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sabato 28 marzo 2009

Il card. Newman entusiasta della Milano cattolica. Quant'acqua è passata nei navigli...

Chiesa di S. Marco, Brera, Milano
di Inos Biffi

Newman soggiornò a Milano, insieme con Ambrose St. John, durante il suo viaggio verso Roma. Arrivò il 20 settembre del 1846 dal passo del Sempione, in tempo per la messa in duomo: più volte egli registra nel suo diario di aver sentito messa in duomo o presso la tomba di san Carlo. Il 18 ottobre, festa della Dedicazione della Cattedrale, annoterà d'aver preso parte alla "Messa solenne in Duomo, dove si tiene una grande funzione con indulgenza plenaria" e di aver visitato "alla sera l'oratorio di san Carlo"; lo stesso giorno farà sapere: "Siamo appena tornati dal Duomo dove c'è stata una grande funzione, compresa la solenne Messa pontificale nella celebrazione della dedicazione della chiesa di san Carlo. La giornata è molto piovosa, ma l'area della chiesa era gremita da cima a fondo". Subito il 21 settembre Newman visita la basilica di sant'Ambrogio. Il 23 settembre, dopo una prima disagiata sistemazione presso un non confortevole hotel Garni, si trasferirà presso san Fedele, e vivrà in cordiale fraternità con due sacerdoti milanesi: don Giacomo Vitali e don Giovanni Ghianda, e sarà anche commensale del prevosto di San Fedele, Giulio Ratti.

Per i suoi ospiti avrà parole di grande ammirazione, specialmente per don Ghianda, che sarà anche suo confessore. Scriverà: "Il nostro amico, l'abate Ghianda, è molto gentile e premuroso. Non avremmo potuto imbatterci in persona più amica. Egli fa tutto per noi"; e il 22 ottobre, alla vigilia di ripartire da Milano: "Siamo stati assai fortunati di trovare qui il cappellano di Manzoni, che ci è stato sempre vicino ed è stato un amico estremamente gentile".

La prima lettera scritta da Milano, il 24 settembre, contiene un grande elogio per la chiesa di San Fedele: "È in stile greco o palladiano. Temo che lo stile architettonico mi piaccia più di quanto alcuni dei nostri amici di Oscott e di Birmingham approverebbero. La luminosità, la grazia e la semplicità dello stile classico sembra si addica meglio a rappresentare Santa Maria o San Gabriele che non qualsiasi realtà in stile gotico. È sempre un sollievo dello spirito, e una sua elevazione, entrare in una chiesa come San Fedele. Essa ha un aspetto così dolce, sorridente, aperto - e l'altare è così grazioso e attraente - che spicca così che tutti lo possono vedere e avvicinarvisi. Le alte colonne di marmo levigato, le balaustre marmoree, il pavimento di marmo, le immagini luminose, tutto parla la stessa lingua. E una volta leggera corona l'insieme. Ma forse io seguo la tendenza delle persone anziane, che hanno visto abbastanza cose tristi da ritenersi dispensate da una tristezza espressamente e intenzionalmente voluta - e come i giovani preferiscono l'autunno e i vecchi la primavera, i giovani la tragedia e i vecchi la commedia, così, nel cerimoniale religioso, io lascio che i giovani preferiscano il gotico, una volta che tollerino la mia debolezza che chiede l'italiano.

È così riposante e gradevole, dopo le torride vie, entrare in questi interni delicati, benché ricchi, che fanno pensare ai boschetti del paradiso o a camere angeliche".E in un'altra lettera: "C'è nello stile italiano una tale semplicità, eleganza, bellezza, chiarità - implicate, credo, nella parola "classico" - che mi sembrano convenire al concetto di angelo e di santo. Potrei percorrere per tutto un giorno questa bella chiesa col suo altare sorridente e seducente, senza stancarmi. E poi essa è così calma che è sempre un riposo per lo spirito entrarvi. Nulla si muove se non la lontana lampada scintillante che segnala la presenza della nostra Vita immortale, nascosta ma sempre attiva, pur essendo entrata nel suo riposo".Aggiunge Newman: "È davvero stupendo vedere questa divina Presenza che dalle varie chiese quasi guarda fuori nelle strade aperte, così che a S. Lorenzo abbiamo veduto che la gente si levava il cappello dall'altra parte della strada quando passava".Con le chiese, infatti, è la pietà dei milanesi a suscitare in Newman la più viva ammirazione: "Nella città di sant'Ambrogio - osserva - uno comprende la Chiesa di Dio più che non nella maggior parte degli altri luoghi, ed è indotto a pensare a tutti quelli che sono sue membra. E inoltre non si tratta di una pura immaginazione, come potrebbe essere trovandosi in una città di ruderi o in un luogo desolato, dove una volta dimoravano i Santi - c'è invece qui una ventina di chiese aperte a chi vi passi davanti, e in ciascuna di esse si trovano le loro reliquie, e il SS. Sacramento preparato per l'adoratore, anche prima che vi entri. Non v'è nulla che mi abbia mostrato in maniera così forte l'unità della Chiesa come la Presenza del suo Divin Fondatore e della sua Vita dovunque io vada". Aggiunge: "Le chiese sono molto sfarzose. Il Duomo è tutto di marmo. Qui il marmo è praticamente il materiale ordinario delle chiese - e ancora più comune è il granito. Il granito proveniente dal Lago Maggiore sembra essere stato in uso da tempo immemorabile".

