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sabato 16 luglio 2011

Storia della schiavitù e Cristianesimo - I parte

di F. Agnoli

Per tanto tempo la storiografia sulla schiavitù è stata, per lo più, parziale e incompleta. Per due motivi. Da una parte perché si è privilegiato lo studio dello schiavitù praticata dagli europei e dai coloni americani in età moderna, ingenerando così in molti la convinzione che lo schiavismo sia stato un vizio tipicamente nostrano, una colpa limitata ad una sola epoca e ad alcuni singoli popoli. Dall’altra perché gli stessi storici che, per motivi ideologici, hanno puntato i riflettori solamente sullo schiavismo europeo, nell’ambito della stessa forma mentis hanno privilegiato, rispetto ad una visione d’insieme, la ricerca di eventuali omissioni della Chiesa cattolica, sovente accusata di non essere stata “sufficientemente” contraria allo schiavismo stesso.
Per questo mi sembra necessario salutare con riconoscenza l’ennesima fatica di Rodney Stark, “A Gloria di Dio” (Lindau), che tra le altre cose tenta di proporre una visione globale dello schiavismo nella storia.
Stark, sviscerando e comparando una sterminata quantità di studi, con una lucidità e una capacità di sintesi straordinarie, riassume dunque alcuni fatti fondamentali.
La constatazione basilare di Stark è che lo schiavismo “è stata una caratteristica quasi universale della ‘civiltà’, ma era anche comune in un certo numero di società aborigene sufficientemente ricche da potersela permettere”. Anche Roma e la Grecia antiche prevedevano “un uso estensivo del lavoro degli schiavi”, considerati oggetti, beni di proprietà, e come tali privi di qualsiasi diritto e sottoposti all’arbitrio più totale da parte dei padroni. Si può aggiungere, come ampiamente dimostrato da Aldo Schiavone in “Spartaco. Le armi e l’uomo”, che in epoca pagana non esisteva neppure il sospetto che la schiavitù in quanto tale fosse iniqua: i ribelli come Spartaco miravano alla propria liberazione, non certo alla condanna della schiavitù medesima, che anzi praticarono in prima persona nel breve periodo della loro libertà.
Se dalla Roma e dalla Grecia pagane ci spostiamo nell’Islam, scopriamo che i “musulmani raccoglievano un gran numero di schiavi nelle regioni slave dell’Europa, come pure europei presi prigionieri in battaglia o catturati dai pirati”; inoltre catturarono sempre grandi quantità di schiavi africani, prediligendo la cattura di donne, per gli harem e la servitù domestica, di bambini e di adulti maschi che però spesso venivano “evirati al momento della cattura o dell’acquisto”. Anche l’Islam, come pure i popoli politeisti, non ha mai conosciuto alcun movimento abolizionista, ma ha subito, al contrario, l’abolizionismo europeo dell’Ottocento, ad opera di schiere di missionari e della marina britannica. Se ci spostiamo poi nell’ Africa animista, i fatti sono ben conosciuti dagli esperti, ma piuttosto ignoti al grande pubblico: “molte delle società africane precoloniali, se non tutte, si reggevano su sistemi schiavistici”, ed anzi, lo schiavismo europeo si innestò sempre su quello islamico ed interafricano.
Solo dopo questo sguardo d’insieme, sostiene Stark, possiamo contestualizzare e comprendere le specificità dello schiavismo europeo moderno.
Riguardo al quale si può sostenere, in sintesi, che le condizioni peggiori furono vissute dagli schiavi dei britannici “anglicani”, dal momento che gli inglesi non solo erano ferocemente sfruttatori, ma non battezzavano neppure i loro schiavi, né cercavano di convertirli, perché, in fondo, così facendo, impedivano che fossero in qualche modo accomunabili, almeno di fronte a Dio, a loro stessi.
Al contrario, ad “avere la legge schiavista più umana” era la Spagna, “seguita dalla Francia”: questo a causa della influenza esercitata dalla Chiesa cattolica, in prima linea, in generale se non sempre in particolare, nella difendere la natura umana e di creature di Dio anche degli schiavi.
Stark si sofferma su alcune bolle papali spesso trascurate, dalla Sicut Dudum di Eugenio IV (1431-1447), a quelle di Pio II, Sisto IV e Paolo III (1534-1549), in cui lo schiavismo appare una colpa suggerita agli uomini da Satana stesso, il “nemico del genere umano”. “Il problema non era che la Chiesa non condannava la schiavitù, quanto piuttosto che erano in pochi ad ascoltarla”, e che questa condanna, assente nel resto del mondo, anche dall’Inghilterra anglicana o dalla Danimarca protestante, scatenò spesso le ire e le persecuzioni nei confronti dei cattolici più coraggiosi nel difendere il diritto alla libertà.
Stark conclude analizzando con cura il movimento abolizionista ottocentesco: mette in luce la sua unicità (non è nato mai nulla di simile in nessun’altra cultura), la sua carica di idealismo e la sua origine prettamente religiosa. Tutto i leader abolizionisti ottocenteschi, americani ed inglesi in particolare, erano credenti e fondarono le loro argomentazioni su categorie evangeliche (Dio, Creazione, peccato…), e non su motivazioni filosofiche di altro tipo. Un’unica lacuna, nel preziosissimo testo di Stark: manca un’ analisi dell’ “abolizionismo” cristiano di età alto medievale, che, pur diverso da quello ottocentesco, fu però fenomeno di portata storica ben più rilevante Ne parleremo la volta prossima.

