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giovedì 10 settembre 2020

La Commissione USA per i veri diritti umani


Riceviamo e pubblichiamo dagli amici dell'Osservatorio Internazionale Card. Van Thuan.
Luigi

I LAVORI DELLA COMMISSIONE GLENDON SUI VERI DIRITTI UMANI
UNA SVOLTA DA SOSTENERE E ACCOMPAGNARE
di Don Samuele Cecotti

INVITIAMO AD UN DIBATTITO NEL DITO DELL’OSSERVATORIO

La Commission on Unalienable Rights, istituita nel luglio 2019 dal Segretario di Stato USA Michael R. Pompeo allo scopo di definire i diritti umani inalienabili ai quali si dovrà attenere il Dipartimento di Stato USA nella sua politica estera, ha svolto i suoi lavori sotto la presidenza della professoressa Mary Ann Glendon, giurista cattolica della Harvard Law School, già presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali (nominata da san Giovanni Paolo II), già membro del President's Council on Bioethics (nominata dal presidente George W. Bush), già ambasciatrice statunitense presso la Santa Sede.

Gli altri membri: Kenneth Anderson, Russell Berman, Peter Berkowitz, Paolo Carozza, Hamza Yusuf Hanson, Jacqueline Rivers, Meir Soloveichik, Katrina Lantos Swett, Christopher Tollefsen e David Tse-Chien Pan.
La Commissione Glendon ha avuto l’esplicito mandato di distinguere i “veri” diritti umani inalienabili da quella proliferazione di presunti diritti umani andati moltiplicandosi negli ultimi decenni attraverso interpretazioni e giurisprudenze varie:
«As human rights claims have proliferated, some claims have come into tension with one another, provoking questions and clashes about which rights are entitled to gain respect. Nation-states and international institutions remain confused about their respective responsibilities concerning human rights.
With that as background and with all of this in mind, the time is right for an informed review of the role of human rights in American foreign policy»[1].
L’intento della Commissione è stato da più d’un osservatore giudicato come espressione d’un rinnegamento del liberalismo da parte degli USA (almeno da parte dell’Amministrazione Trump)[2] e come azione contro-rivoluzionaria[3]. Entrambi i giudizi debbono essere vagliati criticamente.
Certamente l’istituzione della Commission on Unalienable Rights, l’esplicito mandato affidatole da Pompeo e il lavoro svolto dagli esperti guidati da Mary Ann Glendon meritano il massimo interesse, ben più di quanto dimostrato dalla stampa e dall’intellighenzia (anche cattolica) in Italia.
Nel clima ideologico oggi dominante l’intenzione dell’Amministrazione Trump di distinguere nettamente i veri diritti umani inalienabili da i così detti “nuovi diritti” (diritto all’aborto, diritti LGBT, diritto all’eutanasia e al suicidio assistito, etc.) è certamente un atto di grande coraggio politico, decisamente in controtendenza.
In questo il lavoro della Commissione Glendon[4], specialmente se Trump sarà confermato presidente per altri quattro anni, potrà rappresentare un punto di svolta riguardo l’azione USA in sede internazionale e riguardo l’ingerenza statunitense nelle legislazioni degli altri Paesi del mondo. Da decenni ormai (l’Amministrazione Obama ha rappresentato il culmine di questa politica) gli USA svolgono una potente azioni corruttrice degli ordinamenti giuridici promuovendo in tutto il mondo i così detti diritti riproduttivi, i così detti diritti di genere, i così detti diritti all’autodeterminazione assoluta dell’individuo. Ovvero aborto, contraccezione, sterilizzazione, divorzio, unioni civili, matrimonio gay, eutanasia, transessualismo etc. sono potentemente promossi dagli USA, come diritti, in tutto il mondo. All’inserimento negli ordinamenti nazionali di questi presunti diritti sono spesso subordinati aiuti diretti e indiretti degli USA e delle Organizzazioni internazionali con un vero e proprio ricatto ai Paesi bisognosi d’aiuto (poveri, colpiti da calamità, martoriati da guerre) o semplicemente vincolati militarmente-politicamente-economicamente agli USA.
Se i risultati della Commissione Glendon divenissero effettivamente criterio di giudizio e d’azione per il Dipartimento di Stato avremmo una vera svolta nella politica USA che cesserebbe così dall’essere il primo sponsor mondiale dei così detti “nuovi diritti”.
Basta ciò per parlare di fine dell’ordine liberale? O per parlare di azione contro-rivoluzionaria?
In realtà, esaminando tanto il mandato conferito da Pompeo quanto il lavoro svolto dalla Commissione, si deve riconoscere che non si è mai usciti dal quadro liberale, al più si è rifiutato l’esito liberal-radicale del liberalismo in nome di una lettura classica (ma anche liberal-democratica) dello stesso liberalismo.