Un giorno comunica: "Come sta diventando buio, benché ora siano le 6. Faccio fatica a vederci. Il Duomo è l'edificio più incantevole che mai abbia visto. Se si va per la città, i suoi pinnacoli assomigliano a neve luminosa contro il cielo blu. Siamo stati due volte sulla sua cima, dalla quale appaiono belle le Alpi, specialmente il Monte Rosa".In particolare Newman è impressionato dal duomo come luogo di devozione e ne parla abitualmente nelle sue lettere. La partecipazione alle assemblee liturgiche del Duomo di Milano gli rivelano che cosa sia "la liturgia come fatto oggettivo": "Una Cattedrale Cattolica - scrive - è una specie di mondo, ciascuno dei quali si muove intorno alla propria attività, solo che questa è di tipo religioso; gruppi di fedeli o fedeli solitari - in ginocchio o in piedi - alcuni presso le reliquie, altri presso gli altari - che ascoltano messa e fanno la comunione - flussi di fedeli che si intercettano e si oltrepassano a vicenda - altare dopo altare accesi per la celebrazione come stelle nel firmamento - o la campana che annuncia ciò che sta incominciando nei luoghi sottratti al tuo sguardo - mentre nel contempo i canonici in coro recitano le loro ore di mattutino e lodi o vespri, e alla fine l'incenso sale a volute dall'altare maggiore e tutto questo in uno degli edifici più belli del mondo, e ogni giorno - alla fine senza esibizione o sforzo alcuno, ma come ciò che ciascuno è solito fare - ciascuno occupato al proprio lavoro, così come lascia l'altro al suo".

Newman rimane specialmente colpito dal numero di comunioni che si fanno nelle chiese di Milano: "Ho riscontrato questo in Duomo, a San Fedele, che è stata la nostra chiesa parrocchiale, e a Sant'Ambrogio. Nella chiesa un altare è riservato alla comunione, e io penso di non aver visto una Messa senza che ci fosse chi si comunicava - oltre le comunioni fuori della Messa". A Milano ricorre il primo anniversario della conversione cattolica di Newman e il 9 ottobre scriverà: "Oggi è un anno dacché sono nella Chiesa Cattolica e ogni giorno benedico Lui, che mi conduce dentro sempre più. Sono passato dalle nubi e dalle tenebre alla luce, e non posso guardare alla mia precedente condizione senza provare l'amara sensazione che si ha quando si guarda indietro a un viaggio faticoso e triste". Nel duomo di Milano Newman incontrava esattamente uno degli aspetti e dei momenti più espressivi della Chiesa cattolica.

A Milano Newman trova poi un rito diverso da quello romano, a sua volta significativa testimonianza di antichità; egli ne rimane attratto: "È tuttora in vigore la vecchia liturgia ambrosiana, o Messa, che riporta indietro proprio all'età del grande Santo. Per alcuni aspetti mi piace più di quella romana". Milano è per Newman soprattutto la "città di sant'Ambrogio". Egli ripeterà, scrivendo ai suoi amici d'Inghilterra: "È una benedizione così grande quella di poter entrare, quando camminiamo per la città, nelle chiese - sempre aperte con larga e generosa gentilezza - piene di preziosi marmi da ammirare, di reliquiari, di immagini e di crocifissi, tutti disponibili al passante che voglia personalmente inginocchiarvisi accanto - dappertutto il SS. Sacramento, e abbondanti indulgenze".

