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martedì 22 marzo 2016

Padre Lombardi: "trasmisi io al Papa la richiesta che alla lavanda dei piedi fossero ammesse anche le ragazze"

L'unico vero e significativo cambiamento in ambito liturgico che Papa Francesco ha introdotto durante questi tre anni di pontificato riguarda la lavanda dei piedi nella «missa in Coena Domini», la messa della sera del Giovedì Santo che inaugura il Triduo pasquale facendo memoria dell'istituzione dell'eucaristia. Con un apposito decreto della Congregazione per il Culto divino, infatti, al rito della lavanda dei piedi, che si celebra durante quella messa, sono state ammesse ora ufficialmente anche le donne.


Da arcivescovo di Buenos Aires Jorge Mario Bergoglio aveva lavato più volte i piedi a ragazze e donne, nelle celebrazioni del Giovedì Santo. Da Papa lo fece per la prima volta in occasione della messa celebrata nel carcere minorile di Casal del Marmo. Un particolare riguardante quella celebrazione viene ora rivelato da padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa della Santa Sede, che in un articolo a sua firma pubblicato su «Famiglia Cristiana» racconta:
 



«La libertà del gesto e la concreta fisicità delle espressioni» di Francesco «toccavano immediatamente, ma in profondità, il cuore della gente. In questo senso una delle prime esperienze importanti che feci personalmente fu quella della Messa della Cena del Signore al carcere minorile di Casal del Marmo. Secondo l’uso liturgico abituale si stava prevedendo che la lavanda dei piedi sarebbe stata fatta con soli ragazzi».


«Mi permisi - aggiunge Lombardi - di far giungere al Papa un discreto messaggio sul disagio dei giovani e del cappellano, e la risposta fu praticamente immediata. Come tutti sappiamo lavò i piedi anche a ragazze e a musulmani, come aveva già fatto a Buenos Aires…». Dunque la richiesta di ammettere anche delle ragazze, e una di queste musulmana, venne dal cappellano del carcere e arrivò al Pontefice attraverso il padre Lombardi.


Nell'articolo, il direttore della Sala Stampa della Santa Sede racconta anche quale fu la sua reazione al momento dell'annuncio dell'elezione di Bergoglio, quel 13 marzo 2013. «Quando sentii l’annuncio del cardinale Tauran dalla Loggia di San Pietro rimasi senza parole. Sapevo che l’annuncio del nome del nuovo Papa mi avrebbe emozionato, ma non a quel punto. Era un gesuita, un mio confratello, ma non lo conoscevo se non indirettamente, a parte un brevissimo incontro nei giorni precedenti, nei corridoi delle Congregazioni generali dei cardinali prima del Conclave. Anche se qualche volta il suo nome era stato fatto fra i papabili, io non lo avevo mai considerato, perché per un gesuita è fuori del previsto una nomina a vescovo o a cardinale, figuriamoci Papa! Dopo l’annuncio, chi metteva il naso nel mio ufficio si immaginava di trovarmi esultante perché il Papa era un mio confratello e rimaneva stupito della mia perplessità. Ma io non ero né felice né triste per questo, ero semplicemente esterrefatto».

 «Ero nel mio ufficio in Sala Stampa e nella sala delle conferenze i colleghi mi aspettavano per un primo commento. Mi sentivo ammutolito… Poi mi feci coraggio e dissi le due cose che mi erano state subito chiare e che mi sentivo di mettere in rilievo come grandi novità: il nome Francesco – per la prima volta – e il fatto che era latinoamericano. Scegliere un nome che nessuno aveva ancora scelto – e che nome! – indicava una libertà, un coraggio e una chiarezza formidabili. Poveri, cura della creazione, pace, come avrebbe spiegato il Papa stesso pochi giorni dopo. La provenienza dalla “fine del mondo” portava con sé naturalmente una prospettiva nuova, un punto di vista diverso su situazioni e domande dell’umanità e della Chiesa nel mondo d’oggi, che non avrebbe mancato di farsi sentire. Mi pare di non essermi sbagliato».