(continua)

14 commenti:

  1. Il problema del rapporto tra schiavitù-servitù e Cristianesimo (dopo il '500 diviso nela forma cattolica e in quella genericamente riformata) è effettivamente assai complesso. Proprio per questo i toni apologetici di questo intervento risultano fuorvianti. Ricorderò solo che la campagna per l'abolizione della tratta degli schiavi ha avuto come campione un non cattolico come William Wilberforce, che essa si è sviluppata originariamente nella Inghilterra anglicana, che la Francia vi ha aderito quando era retta da un governo tutt'altro che cattolico, che l'ultimo stato ad abolire la schiavitù (nel 1888!) è stato il cattolico Brasile (per non dire che nella Guerra di secessione americana le simpatie del vaticano erano per gli Stati schiavisti del Sud). Non scrivo tutto questo per amor di polemica, ma per sollecitare una riflessione seria. Ad esempio, per Tommaso d'Aquino, la servitù è pienamente ammissibile e non contraria alla legge naturale: il servo ha dei diritti (per esempio quello di sposarsi), ma non quello di essere una persona libera. E forse non è un caso che la lotta alla schiavitù sia sorta in ambienti 'riformati dove più diretto era il confronto con il Vangelo e minore, se non nulla, era l'attenzione per vere o presunte leggi naturali.

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  2. <span><span><span>Agnoli so che lei è uno storico cattolico apologetico mi spiace ma credo che parlare di abolizionisimo cristiano in età alto medievale sia un pò ardito. Non voglio polemizzare visto che ci sono storici molto più bravi di me che hanno scritto libri importanti, quindi per chi vuole farsi un idea consiglio questi testi a chi volesse approfondire l'argomento      
         
    M.BLOCH, La servitù nella società medievale, Firenze 1975. Fondamentale      
         
    Altro testo molto importante      
         
    C.VIOLANTE, La società milanese nell'età comunale, Bari 1953      
         
    Per un discorso utile dal punto di vista del pensiero consiglio      
         
    S.TALAMO, Il concetto di schiavitù da Aristotele ai dottori scolastici, Roma 1908      
         
    Per essere concisi si può affermare che la schiavitù altomedievale scompare nella seconda metà dell'XI secolo quasi in contemporanea con lo scoppio della Pataria. Questa scomparsa non è dovuta ad interventi diretti dei Papi che in quel periodo dovevano affrontare i problemi di un clero nicoalita e simoniaco come evidenzia la rivolta della Pataria a Milano. Ma per l'affermarsi specialmante in area Padana e nord europea di un nuovo ceto di rustici - giuridicamente liberi grazie ai nuovi statuti comunali. In sostanza l'affermazioni degli statuti comunali delle professioni ed il tramonto della legge longobarda che gravava sui contadini permisero l'abbandono dell'influenza del diritto longobardo che permetteva la schiavitù nel area padana. Questo per un fattore molto semplice i secoli XI - XII furono secoli di grande inurbamento i contadini non era più soggetti alla servitù della gleba delle campagne perchè in città praticavano altre attività professionali regolate dagli statui comunali e non più dalla legge longobarda. Basta vedere gli archivi del Comune di Firenze o Milano. </span></span>  
    <span><span>Famosa è la frase dell'Arcivescovo di Milano Ariberto d'Intimiano ai tanti contadini che dal contado si stabilivano a Milano nel XI sec.      
    " Chiunque sa lavorare e vuole vivere a Milano è un uomo libero"      
         
    Ho cercato di essere il più conciso possibile è un tema che conosco bene, lo studio in univeristà da anni      
    Naturalmente prof. Agnoli sarò lietissimo di poter leggere le sue tesi in merito</span></span></span>

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  3. Condivido quanto da lei detto, ma solo in parte. Tuttavia è bene dimenticarsi una cosa: NESSUN PASSO DELLA SCRITTURA CONDANNA LA SCHIAVITU'.  Stiamo trattando un problema secondario, non c'è un male intrinseco in essa, ma come al solito ragioniamo con la testa riformata da modernismo e principii del 1789. Certo, oggi sarebbe davvero criminosa, ma in passato non si può negare abbia salvato centinaia di migliaia di uomini dalla fame, a prezzo della loro "libertà". Per inciso: l'unica vera Libertà è quella che ci dà Cristo, tutto il resto sono balle.