"È meraviglioso andare nella chiesa di Sant'Ambrogio - dove si trova il suo corpo - e inginocchiarsi presso le sue reliquie, che sono state così portentose, e di cui io ho sentito e letto più che di ogni altro Santo fin da quando ero ragazzo. Sant'Agostino qui si è convertito! Qui venne anche santa Monica a cercarlo. Sempre qui, nel suo esilio, venne il grande Atanasio per incontrare l'Imperatore. Quanta tristezza quando dovrò partire!"; "Io non sono mai stato in una città che mi abbia così incantato - scriverà alla sorella l'ultimo giorno di permanenza a Milano: stare davanti alle tombe di grandi Santi come sant'Ambrogio e san Carlo e vedere i luoghi dove sant'Ambrogio ha respinto gli Ariani, dove santa Monica montò la guardia per una notte con la "pia plebs", come la chiama sant'Agostino, e dove lo stesso sant'Agostino venne battezzato. Le nostre più vecchie chiese in Inghilterra non sono nulla quanto ad antichità rispetto a quelle di qui, e a quel tempo le ceneri dei Santi sono state gettate ai quattro venti. È cosa così grande essere dove i "primordia", la culla, per così dire, del cristianesimo continuano ad esserci".

Per Newman dire il duomo è dire "il grande san Carlo", e di san Carlo egli parla diffusamente con i suoi corrispondenti, raccontando della sua vita e della sua morte, della sua estrema austerità, delle sue opere e del significato della sua azione nella Chiesa, che ben conosceva. Si intrattiene sulla "grandezza impressionante di san Carlo", che "fino ad oggi - dice - è proprio la vita" di Milano: "Nonostante ogni sorta di male, di genere politico o altri; nonostante la mancanza di fede e altri cattivi spiriti del giorno, c'è un'intensa devozione per san Carlo. E la disciplina del clero è sostenuta dalle sue norme in modo più esatto di quello che noi abbiamo trovato in Francia o di quanto lo sia a Roma"; "Tu vedi i suoi ricordi da ogni parte - il crocifisso che fece cessare la peste quando egli lo portò lungo le vie - la sua mitra, il suo anello - le sue lettere. Soprattutto le sue sacre reliquie: Ogni giorno si celebra la Messa presso la sua tomba. Egli fu suscitato per opporsi a quella terribile burrasca sotto la quale è caduta la povera Inghilterra, e come ai suoi giorni egli ha salvato il suo paese dal Protestantesimo e dai suoi mali collaterali, così noi stiamo tentando di fare qualche cosa per opporci a simili nemici della Chiesa in Inghilterra e quindi non posso che aver fiducia che egli farà qualche cosa per noi lassù, dove è potente, questo benché noi siamo da una parte delle Alpi e egli sia appartenuto all'altra. Così io confido, e la mia mente fu colma di lui, al punto che mi sono persino sognato di lui - e noi vi andiamo la maggior parte dei giorni e ci inginocchiamo presso le sue reliquie".

Ma a Milano Newman non visitò soltanto la chiesa di San Fedele, il duomo e Sant'Ambrogio. Abbiamo già ricordato l'accenno alla basilica di San Lorenzo. Ma egli parla anche della chiesa di San Satiro e di Sant'Eustorgio, dove assiste alla Messa solenne nella festa della Madonna del Rosario e che descrive come "un'ampia chiesa" che "contiene le reliquie di parecchi martiri, e piena di monumenti e cappelle.

Newman parla anche di "Monza, distante 12 miglia", dove "si trova la corona ferrea composta con uno dei chiodi che Costantino pose nel proprio diadema come uno dei chiodi della vera Croce, vi sono anche dei doni che papa Gregorio Magno inviò alla longobarda regina Teodolinda".

Nel soggiorno milanese Newman avrebbe desiderato incontrare Rosmini e Manzoni. A proposito di Rosmini scrive nella sua prima lettera da Milano: "Ci siamo trovati in mezzo agli amici di Rosmini, e siamo sorpresi di trovare quanto facciano i Rosminiani in queste parti (...). Abbiamo una missiva per Rosmini, che è comunque assente". Di fatto l'incontro non avverrà, e la ragione sembra a Newman piuttosto esile: "Rosmini è passato da Milano - è detto in una lettera del 18 ottobre - mi ha inviato un cortese messaggio, spiegando che non ci ha chiamati perché lui non sa parlare latino e io italiano [aah... sarà per questo che Rosmini considerava la liturgia in latino una delle cinque piaghe della Chiesa? Ma aggiungiamo subito che il buon Rosmini consigliava come rimedio non il vernacolo, ma l’uso di messalini tradotti, l’insegnamento del latino e la spiegazione delle cerimonie]. Non è sufficiente per spiegare la sua non chiamata. Ghianda ha una grande ammirazione per lui, come anche Manzoni. Vorremmo avere molto di più da dire di lui, ma non riesco a cogliere l'essenza della sua filosofia. Mi piacerebbe credere che tutto sia giusto, benché si abbiano dei sospetti".

