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domenica 5 agosto 2012

Il sacrificio spirituale

Intervento tenuto dall’allora Cardinale Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, durante una Conferenza svoltasi presso l’Abbazia benedettina di "Notre Dame de Fontgombault", in Francia (22-24 luglio 2001).
"Infine vorrei segnalare molto brevemente una terza via secondo la quale è progressivamente diventato più chiaro il passaggio dal culto di sostituzione, quello della immolazione di animali, al vero sacrificio — alla comunione, alla offerta del Cristo. 
 Presso i profeti pre-esilici c’era stata contro il culto del tempio una critica estremamente dura, che Stefano, con stupito terrore dei dottori e dei sacerdoti del tempio, riprese nel suo grande discorso. segnatamente questo versetto di Amos: 
"Mi avete forse offerto vittime e sacrifici per quarant’anni nel deserto, o casa di Israele?
Avete preso con voi la tenda di Moloc e la stella del dio Refan, simulacri che vi siete fabbricati per adorarli" (5,25, At 7,42).
La critica dei profeti fu il presupposto interno che permise ad Israele di attraversare la prova della distruzione del tempio, dell’epoca senza culto. 
Allora ci si trovò nella necessità di mettere in luce in modo più profondo e nuovo che cosa è il culto, l’espiazione, il sacrificio. 
Al tempo della dittatura ellenistica, in cui Israele fu di nuovo senza tempio e senza sacrificio, il libro di Daniele ci ha trasmesso questa preghiera:
"Ora, Signore, noi siamo diventati più piccoli dl qualunque altra nazione.., ora non abbiamo più né principe, né capo, né profeta, né olocausto, né oblazione, né incenso, né luogo per presentarti le primizie e trovare misericordia. Potessimo essere accolti con il cuore contrito e con lo spirito umiliato, come olocausti dl montoni e di tori, come migliaia di grassi agnelli. Tale sia oggi il nostro sacrificio davanti a Te e ti sia gradito, perché non c’è delusione per coloro che confidano in te. 
Ora ti seguiamo con tutto i! cuore, ti temiamo e cerchiamo il Tuo volto" (Dn, 37-41). 
Così lentamente maturò la scoperta che la preghiera, la parola, l’uomo che prega e diviene lui stesso parola è il vero sacrificio.
A questo proposito la lotta di Israele poté entrare in fecondo contatto con la ricerca del mondo ellenistico: anche esso cercava il ripiego per uscire dal culto di sostituzione delle immolazioni di animali, per arrivare a un culto propriamente detto, alla vera adorazione.
In questa prospettiva è maturata l’idea della loghikè tysia — del sacrificio consistente nella parola che noi incontriamo nel Nuovo Testamento in Romani 12,1, dove l’apostolo esorta i credenti ad offrire se stessi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio. 
Questo è indicato come loghikè latreia, come servizio divino secondo la parola, ragionevole. Sotto un’altra forma, troviamo la stessa affermazione in Eb 13, 15: "Per mezzo di Lui — il Cristo — offriamo a Dio continuamente un sacrificio di fede, cioè il frutto di labbra che confessano il Suo nome". 
Numerosi esempi, provenienti dai Padri della Chiesa, mostrano come queste idee furono sviluppate e divennero il punto di congiunzione tra la cristologia, la fede eucaristica e la traduzione pratico-esistenziale del mistero pasquale.
Vorrei solo citare, a titolo di esempio, alcune frasi di Pietro Crisologo, di cui si dovrebbe in verità leggere l’intero Sermone in questione per poter seguire questa sintesi da capo a fondo: "Singolare sacrificio, dove il corpo si offre senza il corpo, il sangue senza il sangue!
Vi scongiuro, dice l’Apostolo, per la misericordia di Dio, di offrire i vostri corpi come sacrificio vivente.
Fratelli questo sacrificio prende ispirazione dall’esempio di Cristo che immolò il Suo corpo, perché gli uomini abbiano la vita. Diventa, uomo, diventa il sacrificio di Dio e il suo sacerdote. 
Dio cerca la fede, non la morte. Ha sete della tua promessa, non del tuo sangue. 
Il fervore lo placa, non l’uccisione".
Anche qui si tratta di tutt’altra cosa che di un puro moralismo, tanto l’uomo vi è impegnato nel suo essere totale: sacrificio consistente nella parola.
I pensatori greci avevano già messo questo aspetto in relazione al logos, alla parola stessa, indicando che il sacrificio della preghiera non deve essere un puro discorso, bensì la trasformazione del nostro essere ne logos, l’unione con Lui. 
Il culto divino implica che noi stessi diventiamo degli esseri della Parola, che ci conformiamo alla Ragione creatrice. 
Ma è nuovamente chiaro che non possiamo ottenere tutto questo da noi stessi e così tutto sembra di nuovo finire nel nulla, fino al giorno in cui viene il Logos, il vero, il Figlio, fino al giorno in cui sì fa carne e ci attira a se stesso nell’esodo della croce. 
