di Roberto de Mattei
Cento anni dopo la sua morte la figura di san Pio X si erge dolente e maestosa, nel firmamento della Chiesa. La tristezza che vela lo sguardo di Papa Sarto nelle ultime fotografie, non lascia solo intravedere le catastrofiche conseguenze della guerra mondiale, iniziata tre settimane prima della sua morte. Ciò che la sua anima sembra presagire è una tragedia di portata ancora maggiore delle guerre e delle rivoluzioni del Novecento: l’apostasia delle nazioni e degli stessi uomini di Chiesa, nel secolo che sarebbe seguito.
Il principale nemico che san Pio X dovette affrontare aveva un nome, con cui
lo stesso Pontefice lo designò: modernismo. La lotta implacabile al modernismo
caratterizzò indelebilmente il suo pontificato e costituisce un elemento di
fondo della sua santità. «La lucidità e la fermezza con cui Pio X condusse
la vittoriosa lotta contro gli errori del modernismo – affermò Pio XII nel
discorso di canonizzazione di Papa Sarto – attestano in quale eroico grado
la virtù della fede ardeva nel suo cuore di santo (…)».
Al modernismo, che si proponeva «un’apostasia universale dalla fede e
dalla disciplina della Chiesa», san Pio X opponeva un’autentica riforma che
aveva il suo punto principale nella custodia e nella trasmissione della verità
cattolica. L’enciclica Pascendi (1907),con cui fulminò gli errori del
modernismo, è il documento teologico e filosofico più importante prodotto dalla
Chiesa cattolica nel XX secolo. Ma san Pio X non si limitò a combattere il male
nelle idee, come se esse fossero disincarnate dalla storia. Egli volle colpire i
portatori storici degli errori, comminando censure ecclesiastiche, vigilando nei
seminari e nelle università pontificie, imponendo a tutti i sacerdoti il
giuramento antimodernista.
Questa coerenza tra la dottrina e la prassi pontificia suscitò violenti
attacchi da parte degli ambienti cripto-modernisti. Quando Pio XII ne promosse
la beatificazione (1951) e la canonizzazione (1954), Papa Sarto fu definito
dagli oppositori estraneo ai fermenti rinnovatori del suo tempo, colpevole di
aver represso il modernismo con metodi brutali e polizieschi. Pio XII affidò a
mons. Ferdinando Antonelli, futuro cardinale, la redazione di una
Disquisitio storica dedicata a smontare le accuse rivolte al suo
predecessore sulla base di testimonianze e di documenti,. Ma oggi queste accuse
riaffiorano perfino nella “celebrazione” che l’“Osservatore Romano” ha dedicato
a san Pio X, per la penna di Carlo Fantappié, proprio il 20 agosto, anniversario
della sua morte.
Il prof. Fantappié recensendo sul quotidiano della Santa Sede, il volume di
Gianpaolo Romanato Pio X. Alle origini del cattolicesimo contemporaneo
(Lindau, Torino 2014), nella sua preoccupazione di prendere le distanze dalle
«strumentalizzazioni dei lefebvriani», come scrive in maniera infelice,
utilizzando un termine privo di qualsiasisignificato teologico, arriva ad
identificarsi con le posizioni degli storici modernisti. Egli attribuisce
infatti a Pio X, «un modo autocratico di concepire il governo della
Chiesa», accompagnato «da un atteggiamento tendenzialmente difensivo
nei confronti dell’establishment e diffidente nei riguardi degli stessi
collaboratori, della cui fedeltà e obbedienza non di rado dubitava».
Ciò«fa comprendere anche come sia stato possibile che il Papa abbia
sconfinato in pratiche dissimulatorie o esercitato una particolare sospettosità
e durezza nei confronti di taluni cardinali, vescovi e chierici. Avvalendosi
delle indagini recenti sulle carte vaticane, Romanato elimina definitivamente
quelle ipotesi apologetiche che cercavano di addebitare le responsabilità delle
misure poliziesche agli stretti collaboratori anziché direttamente al
Papa». Si tratta delle medesime critiche riproposte qualche anno fa, in un
articolo dedicato a Pio X flagello dei modernisti, da Alberto Melloni,
secondo cui «le carte ci consentono di documentare l’anno con cui Pio IX era
stato parte cosciente ed attiva della violenza istituzionale attuata dagli
antimodernisti» (“Corriere della Sera”, 23 agosto 2006).