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  4. Concordo con ''storico medioevale'', vorrei anche ricordare san Vincenzo da Lerino che scrisse riguardo alla societas ordinata, che è quella feudale, dove era ammessa e largamente praticata la servitù della gleba. Sono gli illuministi, soprattutto la sinistra estrema ossia l'ala giacobina a parlare fortemente di Uguaglianza, non da ultimo vorrei ricordare il patto sociale di Rosseau.

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  5. Per Placentinum: in base a quali principi la schiavitù oggi deve essere considerata criminosa? Non saranno proprio i principi del 1789, ispirati dal cristianesimo, ma avversati (almeno allora) dalla gerarchia cattolica?
    La stessa domanda si dovrebbe porre per la tortura e per le forme degradanti di punizione (mutilazioni etc.) per secoli accettate dalla società cristiana dell'Ancien Régime. Il rispetto per la persona umana fatta ad immagine di Dio sarebbe una questione secondaria?

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  6. La tortura era già da secoli considerata res fragilis, e per capire il suo utilizzo bisogna entrare nella mentalità giuridica che ha regnato  almeno fino ai tempi di Beccaria, e non è l'argomento qui trattato. La schiavitù non era iniqua quando gli schiavi erano appunto rispettati, e trattati umanamente, Gli era fornito quel sostentamento che una arretratezza e economica e tecnica gli avrebbe impedito. Oggi è diverso: tutti potrebbero condurre una vita dignitosa grazie al progresso. (sappiamo poi perchè nel concreto non è così.) Gesù poi non è venuto a insegnarci il rispetto per la dignità umana, ma l'amore per il prossimo. Sono due cose ben diverse.

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  7. Vediamo di non confondere schiavitù e servitù, per favore.

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  8. Bisogna distinguere, a mio avviso, tra tre tipi di schiavitu`:

    1) Un individuo e` schiavo perche' si e` macchiato di un grave delitto contro la persona o la proprieta` altrui e perde per questo la liberta` ed e` obbligato a ripagare con il proprio lavoro la parte lesa. 
    2) Un individuo si offre volontariamente come servo per poter diventare membro di una qualche corporazione di arti e di mestieri.
    3) Un individuo innocente viene catturato o allevato in cattivita` come un animale con lo scopo di usarlo come un animale da soma.

    Le prime due forme sono moralmente accettabili, la terza no.

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  9. Gli schiavi erano trattati umanamente e rispettati? Consiglio, tra le mille letture possibili, "La Croce e la mezzaluna" di Arrigo Petacco.
    C'è un intero capitolo dedicato specificamente alla condizione degli schiavi sulle galere che battevano il Mediterraneo...

    La schiavitù poi è una cosa iniqua anche nelle Sacre Scritture.
    Nell'Antico Testamento il popolo d'Israele chiede di essere liberato dalla schiavitù d'Egitto. Evidentemente non era una cosa buona, e visto che Dio ha in serbo grandi progetti per il Suo popolo, lo libera Egli stesso dalla schiavitù inviando un Suo profeta.

    <p>Alcuni riferimenti:
    </p><p>Esodo 3, 7-9 (“la miseria del mio popolo”, “l'oppressione”)
    </p><p>Esodo 6, 6-9
    </p><p>Levitico 25, 39-54 (esiste qui ancora la differenza israelita/forestiero: categorie che con Nostro Signore assumono tutt'altra considerazione)
    </p><p>E' una delle maledizioni contro l'Assiria (Isaia 31, 8). E' il bellissimo passo di Isaia 40, 2: è finita la schiavitù di Israele, che ha scontato la sua iniquità. La schiavitù qui è un castigo. Illuminante è la liberazione degli schiavi (ebrei) e le parole di Dio, in Geremia cap 34.
    </p><p> 
    </p><p>Ma a questo qualcuno potrebbe rispondere molte cose. Perciò vediamo il Nuovo Testamento.
    </p><p>Spesso si parla di schiavitù in senso spirituale, come schiavitù del peccato.
    </p><p>Si invita gli schiavi ad essere miti e sottomessi non in quanto la schiavitù è buona, ma perché la vera libertà è in Cristo: e si guadagna la vita eterna anche in una condizione di schiavitù fisica, poiché non c'è più "né schiavo né greco" ma siamo tutti figli di Dio. Perché la vera libertà è in Cristo Gesù.
    </p><p> 
    </p><p>Questo però non giustifica che un cristiano faccia schiavo un suo fratello. E se leggiamo Romani 8, 15 e la prima lettera ai Corinti, cap 7 v 23, ci confortiamo che "abbiamo ricevuto uno spirito da uomini liberi".
    </p>

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  10. Per quanto riguarda il punto n. 2, ha ragione più sopra l'utente Para-Liturgo: schiavitù e servitù sono due concetti diversi. Secondo il dizionario etimologico, ad oggi "servo" è chi prende volontario e convenzionale servigio, a differenza dello "schiavo" il quale è colui che "serve per forza".
    Sebbene l'origine delle parole sia piuttosto simile, il cristianesimo ha fatto sì che il significato nei secoli divergesse (sempre secondo il dizionario).

