inscritti dal
Creatore nell’uomo.
Si tratta
cioè di rifondare l’ordinamento giuridico sul diritto naturale così come inteso
da san Tommaso d’Aquino e dalla Cristianità medievale. Si tratta di ristabilire
il primato, capovolgendo l’assioma di Rawls, della filosofia (metafisica
realista) sulla democrazia perché fondamento della legge deve essere il diritto
naturale ovvero l’ordine obiettivo di giustizia impresso dal Creatore e
dall’uomo conosciuto con la sua ragione contemplativa.
L’uomo può conoscere
la Realtà, conoscendo la propria natura e la natura delle cose conosce l’ordine
finalistico impresso dal Creatore e quell’ordine si impone razionalmente come
ordine morale e giuridico. I così detti “diritti inalienabili dell’uomo” o sono
espressione di questo ordine obiettivo di giustizia, naturale e perenne, oppure
non saranno affatto “diritti inalienabili dell’uomo” ma piuttosto prodotto
convenzionabile convenzionalmente estendibile, emendabile, abrogabile, etc …
Se
l’obbiettivo, benemerito, dell’Amministrazione Trump è bloccare la deriva
nichilistica del liberal-radicalismo, il lavoro della Commissione Glendon segna
certamente un punto importante in senso politico-culturale osando mettere in
discussione il dogma laico dei “nuovi diritti” ma resta debolissimo sotto
l’aspetto filosofico, giusfilosofico e giuridico.
L’apporto
della Tradizione Cattolica - della Dottrina sociale della Chiesa - alla
comprensione del diritto (e dei diritti dell’uomo in specie) si rivelerà così
sempre più prezioso agli occhi di chi onestamente ricerchi le ragioni per
opporsi alla deriva radical. La lezione dell’Aquinate, in questo, si rivelerà
decisiva[6].
Samuele
Cecotti
[1] M. R. Pompeo, Remarks to the press, 8 luglio
2019, https://www.state.gov/secretary-of-state-michael-r-pompeo-remarks-to-the-press-3/
[2] P. Annicchino, L’ordine internazionale
liberale è finito? Washington si porta avanti col lavoro,
[5] Sarebbe interessante riflettere sul
giusnaturalismo della Seconda Scolastica spagnola, se sia in continuità con il
giusnaturalismo classico-cristiano o piuttosto non sia a monte del
giusnaturalismo razionalista moderno. O in ogni caso riflettere sui nessi tra
giusnaturalismo medievale, giusnaturalismo barocco ispanico e giusnaturalismo
moderno.
[6] Così più che alla scuola originalista è
interessante guardare a quei giovani giuristi statunitensi che iniziano a porre
il problema del fondamento etico e metafisico del diritto, tra tutti il
professor Adrian Vermeule della Harvard University (cfr. J. Culbreath, In
Defense of ‘Common Good Constitutionalism’ https://www.crisismagazine.com/2020/in-defense-of-common-good-constitutionalism).