I pilastri sui quali si è voluta fondare questa chiarificazione circa i diritti umani inalienabili sono in ciò espliciti: 1) la mens dei Padri Fondatori consegnata nei Testi fondativi degli USA e fatta vivere attraverso le sue riattualizzazioni lungo i due secoli americani; 2) la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948.
Entrambe le fonti pongono più d’un problema, primo dei quali il non andare mai oltre un fondamento convenzionale che dunque resta un non-fondamento o, almeno, un non-fondamento-ultimo essendo solo spostato il problema dal fondamento del presunto diritto al fondamento della convenzione che si vuole fondamentale-fondativa.
Dire che un diritto è tale (e per di più inalienabile) perché così dichiarato dai Padri Fondatori o perché così è scritto nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani non prova nulla circa la fondatezza di quel diritto, la sua inalienabilità e la sua universalità (diritto dell’uomo, di ogni uomo). Prova solamente che alcuni uomini (siano essi i firmatari della Dichiarazione d’Indipendenza, della Costituzione o della Dichiarazione del ’48) in un certo tempo così dichiararono. Per la stessa ragione altri uomini in altro tempo o altro contesto potrebbero dichiarare diversamente emendando, estendendo, cancellando, contraddicendo quanto precedentemente dichiarato inalienabile diritto umano. Se ciò che si dichiara sia il vero o il falso resta questione senza risposta.
È pur vero che i diritti fondamentali sono nella mens dei Padri Fondatori (richiamata dalla Commissione Glendon perché tale mens ha rilevanza costituzionale e, specie per la scuola originalista, tale mens è vincolo insuperabile per tutto l’ordinamento giuridico statunitense) diritti naturali dati e garantiti da Dio stesso. E questo è già un punto di contraddizione con la cultura filosofico-giuridica occidentale odierna che si dà senza fondamento in Dio e tacendo l’idea stessa di diritto naturale.
E tuttavia non basta affermare un generico giusnaturalismo per risolvere il problema del fondamento e della natura dei così detti diritti umani inalienabili. Neppure è sufficiente un vago riferimento a Dio.
Resta dunque il problema del fondamento e della natura che si specifica, dato il quadro giusnaturalista di riferimento, nel problema di cosa si debba intendere per diritto naturale. La risposta non è scontata e tantomeno univoca.
Quando si parla di diritto naturale almeno una macro distinzione è necessaria tra il giusnaturalismo classico-cristiano di impronta realista e il giusnaturalismo moderno di impronta razionalista. Vi è cioè un giusnaturalismo che presuppone un ordine obiettivo di giustizia conoscibile dall’uomo attraverso la conoscenza della Realtà, dice la Realtà come universo ordinato e dice normativa la natura dell’uomo e delle cose. Questo giusnaturalismo realista ha le sue radici nella filosofia greca e nel diritto romano per giungere a pieno sviluppo nella Cristianità dove si innesta sul concetto biblico di Creazione. L’insegnamento di san Tommaso d’Aquino sulla lex naturalis e la riflessione giuridica, canonistica e civilistica, medievale sul diritto naturale sono il punto di massimo sviluppo del giusnaturalismo classico-cristiano. Sarà proprio a questo giusnaturalismo che farà costante riferimento il Magistero della Chiesa lungo i secoli.
Vi è poi il giusnaturalismo razionalista moderno[5] che prescinde da qualunque idea metafisica di natura e dunque anche dal concetto di Realtà in tutta la sua consistenza ontologica. Il quadro concettuale è, piuttosto, quello del razionalismo cartesiano. Il così detto diritto naturale diviene allora prodotto della ragione umana razionalisticamente intesa, nulla di più distante dal realismo del giusnaturalismo classico-cristiano.
Ad esempio, tra il giusnaturalismo di san Tommaso e il giusnaturalismo di Grozio vi è un abisso concettuale tanto che si può con ragione parlare di equivocità nell’espressione “diritto naturale”. L’espressione è la medesima ma indica due concettualità tra loro insanabilmente contraddittorie.
Evoluzione del giusnaturalismo olandese è il giusnaturalismo inglese che, con Locke, fornirà ai Padri Fondatori il quadro ideologico di riferimento nel liberalismo classico whig.  Ecco allora che il giusnaturalismo dei Padri Fondatori è eredità di Locke ed è nel solco del giusnaturalismo razionalista moderno. 
La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani è poi manifestamente in continuità con la   Déclaration des Droits de l'Homme et du Citoyen del 1789, ovvero con quell’illuminismo giuridico duramente condannato dalla Chiesa, ad esempio da papa Pio VI nel breve Quod aliquantum.