Anche l'incontro con Manzoni non poté avvenire. "Non abbiamo visto Manzoni e credo che per questo egli sia anche più spiacente di noi. Non che a noi non dispiaccia, ma è una cosa così grande essere nella città di sant'Ambrogio". Di Manzoni Newman già conosceva I Promessi Sposi. In una lettera alla sorella Jemina scriveva di averne fatto una lettura deliziosa e in un'altra dirà di fra' Cristoforo: "Il Cappuccino nei "Promessi Sposi" ha conficcato nel mio cuore come una freccia".


Da L'Osservatore Romano del 26.3.2009, via Territorial Doctor

4 commenti:

  1. Quando i religiosi erano ancora sensibili alla bellezza, vettore principe del sacro.

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  2. Se Milano l'aveva così stupito, sarei curioso di sapere cosa disse di Firenze e di Roma...

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  3. Credo ci sia un errore a proposito di Rosmini.

    La frase originaria dovrebbe essere "non sa parlare INGLESE e io italiano".

    Difatti è noto che Rosmini non imparò mai l'inglese e anche quando scriveva ai confratelli e alle suore inglesi usava l'italiano (essendoci comunque membri italiano là per comprenderle e tradurle). Conosceva invece bene il tedesco, essendo nato a Rovereto, e come lingue classiche ebraico, greco e latino.

    La conoscenza del latino di Rosmini, che ne usava come fosse lingua materna, è testimoniata dall'epistolario, dove vi sono lettere scritte interamente in latino (p.es. al card. Hohenlohe), nonchè dei suoi libri i cui originali sono in latino (ad esempio, le costituzioni dell'Istituto della Carità).
    Ciò è riscontrabile negli originali presenti nell'archivio rosminiano di Stresa, riportanti correzioni manuali in latino di Rosmini ai medesimi testi da lui appunto scritti in quella lingua.

    Circa la chiosa della Redazione, faccio osservare che Rosmini non considerava come piaga l'uso del latino in sè, ma il fatto che tale lingua fosse in quel caso fonte di incomprensione da parte del popolo per le celebrazioni.
    La soluzione da lui proposta, come giustamente ricordato, era l'insegnamento al popolo delle parole della Messa tramite sussidi bilingui, catchesi e messalini, secondo un metodo da lui stesso (ma non solo, ovviamente) praticato, e che giungerà fino agli anni del Vaticano II.

    Quindi non è corretto dire che Rosmini ignorasse il latino, e tantomeno che da ciò traesse spunto per presentarne l'uso come piaga.

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  4. Purtroppo l'Osservatore romano resta visionabile on line solo il giorno di pubblicazione (ulteriore prova, se ve n'era bisogno, della incapacità della S. Sede con le comunicazioni sociali; e poi magari qualche pontificia commissione vuole scrivere sul tema una bella esortazione o fervorino che tanto nessuno legge... ma divaghiamo). Quindi non possiamo controllare l'originale; né abbiamo la copia cartacea del quotidiano (che, sempre per restare in tema, verrà venduto sì e no nelle edicole intorno al Vaticano).

    Però il sito da cui l'abbiamo preso dice: latino e, considerando che sarà un taglia e incolla dall'originale, riteniamo sia conforme alla fonte.

    Anche perché un britannico non si sarebbe mai aspettato, nella prima metà dell'Ottocento, che in Italia qualcuno conoscesse l'inglese, lingua allora reputata secondaria e magari barbarica (non dice Manzoni di Shakespeare, sia pure scherzando, "un barbaro non privo d'ingegno"?). Mentre il latino era, sicuramente, la lingua franca degli ecclesiastici.

    Che, poi, Rosmini il latino lo conoscesse benissimo... lo crediamo bene. Ma come sospetta Newman nella lettera riportata dall'Osservatore, forse Rosmini si inventa scuse per evitare l'incontro richiestogli dal futuro cardinale.

    Piccoli screzi tra beatificandi.

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