    Per il primo punto faccio un'ulteriore considerazione.
    Quella descritta, sebbene non sia una situazione che il soggetto vuole, non è schiavitù. E' responsabilità: è l'essere cosciente delle proprie azioni e dover rispondere delle conseguenze. E' ben diverso dalla schaivitù: è l'essere soggetti alla Giustizia (Dio punisce Adamo ed Eva, applicando le dirette conseguenze della loro azione errata).

    Pertanto mi sembra che né quella descritta al punto 1, né quella al punto 2, si possano definire "schiavitù" nel senso "politico-economico" del termine (cioè escluso il significato spirituale o morale del termine).

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  11. Guardando anche la Tradizione, un sommario elenco di bolle pontificie in cui si _condanna_ la schiavitù:
    - Sicut Dudum, Eugenio IV, 1435
    - Veritas Ipsa, Paolo III, 1537
    - Commissum Nobis, Urbano VIII, 1639
    - In supremo Apostolatus, Gregorio XVI, 1839

    Perciò, ecco, non diciamo che la condanna della schiavitù deriva dai condizionamenti dei giacobini. E non diciamo neppure che i giacobini hanno parlato per primi di rispetto e libertà dalla schiavitù perché è falso: infatti non sono stati i primi, e non hanno affatto liberato nessuno dalla schiavitù. Spesso, anzi, i rivoluzionari ne hanno imposte di peggiori.

    Note stonate, se così si può dire, sono le due bolle:
    - Dum Diversas, 1452
    - Romanus Pontifex, 1454
    Entrambe di papa Niccolò V. E questo può spiegare varie cose.

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  12. A parte la considerazione che la "tratta degli schiavi" più nota e esecrata (a parole) , cioè dall'Africa (razziatori musulmani) all'America del Nord (acquirenti protestanti), era monopolio in mano agli ebrei,
    ma tutte le grandi libertà che ci ha donate l'illuminismo sono le peggiori schiavitù: libertà economica e il denaro mondiale è in mano agli usurai, libertà morale e sotto con sesso droga e violenza, libertà culturale e dàlli al cattolico, libertà di religione e fai fuori i cristiani a centinaia di milioni.  "Captivus Diaboli", quello è il vero schiavo.

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  13. Ho scritto chiaramente che non era iniqua QUANDO erano trattati umanamente. Non sempre, quindi. lo so anch'io cosa dovevano subire alcuni schiavi, grazie!!

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  14. Francesco Agnoli-per Guido17 luglio 2011 alle ore 23:58

    Ho trattato brevemente in questo e nell'altro articolo un tema ampio, che tocco anche nel mio "Indagine sul cristianesimo". Rispetto a  quanto scrive Guido, vorrei notare che uso il termine schiavo in senso proprio: lo schiavo nel mondo antico è cosa, senza alcun diritto. Nè di matrimonio, nè di altro. può essere messo a morte, è un instrumentum vocale, è, per i greci, schiavo per natura. Condannabile ad metalla, ad bestias... marchiato a fuoco, fatto morire nei circhi. Il cristianesimo, sin dal principio, lotta contro tutto questo: è un dato di fatto innegabile. Nella società cristiana la schiavitù cambia enormemente (proprio Bloch spiega la differenza tra schiavo e servo della gleba, tutt'altra cosa); rimane, certo, come tutti i peccati, ma nell'Europa cristiana è un fenomeno marginale (nulla a che vedere con la società pagana romana, dove gli schiavi erano anche un terzo della popolazione); quanto a Wilberforce era un fervente cristian. Era inglese (ed anglicano, quindi) per un semplice motivo: che gli italiani, i cattolici per eccellenza, non potevano più di tanto sentire l'urgenza del problema, perchè non avevano schiavi nè colonie, quindi l'abolizionismo politico non poteva nascere da noi, è ovvio! Era l'Inghiletrra il paese dello schiavismo, e  questo proprio perchè la mancanza della Chiesa cattolica aveva impedito ogni freno: per questo divenne anche il paese dell'aboliziosnimo; in secondo luogo gli "abolizionisti" italiani erano di altro tipo: don mazza, Daniele Comboni, card. Massaia, come, ancora oggi, mons. Mazzolari..cioè i missionari...un caro saluto e mi scuso per la fretta

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