Un'analisi come al solito acuta e interessante dell'amico Stefano Fontana.
L
Osserviamo da tempo una chiara adesione della gerarchia ecclesiastica e di gran parte del mondo cattolico all’idea di favorire una accoglienza degli immigrati pressoché priva di filtri e piuttosto ampia e generalizzata. Si deve notare però che questo nuovo atteggiamento si distingue da quanto tradizionalmente proposto dalla Dottrina sociale della Chiesa, ossia un governo delle migrazioni guidato dal criterio del bene comune. Conseguenza, infatti, di questo nuovo atteggiamento sembra essere la sostituzione del bene comune con la società multireligiosa, vista come il fine della società. Una accoglienza senza i filtri e senza il governo del bene comune intende come buona in sé la società multireligiosa che ne deriva, al punto che anche i cattolici dovrebbero lavorare per essa piuttosto che per il bene comune o per essa in quanto coincidente col bene comune.
La questione deve il proprio interesse al fatto che una nuova impostazione di questo genere comporterebbe una consistente revisione della Dottrina sociale della Chiesa, della sua struttura e dei suoi fondamenti. Non faccio il processo alle intenzioni, e quindi non posso dire se lo scopo di questa “apertura” al fenomeno immigratorio sia proprio di mutare la Dottrina sociale della Chiesa in alcuni punti fondamentali, però non posso esimermi da una oggettiva verifica della importante questione.
Se la società multiculturale, e non il bene comune, è il fine della politica quando si occupa di immigrazione, allora capita che due principi cardine della Dottrina sociale della Chiesa crollano su se stessi.
Il primo è il diritto naturale che, fino a prova contraria, è una delle fonti insostituibili della Dottrina sociale della Chiesa. E’ noto che non tutte le religioni rispettano il diritto naturale. Quelle che ammettono la poligamia o la superiorità antropologica di un gruppo su un altro oppure dell’uomo sulla donna lo fanno in dispregio del diritto naturale. Così avviene pure per le religioni che stabiliscono una relazione immediata tra rivelazione divina e diritto civile, assegnando alla rivelazione una dimensione giuridica immediata. Per molte religioni Dio non è Verità e quindi non è tenuto a rispettare la ragione sicché quelle religioni non passano attraverso il naturale di cui non tengono conto. Per altre Dio non è Persona e quindi risultano incapaci di fondare adeguatamente la dignità della persona umana richiesta anche dal diritto naturale. Senza parlare poi delle mutilazioni fisiche rituali, della prostituzione sacra o di altri atteggiamenti ancor più terra terra.
Del principio del bene comune fa parte integrante il rispetto del diritto naturale, mentre del concetto di società multiculturale esso non fa parte. Sostituire il primo con la seconda comporta quindi la rinuncia al principio del diritto naturale, cosa impossibile senza cambiare i connotati della Dottrina sociale della Chiesa. Quello di bene comune è un principio assoluto, quello di società multiculturale è un principio relativo al bene comune che da quello dipende.
Il secondo elemento fondamentale che verrebbe meno è quello della centralità di Dio nella costruzione della società terrena. Le encicliche sociali ripetono all’unisono che non c’è soluzione alla questione sociale fuori del Vangelo, che il primo fattore di sviluppo umano è il Vangelo, che l’adesione ai valori del cristianesimo non è solo utile ma è indispensabile per la costruzione del bene comune. In altre parole affermano che senza il Creatore la creatura crolla su se stessa e che non c’è un ambito del creato che sia indipendente dal Creatore. Ma nella società multiculturale questa indispensabilità della religione cattolica sparisce, in quanto anche tutte le altre religioni sono indispensabili se il fine è, appunto, la società multi-culturale. Anzi, la presunzione di indispensabilità del cattolicesimo confliggerebbe con la società multiculturale e sarebbe quindi dannosa e da evitare. L’idea, allora, della società multiculturale comporta l’equiparazione della fede cattolica a tutte le altre fedi, e nel contempo l’indispensabilità di tutte le religioni, ossia la loro uguaglianza indifferente alla verità. L’apertura indiscriminata alle immigrazioni comporta un’idea relativistica della religione e, quindi, un rovesciamento come un calzino della Dottrina sociale della Chiesa.
Proviamo ad immaginare una società multireligiosa senza il cattolicesimo. Non ci sarebbe bene comune né potrebbe esserci. Proviamo ad immaginare una società con la presenza della sola religione cattolica e quindi non multireligiosa. Qui potrebbe esserci il bene comune. Mentre tutte le altre religioni insieme non sono in grado di produrre il bene comune, la sola presenza della religione cattolica sarebbe in grado di farlo. Proprio questo è quanto viene negato dal principio della società multiculturale come fine dell’azione sociale e politica, ma proprio questo è quanto ha sempre affermato la Dottrina sociale della Chiesa.
Stefano Fontana
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