Lorenzo Bertocchi
Siamo ormai a due mesi dalla chiusura del Sinodo ordinario 2015 e i rumors che provengono dal Vaticano parlano di una prossima esortazione post-sinodale di Papa Francesco che dovrebbe uscire tra febbraio e marzo 2016. Nell’attesa di avere questo documento ripercorriamo il dibattito attraverso il corposo contributo offerto dal noto studioso cattolico americano George Weigel. L’articolo appare sul numero di gennaio 2016 della rivista First Thing. Di seguito evidenziamo alcuni passaggi importanti di questo intervento.
Alcuni padri sinodali, già prima di arrivare a Roma, «erano profondamente preoccupati a proposito del documento di lavoro (l’Instrumentum laboris) che era stato adottato». A questo proposito erano molte le domande che alimentavano questa preoccupazione: «perché un documento ecclesiale inizia con la sociologia, e non una buona sociologia, piuttosto che con la Parola di Dio?». D’altra parte, rileva Weigel, si confrontavano «il Sinodo reale, i media mainstream e il Sinodo della blogosfera. (…) I partecipanti e gli osservatori si chiedevano quali effetti avrebbero avuto il secondo e il terzo sul primo elemento». Secondo Weigel i media mainstream e la blogosfera procedevano secondo una loro pre-comprensione dell’evento: i primi impegnati a raccontare la «rivoluzione di Francesco verso una sorta di protestantesimo liberale», mentre la blogosfera si suddivideva tra chi tifava per il successo di quella presunta rivoluzione e chi, invece, «era spaventato a morte».
Il “Sinodo reale” però ha mostrato un suo volto peculiare. «Problemi reali sono stati discussi, con reali conseguenze in gioco». Il tema fondamentale, rileva lo studioso americano, riguarda il significato di vita pastorale nella Chiesa. «Come si lega la Rivelazione ai “segni dei tempi”, che la Chiesa è stata chiamata a leggere dalla Costituzione Pastorale del Concilio Vaticano II sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, Gaudium et spes?». Il tutto nell’orizzonte fondamentale dell’impostazione di un corretto rapporto tra misericordia e verità. Rilevanti sono stati anche i temi posti da «quell’antica malattia conosciuta come odium theologicum. Alcuni Padri sinodali sono andati al Sinodo 2015, come erano andati a quello precedente, il Sinodo 2014, determinati a ri-decidere l’enciclica di Paolo VI del 1968 sui mezzi moralmente appropriati per la regolazione della fertilità (Humanae vitae) e quella di Giovanni Paolo II del 1993 sulla riforma della teologia morale cattolica (Veritatis splendor). Coloro che volevano seppellire queste due encicliche erano, per lo più, gli stessi che sostenevano la proposta Kasper per l'ammissione alla Santa Comunione dei divorziati risposati civilmente. Coloro che hanno trovato la proposta Kasper carente per molti motivi erano, per lo più, quelli che giudicavano Humanae vitae come profetica (…); e pensavano che Veritatis splendor aveva salvato la teologia morale cattolica dalle sabbie mobili del soggettivismo postmoderno; e credevano che i "segni dei tempi” devono essere letti attraverso la lente della Rivelazione divina, piuttosto che presi come principale strumento ermeneutico per comprendere la rivelazione oggi».
Le preoccupazioni che in alcuni settori della Chiesa avevano preceduto il Sinodo si erano rafforzate nelle quarantotto ore che hanno preceduto l’avvio dei lavori. Oltre ai dubbi sull’Instrumentum laboris in alcuni padri si erano aggiunte le perplessità rispetto al “metodo di lavoro”. «Queste preoccupazioni hanno trovato espressione in una lettera privata data a papa Francesco, alla fine del primo giorno lavorativo del Sinodo (lunedì 5 ottobre), che è stata firmata da tredici cardinali, tra cui tre prefetti dei principali Dicasteri della Curia Romana, e dieci arcivescovi residenziali dai quattro continenti. Poiché la lettera era una missiva privata al Vicario di Cristo, i suoi firmatari non credevano che i contenuti avrebbero dovuto essere resi pubblici, anche dopo che una prima bozza della lettera è trapelata. Ma si può affermare come un dato di fatto che la lettera era del tutto rispettosa della persona e delle prerogative del Papa (…). Due giorni dopo, la maggior parte delle richieste della lettera era stata onorata. Il segretario generale ha chiarito che i padri sinodali avrebbero potuto, se lo desideravano, mettere a disposizione della stampa e delle loro diocesi i loro interventi. Le relazioni dei circoli minori sarebbero state pubblicate. Ci sarebbe stato voto sul progetto di relazione finale, paragrafo per paragrafo. La pubblicazione della Relatio rimaneva, come giusto, prerogativa del Papa (…)».
