Beato Angelico e San Domenico pregate per noi.
QUI altre notizie.
QUI altre notizie.
Luigi
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, un’amici di Stilum Curiae, autrice di un bel libro di cui abbiamo parlato qualche tempo fa, ci ha scritto questo articolo sulla triste, e inspiegabile vicenda, di uno dei gioielli dell’arte e della fede di Firenze, il Convento domenicano di san Marco. Nella speranza che qualcuno, a Roma o a Firenze, voglia prendere in mano la questione. Buona lettura.
§§§
Benedetta de Vito
Entrando dal portone laterale della stupenda Basilica di Santa Maria sopra Minerva a Roma, che s’affaccia su una stradolina intitolata a Sant’Ignazio di Loyola, fatti pochi passi, eccomi quasi inciampare sul monumento funebre del Beato Angelico. Disteso su una lastra di marmo, in marmo lui pure, il domenicano pittore, divino devoto, dorme nella serenità rotonda della vera vita, nelle dolci mani del Signore.
Qualche anno fa, l’8 aprile del 2018, una mano sacrilega lo ha colpito sul volto, sfregiando bellezza e santità dei luoghi e ferendo un pittore amatissimo, perché pittore di Dio. Pura coincidenza: proprio in quei giorni, a Firenze, si stava combattendo la battaglia finale per evitare la chiusura del glorioso convento di San Marco, custodito per più di 600 anni dall’Ordine dei Predicatori, cioè i Domenicani, ma riformati, e che era stato affrescato proprio da Fra Giovanni da Fiesole, il Beato Angelico. A nulla sono serviti sit in, petizioni, richieste al Vescovo, ai Cardinali, al Pontefice regnante, proteste, preghiere: nel dicembre del 2019, gli ultimi tre padri domenicani sono andati via. Come i loro confratelli che hanno abbandonato le sacre mura alla spicciolata, nei mesi precedenti, lasciando a San Marco il cuore.
Qualche anno fa, l’8 aprile del 2018, una mano sacrilega lo ha colpito sul volto, sfregiando bellezza e santità dei luoghi e ferendo un pittore amatissimo, perché pittore di Dio. Pura coincidenza: proprio in quei giorni, a Firenze, si stava combattendo la battaglia finale per evitare la chiusura del glorioso convento di San Marco, custodito per più di 600 anni dall’Ordine dei Predicatori, cioè i Domenicani, ma riformati, e che era stato affrescato proprio da Fra Giovanni da Fiesole, il Beato Angelico. A nulla sono serviti sit in, petizioni, richieste al Vescovo, ai Cardinali, al Pontefice regnante, proteste, preghiere: nel dicembre del 2019, gli ultimi tre padri domenicani sono andati via. Come i loro confratelli che hanno abbandonato le sacre mura alla spicciolata, nei mesi precedenti, lasciando a San Marco il cuore.
Portoni chiusi, chiusa la gloriosa farmacia che produceva gli alchermes amati da Lorenzo il Magnifico, chiusa la Biblioteca “Arrigo Levasti”, che era centro pulsante della vita spirituale e intellettuale fiorentina. Un lockdown nel lockdown e in tutta deprimenza. Il futuro per ora è assai incerto e ricco solo di pericoli perché ci possono essere furti, disastri metereologici, crolli, occupazioni: se non c’è l’occhio amoroso di chi v’abita, come si fa? Prima di metter la prima e di andar diritti al cuore della questione per capire o almeno cercare di capire perché una storia plurisecolare è finita in questo modo, un passo indietro è d’obbligo perché non tutti sono fiorentini e non tutti sanno che il Convento di San Marco, ricostruito per l’Ordo Praedicatorum dall’architetto Michelozzo sopra l’antico convento dei Benedettini silvestrini grazie a una ricca donazione di Cosimo il Vecchio e consegnato ai domenicani nel 1437, è un’icona del Rinascimento, meraviglia nel meraviglioso scrigno di Firenze, cuore spirituale della città del Giglio. Sono stati Priori di San Marco Girolamo Savonarola e Sant’Antonino Pierozzi, vescovo e patrono di Firenze. A San Marco fu attivo il Beato Angelico. A San Marco abitò, per molti anni, il famoso sindaco di Firenze, Giorgio La Pira, morto in odore di santità e dichiarato Venerabile nel 2018.