Questo vero sacrificio, che ci trasforma tutti in sacrificio, vale a dire ci unisce a Dio, fa di noi degli esseri conformi a Dio, è certamente fissato e fondato in un avvenimento storico, ma non si trova come una cosa del passato dietro di noi; anzi diventa contemporaneo e accessibile a noi nella comunità della Chiesa, che crede e prega, nel suo sacramento: ecco che cosa significa il sacrificio della Messa.
L’errore di Lutero si fondava - ne sono convinto — su un falso concetto di storicità, in una errata comprensione dell’unicità ( ephapax). 
Il sacrificio di Cristo non si trova dietro di noi come una cosa del passato. 
Raggiunge tutti i tempi ed è presente in noi.
L’Eucaristia non è semplicemente la distribuzione di ciò che viene dal passato, ma più a fondo è la presenza dei mistero pasquale del Cristo che trascende ed unisce i tempi.
Se il Canone romano cita Abele, Abramo, Melchisedec, annoverandoli tra coloro che celebrano l’Eucaristia, lo fa nella convinzione che anche in essi, i grandi offerenti, il Cristo attraversava i tempi, oppure meglio che nella loro ricerca essi camminavano incontro al Cristo.
La teologia dei Padri, così come la troviamo nel Canone, non nega l’insufficienza dei sacrifici precristiani; però il Canone include, con le figure di Abele e Melchisedec, gli stessi "santi pagani" nel mistero di Cristo. 
 La conclusione è precisamente che tutto ciò che precedeva è visto nella sua insufficienza come ombra, ma pure che il Cristo attira tutto a sé, che vi è anche nel mondo pagano una preparazione al Vangelo, che anche elementi imperfetti possono condurre al Cristo, qualunque siano le purificazioni di cui hanno bisogno. Il Cristo soggetto della liturgia.
Vengo alla conclusione. 
Teologia della liturgia — questo significa che Dio agisce per mezzo del Cristo nella liturgia e che noi non possiamo agire che per mezzo Suo e con Lui. 
Da noi stessi non possiamo costruire la nostra via verso Dio. 
Questa via non è percorribile, eccetto il caso che Dio stesso si faccia la via.
E una volta per sempre: le vie dell’uomo che non pervengono accanto a Dio sono delle non-vie. 
Teologia della liturgia significa inoltre che nella liturgia il Logos stesso ci parla e non solo parla: viene con il Suo corpo, la Sua anima, la Sua carne, il Suo sangue, la Sua divinità, la Sua umanità per unirci a Lui, per fare di noi "un solo corpo". 
Nella liturgia cristiana tutta la storia della salvezza, anzi tutta la storia della ricerca umana di Dio, è presente, viene assunta e portata al suo compimento. 
La liturgia cristiana è una liturgia cosmica —abbraccia la creazione intera che attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio (Rm 8, 19).
Trento non si ingannò, si appoggiò sul solido fondamento della Tradizione della Chiesa. Rimane un criterio affidabile. 
Ma noi possiamo e dobbiamo comprenderlo in un modo più profondo, attingendo alle ricchezze della testimonianza biblica e della fede della Chiesa di tutti i tempi. 
Vi sono autentici segni di speranza di questa comprensione rinnovata e approfondita di Trento possa, in particolare tramite la mediazione delle Chiese di Oriente, essere resa accessibile ai cristiani protestanti. 
 Una cosa dovrebbe essere chiara. 
La liturgia non deve essere il terreno di sperimentazione per ipotesi teologiche. In questi ultimi decenni, congetture di esperti sono entrate troppo rapidamente nella pratica liturgica, spesso anche passando a lato dell’autorità ecclesiastica, tramite il canale di commissioni che seppero divulgare a livello internazionale il loro consenso del momento e nella pratica seppero trasformarlo in legge liturgica. 
La liturgia trae la sua grandezza da ciò che essa è e non da ciò che noi ne facciamo. 
La nostra partecipazione è certamente necessaria, ma come un mezzo per inserirci umilmente nello spirito della liturgia a per servire Colui che è il vero soggetto della liturgia: Gesù Cristo. 
La liturgia non è l’espressione della coscienza di una comunità, che del resto è varia e cangiante. 
Essa è la Rivelazione accolta nella fede e nella preghiera e di conseguenza la sua norma è la fede della Chiesa, nella quale la Rivelazione è accolta. 
Le forme che si danno alla liturgia possono variare in relazione ai luoghi e ai tempi, così come i riti sono diversi. 
Essenziale è il legame con la Chiesa che, a sua volta, è vincolata dalla fede nel Signore. L’obbedienza della fede garantisce l’unità della liturgia, oltre la frontiera dei luoghi e dei tempi e così ci lascia sperimentare l’unità della Chiesa, della Chiesa come patria del cuore.
Infine, l’essenza della liturgia è riassunta nella preghiera trasmessa da S. Paolo (1 Cor 16, 22) e dalla Didaché (10, 6) Maranà tha — il Signore viene — vieni o Signore!
Nella liturgia si compie già ora la parusia, ma questo avviene protendendoci verso il Signore che viene e precisamente insegnandoci ad invocare "Vieni Signore Gesù". 
Ed essa ci fa sempre percepire ancora oggi la sua risposta e ce ne fa provare la verità:  
sì, vengo presto (Ap 22, 1 7-20)".

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