«Se la lettera dei cardinali ha trasformato il metodo, l'introduzione all’Instrumentum laboris, il primo giorno di lavoro da parte del Relatore generale, il cardinale ungherese Péter Erdo, è stato il game-changer sostanziale. (…) Nella prima mezz'ora del suo discorso, Erdo ha impostato le discussioni del Sinodo 2015 su di una solida base costruita dalle Scritture e dal Magistero dei tre pontificati precedenti, così tacitamente ha rifiutato la falsa premessa che i padri avrebbero potuto iniziare da zero a considerare il matrimonio e la famiglia nel ventunesimo secolo». Inoltre, ha ricordato che «la misericordia e la verità non possono essere opposte (…). La misericordia di Dio», ha continuato Erdo, «offre perdono ai peccatori», ma sempre «chiama alla conversione». A proposito della questione dell’accesso all’eucaristia dei divorziati risposati civilmente, il cardinale Erdo ha indicato una via da seguire, «citando l’insegnamento di Giovanni Paolo II in Familiaris Conosortio n°84». In questo modo la Chiesa «riconosce la realtà della situazione alla luce della verità sul matrimonio insegnata da Cristo. Vi è, in altre parole, un vero e proprio percorso per i sacramenti ai divorziati risposati civilmente e c’è sempre stato: la via della continenza»
Sulla questione della “gradualità” nella crescita morale individuale o di coppia, il cardinale Erdo ha rilevato che, «mentre tutti noi cresciamo nella vita di grazia, tra il vero e il falso, tra il bene ed il male, non c’è una gradualità». E anche se ci possono essere «alcuni aspetti positivi» da trovare nelle relazioni irregolari, «questo non implica» che questi rapporti «possono essere presentati come buoni». «Il cardinale Erdo poi si rivolse a un problema che molti pensavano sarebbe stato il prossimo passo per andare anche oltre la proposta Kasper: una tacita benedizione ecclesiale sulle unioni omosessuali. Esortando il rispetto e la cura pastorale sensibile per le persone che provano attrazione per lo stesso sesso, ha affermato categoricamente che "non c'è fondamento" in verità per fare qualsiasi “analogia, per quanto remota, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia».
«Per il suo lavoro», conclude Weigel, il cardinale ungherese «ha ricevuto una calorosa ovazione, ma il cardinale Kasper, che si dice fosse un po’ stordito, non era tra quelli che applaudivano. (…) L’assemblea generale e la discussione nei circoli minori sarebbe continuata sulla base dell’Instrumentum laboris, ma l’intervento introduttivo di Erdo ha avuto il felice effetto di liberare i padri sinodali. Piuttosto che seguire pedissequamente un imperfetto Instrumentum laboris, ora potevano sondare molto più profondamente nella tradizione cristiana e nella situazione contemporanea del matrimonio e della famiglia (…) E mentre gli alleati di Kasper non avrebbero gettato la spugna, alla fine della prima giornata del Sinodo era molto più probabile che non si sarebbe ripetuta l’esperienza del Sinodo 2014 ed essere dirottato dalle preoccupazione dei padri di lingua tedesca».
Dopo la relazione del cardinale Erdo la proposta Kasper «riapparve in forme nuove, ognuna della quali ha provocato importanti dibattiti sulle questioni più profonde, sia in assemblea generale che nei circoli minori. (…) I suoi sostenitori hanno continuato a ribadire che l'intera questione della Santa Comunione ai divorziati risposati civilmente non consisteva in un cambiamento di dottrina (il Papa aveva insistito che era “intoccabile”), ma di un cambiamento nella disciplina" o "cambiamento nella pratica pastorale». A parere di Weigel, il cuore di quello che definisce il “piano B”, era quello di chiedere alla Chiesa di «riconcepire sé stessa come una federazione di Chiese nazionali, unite simbolicamente con il successore di Pietro, ma sostanzialmente indipendenti l’una dall’altra (e da Roma), sia dottrinalmente che pastoralmente. Così le Conferenze episcopali nazionali o continentali sarebbero state abilitate a trovare soluzioni “locali” alle sfide poste dalla crisi del matrimonio e della famiglia. Nessuno che prestasse attenzione aveva qualche dubbio sulla direzione che tale decentramento avrebbe preso in certi ambienti. In Germania, Austria, Svizzera e Belgio, ad esempio, la pratica di concedere la Santa Comunione ai divorziati e risposati civilmente è già diffusa, e ciò che si cercava era un mezzo per affermare ciò che sta già accadendo».