Per circa 450 anni, dunque, i seguaci del dolcissimo San Domenico, nel loro severo abito bianco e nero, hanno vissuto nell’ampia struttura monumentale, camminato nei verdi chiostri, dormito nelle stupende celle affrescate dal loro illustre confratello. Poi, negli anni Sessanta del XIX secolo, con l’arrivo dei piemontesi e in forza di leggi inique, lo Stato unitario si è mangiato l’intero Convento, insignorendosi della parte dove aveva operato il genio del Beato Angelico e lasciando ai frati, che allora avevano una parrocchia, di restare nell’altra parte e di continuare con il loro “servizio sociale parrocchiale”. L’occupazione e la convivenza hanno avuto alterne vicende. Ogni tanto lo Stato si accaparrava qualche stanza in più e i frati dovevano farsi più piccini. Ma tutto è andato avanti, tra alti e bassi, per altri centocinquanta anni circa. E allora, che cosa è successo negli ultimi sette anni, perché i frati domenicani abbiano deciso di chiudere uno dei gioielli di famiglia?
Per farmi un’ idea e cercare di capire, mi sono rivolta a un amico fiorentino.
A quanto sembra, non mancherebbero i denari per mantenere il convento e neppure le vocazioni, nonostante il generale declino. E allora? Negli eventi che hanno condotto alla chiusura avrebbero avuto un ruolo determinante gli equilibri interni dell’Ordine, diviso tra riformati e seguaci della vecchia regola. Ma davvero il denaro non c’entra nulla? Indirettamente c’entra, perché – e non c’è da stupirsene – il gioiello fa gola a molti, dentro e fuori Firenze. Ci sono insomma progetti e progetti. Anche quello – e sarebbe una splendida idea – di rilanciare la farmacia del convento e renderla competitiva e vitale come la sorella di Santa Maria Novella. Ma per ora il portone è chiuso, il convento è abbandonato e soltanto la chiesa di San Marco è aperta: a dir messa vengono i domenicani di Santa Maria Novella e c’è un sacrestano stipendiato che apre e chiude il portone. Non è certo la stessa cosa…
Ed ecco alcune osservazioni dell’amico fiorentino.
Eccolo: “L’entrata della chiesa, il leone di San Marco è stato restaurato qualche anno fa; all’interno non vi sono dipinti o sculture che richiamino l’Evangelista a cui è dedicata la chiesa.
I frati del Convento di S. Maria Novella, uno al giorno, vengono a San Marco un po’ prima della Messa e un po’ dopo se ne vanno, come impiegati. L’unico fisso è il sacrestano stipendiato.
Il convento rimane abbandonato 24 ore su 24. Durante la storia erano stati i persecutori (Napoleone, lo Stato italiano anticlericale) a voler chiudere il convento, da ultimo sono stati gli stessi frati (oppure persecutori travestiti da frati?) a volerlo abbandonare e sigillare”.
Scrive direttamente il mio amico fiorentino: “Ecco, questa è l’entrata della “fu” Biblioteca di spiritualità “Arrigo Levasti”, Era aperta al pubblico due giorni alla settimana; la lapide sulla destra è stata sradicata con violenza dagli stessi frati. La santità scarseggia, ma non la forza muscolare”.
Si noti il degrado in tutte le foto… un degrado che è vergognoso per i domenicani, per la Diocesi, per il Comune, per la Soprintendenza. E’ così che l’Italia e la Chiesa custodiscono il convento del Beato Angelico, Patrono degli artisti?
La farmacia.
L’entrata del convento (entrati e fatti pochi passi, sulla sinistra possiamo trovare una sala affrescata da Pietro Annigoni, bisognosa di urgenti restauri: chi se ne occuperà ora che il convento è disabitato?)
Articolo pieno di errori storici, uno fra tutti è la passione di Lorenzo il Magnifico per l'alkermes di San Marco, basti pensare che fu inventato in S. Maria Novella nel '500, la farmacia storica è chiusa dal 1991 e non certo dal 2018.....inoltre l'articolo è scritto da qualcuno che non frequenta la basilica di san marco. inoltre vorrei sapere che ordine domenicano conosce questa autrice? Dove sono i riformati e quelli della vecchia regola? Non mi sembra che in san marco si celebrasse prima del 2018 il glorioso rito domenicano....
RispondiElimina