È possibile leggere la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 in senso giusnaturalista classico-cristiano? È possibile leggere i così detti “diritti umani” come “diritti naturali dell’uomo” nel senso di diritti inscritti nella natura (normativa) dell’uomo e dunque diritti impressi dal Creatore nella natura stessa? Sono questioni aperte.
Il quadro giusnaturalista che la Commissione Glendon ripropone, come si vede, non è chiaro e non certo esente da contraddizioni e problemi. Resta l’impressione che l’Amministrazione Trump abbia voluto, con questa mossa, togliere ai “nuovi diritti” e alle forze ideologiche che se ne fanno promotori la copertura data dall’ombrello del diritto internazionale dei diritti umani e del diritto costituzionale (diritti fondamentali).
L’operazione è politicamente interessante e certamente meritevole di elogio per il coraggio nell’andare in controtendenza rispetto alla rivoluzione radical in corso da decenni in tutto l’Occidente. È una operazione schiettamente conservatrice nel voler fissare la mens dei Padri Fondatori e la ratio della Dichiarazione ONU del ’48 rifiutando invece la deriva relativista e nichilista del liberal-radicalismo e la sua espressione più tipica, la dissoluzione del diritto nella proliferazione di sempre “nuovi diritti”. Tuttavia, come ogni opzione conservatrice (e non integralmente restauratrice dell’ordine giuridico classico-cristiano), è debole dal punto di vista filosofico, giusfilosofico e giuridico perché priva di un solido fondamento teoretico.
Per disinnescare il processo dissolutore proprio del liberal-radicalismo non è affatto sufficiente riandare al liberalismo classico o al liberal-democratismo, è invece necessario ristabilire il primato del Reale affermando il realismo metafisico-gnoseologico come conditio sine qua non del diritto perché solo dalla conoscenza (metafisica) della natura umana è possibile ricavare quella normatività naturale che fa inalienabili quei diritti inscritti dal Creatore nell’uomo.
Si tratta cioè di rifondare l’ordinamento giuridico sul diritto naturale così come inteso da san Tommaso d’Aquino e dalla Cristianità medievale. Si tratta di ristabilire il primato, capovolgendo l’assioma di Rawls, della filosofia (metafisica realista) sulla democrazia perché fondamento della legge deve essere il diritto naturale ovvero l’ordine obiettivo di giustizia impresso dal Creatore e dall’uomo conosciuto con la sua ragione contemplativa.
L’uomo può conoscere la Realtà, conoscendo la propria natura e la natura delle cose conosce l’ordine finalistico impresso dal Creatore e quell’ordine si impone razionalmente come ordine morale e giuridico. I così detti “diritti inalienabili dell’uomo” o sono espressione di questo ordine obiettivo di giustizia, naturale e perenne, oppure non saranno affatto “diritti inalienabili dell’uomo” ma piuttosto prodotto convenzionabile convenzionalmente estendibile, emendabile, abrogabile, etc …
Se l’obbiettivo, benemerito, dell’Amministrazione Trump è bloccare la deriva nichilistica del liberal-radicalismo, il lavoro della Commissione Glendon segna certamente un punto importante in senso politico-culturale osando mettere in discussione il dogma laico dei “nuovi diritti” ma resta debolissimo sotto l’aspetto filosofico, giusfilosofico e giuridico.
L’apporto della Tradizione Cattolica - della Dottrina sociale della Chiesa - alla comprensione del diritto (e dei diritti dell’uomo in specie) si rivelerà così sempre più prezioso agli occhi di chi onestamente ricerchi le ragioni per opporsi alla deriva radical. La lezione dell’Aquinate, in questo, si rivelerà decisiva[6].
Samuele Cecotti


[2] P. Annicchino, L’ordine internazionale liberale è finito? Washington si porta avanti col lavoro,
[3] M. Respinti, Riformare i diritti umani, https://alleanzacattolica.org/riformare-diritti-umani/
[5] Sarebbe interessante riflettere sul giusnaturalismo della Seconda Scolastica spagnola, se sia in continuità con il giusnaturalismo classico-cristiano o piuttosto non sia a monte del giusnaturalismo razionalista moderno. O in ogni caso riflettere sui nessi tra giusnaturalismo medievale, giusnaturalismo barocco ispanico e giusnaturalismo moderno.
[6] Così più che alla scuola originalista è interessante guardare a quei giovani giuristi statunitensi che iniziano a porre il problema del fondamento etico e metafisico del diritto, tra tutti il professor Adrian Vermeule della Harvard University (cfr. J. Culbreath, In Defense of ‘Common Good Constitutionalism’ https://www.crisismagazine.com/2020/in-defense-of-common-good-constitutionalism).