«In risposta, Padri sinodali provenienti da tutto il mondo hanno sottolineato il ruolo infelice che questa opzione di ecclesiologia locale ha avuto nella frammentazione della comunione anglicana, al punto che ora è in via di disintegrazione virtuale. Un caso teologico ancora più forte contro il “Piano B” è stato avanzato dai padri sinodali che sostenevano una logica sacramentale di base: semplicemente non può essere il caso che ciò che è un sacrilegio in Polonia sia una fonte di grazia al di là del confine polacco-tedesco (…)». Con il piano A e il piano B ormai fuori gioco «è stato schierato un piano C, nella forma di un appello ai diritti della coscienza». Le argomentazioni dei seguaci della “linea Kasper” sostenevano che «l'arbitro finale della decisione in merito alla ricezione della Santa Comunione è l'individuo, affrontando la sua situazione nel santuario della coscienza, riconosciuta come inviolabile dal Concilio Vaticano II nella sua Dichiarazione sulla libertà religiosa, Dignitatis Humanae. I critici rapidamente sottolineavano, tuttavia, che la Chiesa cattolica (e Dignitatis Humanae) non avevano mai considerato la "coscienza" come una facoltà libera di scegliere staccata dalla verità religiosa e morale».
«Poi al Piano C è stato dato il colpo di grazia in cinque minuti, sei punti di spiegazione della visione cattolica della coscienza da parte del cardinale Carlo Caffarra di Bologna, in un intervento all'assemblea generale sorprendentemente lucido». Ma, alla fine, scrive Weigel, è stato approntato un piano D: «le decisioni sull’ "accompagnamento pastorale" dei divorziati risposati civilmente dovrebbero essere prese nel "foro interno" di un penitente insieme al suo confessore.” Alcuni hanno descritto questo come "Cattolicesimo local-option" portando tutto al livello parrocchiale (…) Altri padri sinodali, meno vigili teologicamente, sembravano trovare nel Piano D un modo per essere compassionevoli senza abbandonare la dottrina essenziale (…) Alla fine la frase "foro interno" ce l'ha fatta ad entrare nella relazione finale del Sinodo. Ma è stato circoscritto in un modo che i sostenitori del piano D, ovviamente, hanno trovato inquietante (…)».
I «Padri sinodali hanno avuto la bozza di relazione finale nel pomeriggio di giovedì 22 ottobre (memoria liturgica di san Giovanni Paolo II). Il progetto era disponibile solo in italiano. E grazie a un cambio di programma, che potrebbe essere plausibilmente interpretato come un tentativo di limitare la capacità dei padri per predisporre gravi critiche al progetto, i membri del Sinodo avevano solo dodici ore per studiare il progetto e decidere quali commenti fare su di esso in occasione dell'assemblea generale di venerdì mattina 23 ottobre, e formulare i modi (emendamenti) che avrebbero presentato per iscritto quella mattina. Poi, il comitato di redazione tornava al lavoro venerdì pomeriggio per preparare il testo modificato che sarebbe stato votato, paragrafo per paragrafo, il sabato». Pur nel sostanziale apprezzamento del documento presentato, soprattutto rispetto al testo insoddisfacente dell’Instrumentum laboris, «ci sono stati problemi, e si basavano principalmente su tre punti del progetto di relazione finale: 84, 85, e 86. Gli interventi sono stati delineati e più di due dozzine di modi erano pronti a porre rimedio alle ambiguità percepite sulla natura e la direzione della cura pastorale dei divorziati risposati civilmente. Data l'ora tarda, per così dire, molti dei modi presentati venerdì mattina, e più di una ventina di interventi orali, hanno proposto di far cadere uno, due o tutti e tre i paragrafi insoddisfacenti, piuttosto che tentare di modificarli. È stato anche fatto uno sforzo per avere nella relazione finale la citazione integrale del n° 84 di Familiaris Consortio, piuttosto che in forma parziale»
«Gli interventi e i modi sono stati in gran parte ignorati, con una sola eccezione cruciale. Il progetto di revisione sul quale i Padri sinodali hanno votato sabato pomeriggio ha ancorato il punto 85 della discussione sul "foro interno" alla tradizione della Chiesa: questo discernimento pastorale tra il penitente e il sacerdote doveva intraprendersi "secondo l'insegnamento della Chiesa", una frase inserita tra i dibattiti del venerdì e il voto di sabato. Alcuni padri hanno comunque considerato il paragrafo come non sufficientemente preciso, e solo per una manciata di voti si sono raggiunti i due terzi necessari per l'inclusione nella relazione finale.” (…) In sintesi, la relazione finale, anche se non priva di difetti, va molto lontano - e anni luce al di là dell’Instrumentum laboris – nel sostenere e celebrare la visione cattolica del matrimonio e della famiglia come una risposta luminosa alla crisi di tali istituzioni nel ventunesimo secolo. E, nonostante chi sostiene il contrario, la relazione finale non dice una sola parola per ammettere i divorziati risposati civilmente alla Santa Comunione, in assenza di un decreto di nullità».
Post molto tecnico.
RispondiEliminaTuttavia mi permetto di dire che io ,se fossi un omosessuale,mi sentirei un emerito cogl.ne a farmi benedire.
Speriamo bene....questo clima non mi piace per niente...
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