Il problema di fondo, non sarebbe «quello del metodo con cui fu represso
il modernismo, bensì quello della opportunità e validità della sua
condanna». La visione di san Pio X era “superata” dalla storia, perché egli
non comprese gli sviluppi della teologia e dell’ecclesiologia del Novecento. La
sua figura in fondo ha il ruolo dialettico di un’antitesi rispetto alla tesi
della “modernità teologica”. Perciò Fantappié conclude che il ruolo di Pio X
sarebbe stato quello di«traghettare il cattolicesimo dalle strutture e dalla
mentalità della Restaurazione alla modernità istituzionale, giuridica e
pastorale».
Per cercare di uscire da questa confusione possiamo ricorrere ad un altro
volume, quello di Cristina Siccardi, appena pubblicato dalle edizioni San Paolo,
con il titolo San Pio X. Vita del Papa che ha ordinato e riformato la
Chiesa, e con una preziosa prefazione di Sua Eminenza il cardinale Raymond
Burke, prefetto del Supremo tribunale della Segnatura Apostolica.
Il cardinale ricorda come fin dalla sua prima Lettera enciclica E supremi
apostolatus del 4 ottobre 1903, san Pio X annunciava il programma del suo
pontificato che affrontava una situazione nel mondo di confusione e di errori
sulla fede e, nella Chiesa, di perdita della fede da parte di molti. A questa
apostasia egli contrapponeva le parole di san Paolo: Instaurare omnia in
Christo, ricondurre a Cristo tutte le cose. «Instaurare omnia in Christo –
scrive il cardinale Burke – è veramente la cifra del pontificato di san Pio
X, tutto teso a ricristianizzare la società aggredita dal relativismo liberale,
che calpestava i diritti di Dio in nome di una “scienza” svincolata da ogni tipo
di legame con il Creatore» (p. 9).
E’ in questa prospettiva che si situa l’opera riformatrice di san Pio X, che
è innanzitutto un’opera catechetica, perché egli comprese che agli errori
dilaganti occorreva contrapporre una conoscenza sempre più profonda della fede,
diffusa ai più semplici, a cominciare dai bambini. Verso la fine del 1912, il
suo desiderio si realizzò con la pubblicazione del Catechismo che da
lui prende il nome, destinato in origine alla Diocesi di Roma, ma poi diffuso in
tutte le diocesi di Italia e del mondo.
La gigantesca opera riformatrice e restauratrice di san Pio X si svolse nella
incomprensione degli stessi ambienti ecclesiastici. «San Pio X – scrive
Cristina Siccardi – non cercò il consenso della Curia romana, dei sacerdoti,
dei vescovi, dei cardinali, dei fedeli, e soprattutto non cercò il consenso del
mondo, ma sempre e solo il consenso di Dio, anche a danno della propria immagine
pubblica e, così facendo, è indubbio, si fece molti nemici in vita e ancor più
in morte» (p. 25).
Oggi possiamo dire che i peggiori nemici non sono coloro che lo attaccano
frontalmente, ma quelli che cercano di svuotare il significato della sua opera,
facendone un precursore delle riforme conciliari e postconciliari. Il quotidiano
“La Tribuna di Treviso”, ci informa che in occasione del centenario della morte
di san Pio X, la diocesi di Treviso ha «aperto le porte a divorziati e
coppie di fatto», invitandole, in cinque chiese, tra cui la chiesa di
Riese, paese natale di Papa Giuseppe Sarto, al fine di pregare per la buona
riuscita del Sinodo di Ottobre sulla famiglia, di cui il cardinale Kasper ha
dettato la linea, nella sua relazione al Concistoro del 20 febbraio. Fare di san
Pio X il precursore del cardinale Kasper è un’offesa di fronte a cui la
sprezzante definizione melloniana di «flagello dei modernisti» diviene
un complimento.
Fonte: "Corrispondenza Romana"