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domenica 20 ottobre 2019

Gesù e la dottrina. Nessuna contrapposizione


Dagli amici di Campari e de Maistre.
Luigi

Giorgio Salzano, 16-10-19
In mezzo alla confusione dottrinale non resta che la ragione (“confusione dottrinale” è il meno che si possa dire, in una situazione che vede buona parte della gerarchia, incluso il capo, schierati da una certa parte, altri vescovi da un’altra, mentre semplici presbiteri e laici seguono la loro inclinazione).
Con i cristiani posso argomentare sulla base dell’Antico e del Nuovo Testamento, e della ragione. Con gli ebrei posso ragionare sulla base dell’Antico Testamento e della ragione. Con chi non è né cristiano né ebreo, sulla base della sola ragione (firmato Tommaso d’Aquino).
Aggiungere all’Antico ed al Nuovo Testamento la ragione vuol dire che essi vanno pur sempre interpretati, e che se non vogliamo sentire sciocchezze come quelle che la stampa riporta del Generale di Gesuiti, allora bisogna che la loro interpretazione si basi su un corretto uso della ragione. Ok, san Tommaso non è più di moda come rappresentante di questo corretto uso, perché l’insegnamento aristotelico al suo tempo da poco riscoperto, con il quale egli raffrontava la precedente tradizione agostiniana, non è più considerato la vetta più alta raggiunta nell’uso naturale della ragione. E forse davvero non lo è. Altre cose sono successe nell’ambito del sapere, che sembrano estraniarci tanto dalla ragione rappresentata da Aristotele, quanto da quella dei testi biblici di cui con la ragione ci si faceva interpreti. E non mi risulta che i maestri della filosofia moderna, Kant in testa, abbiano saputo ricollegarci con essa.

Mi spiego (o almeno ci provo). L’affermazione cruciale del Nuovo Testamento, in quanto compimento dell’Antico, è quella che si riassume nelle parole del prologo al vangelo secondo Giovanni: «E il logos si fece carne». Traduciamo logos e abbiamo “parola”, “discorso”, “ragione”. Ecco, con esso la ragione cui si appella san Tommaso non è qualcosa di estraneo alla Bibbia, ma è quella stessa di cui la Bibbia (Antico e Nuovo Testamento) si dichiara testimone, e può farsene perciò interprete non estrinseco. Nostro compito odierno perciò è recuperare un simile senso comune della ragione.

Il problema dell’odierna confusione nella Chiesa non si risolve dunque con un appello alla fede che prescinda dalla ragione.
Chiedo venia per non essere bravo a segnarmi dove ho letto le cose così da poterle poi riportare con accuratezza. So che in un recente discorso Francesco è tornato a mazzolare chi lamenta un allontanamento dalla tradizione. Il suo rimprovero è mosso in generale a chi trasforma la fede in ideologia, fa cioè della sua cultura cristiana la cosa più importante, a scapito, parrebbe, di quella che ne è la sostanza. Non gli nego che effettivamente ci siano cristiani per i quali il fatto identitario sia più importante della religione vissuta, ma non lo seguo più quando in particolare attacca coloro che venerano la dottrina più di Gesù Cristo. Non ho potuto verificare e parafraso, ma questo è il senso che ne ho ritenuto: al di là dell’invito alla santità indirizzato a chiunque si professi cristiano, c’è anche il fastidio per chi sta là a spaccare il capello dottrinale. Da come la vede lui, poiché può essere che non si tratti che di coloro che esprimono perplessità di fronte al suo pressapochismo dottrinale.

Non è la dottrina quello che conta, sembra dire Francesco, ma la fede in Gesù Cristo. Ma scusa, gli chiedo, che razza di contrapposizione è questa? Io credevo che la dottrina fosse la definizione del senso della fede e di ciò che essa richiede da noi nella vita. Perché altrimenti i padri della Chiesa si sarebbero tanto arruffati nella lotta alle eresie, che definì il cristianesimo per quello che è, a seguito ad esempio della decisione al concilio di Nicea su uno iota, come quello che differenzia omoiousios (di simile sostanza) da omoousios (della stessa sostanza)? E guarda caso, poi, per lo più al nome di quei padri premettiamo un “san”, il che vuol dire che essi nel mentre che spaccavano il capello dottrinale attestavano una vita di fede esemplare.

Il problema è che per rispondere ai critici ci vuole la ragione, non basta un appello sentimentale alla fede. Me ne sono reso conto da una pluridecennale esperienza di studi e di insegnamento. Ciò che la gente non intende è proprio l’aver fede in Gesù Cristo, anche perché non comprende quel che la Chiesa insegna a suo riguardo. Estremo è il bisogno nella nostra società di carità intellettuale, che reintegri la dottrina cristiana nella totalità del sapere, a sua volta da essa illuminata. E solo resta per questo la ragione, purché riconosciuta in cose parole e discorsi come non originata da noi, ma ispirata da chi ci è maestro del suo esercizio.

1 commento:

  1. " Fides quaerens intellectum ". Dio ha dotato l'uomo di una ragione ed insieme della capacità di credere a ciò che non ha visto o ha visto in modo incompleto, come premessa per una verifica secondo ragione ( "Credo ut intelligam", " Intelligo ut credam"). E' il percorso della conoscenza umana in ogni campo dello scibile. Parlare del valore della sola fede è una ideologia pessimistica protestante che mortifica l'uomo come creatura previlegiata di Dio e che rifiuta la dottrina per poter escludere il controllo della ragione e giustificare l'errore.

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