Leggiamo e vi proponiamo integralmente l'articolo di Giacomo Galezzi dal sito de LA STAMPA quotidiano di Torino.
Israele minaccia la rottura, ma il Papa: "Subito la piena comunione".
Si tratta con i lefebvriani: l'integrale accettazione del Concilio è il vero ostacolo di GIACOMO GALEAZZI
CITTA’ DEL VATICANO La data è prossima». L’ora X per riportare l’intera galassia lefebvriana in seno alla Chiesa doveva essere domani, festa della Purificazione di Maria. La controversia sui rapporti con l’ebraismo ha rallentato la corsa contro il tempo nei Sacri Palazzi, ma, nonostante «le resistenze interne e gli attacchi esterni», Oltretevere la strategia è quella di procedere a tappe forzate verso la piena comunione. Mentre si estendono dal Parlamento tedesco al Gran rabbinato di Francia le critiche per la revoca della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani (fra i quali il negazionista Richard Williamson), in Vaticano si lavora febbrilmente alla «piena regolarizzazione della Fraternità San Pio X». Benedetto XVI vuole quanto prima il ritorno nella Chiesa dei cinquecento sacerdoti ultratradizionalisti sospesi «a divinis» e dei loro 60 mila fedeli [?: per il card. Castrillòn Hoyos, nel discorso al CELAM, sono 600.000] sparsi in 159 priorati e 725 centri spirituali nel mondo. Nel «piano anti-scisma» era stata informalmente indicata la festa della Purificazione di Maria (2 febbraio) come «data chiave», ma il ristabilimento della piena comunione e la revoca delle sospensioni «a divinis» potrebbero richiedere un «chiarimento supplementare» fra la Santa Sede e la roccaforte di Econe, soprattutto sulla dichiarazione «Nostra Aetate» dedicata dal Concilio al dialogo con ebrei, musulmani e altre fedi. L’«integrale riconoscimento» del Vaticano II resta il nodo da sciogliere per il mediatore papale Darío Castrillón Hoyos. Una settimana fa, appena pubblicato il decreto a loro favore, il capo dei lefebvriani Bernard Fellay ha confermato «le riserve» sul Concilio. Accelerare i tempi della riabilitazione e definire lo status giuridico della «San Pio X» nella Chiesa (probabilmente come prelatura personale sul modello dell’Opus Dei) aiuterebbe la Santa Sede a disinnescare il mix esplosivo tra «residue divergenze» coi seguaci di Lefebvre e umori progressisti contrari alla riconciliazione. Ieri il teologo svizzero Hans Küng ha attaccato la «svolta conservatrice» e «l’atmosfera opprimente nella Chiesa» dovute al perdono accordato ai lefebvriani.Anche il cardinale francese Philippe Barbarin protesta per le scuse «assolutamente insufficienti» presentate da Williamson al Papa: «Non c’è stata alcuna ritrattazione da parte di chi ha negato la Shoah con dichiarazioni riprovevoli, scandalose, rivoltanti». E analoghe rimostranze sono arrivate nei Sacri Palazzi dall’episcopato svizzero, austriaco, tedesco e svedese. In Europa centrale e settentrionale, infatti, alla forte presenza lefebvriana si contrappongono vescovi particolarmente legati al Vaticano II. Quindi, non c’è tempo da perdere. A pochi giorni dall’«atto di paterna misericordia», il cardinale Castrillón Hoyos ha garantito al Pontefice di aver ottenuto dai vescovi scismatici l’impegno a «realizzare i passi necessari per la piena comunione» riconoscendo non solo l’autorità del Papa ma anche il Concilio. «Devono accettare i nostri nuovi rapporti con gli ebrei - spiega Norbert Hoffmann, segretario della Pontificia commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo -. Gli incontri, le conversazioni e le trattative servono proprio a far chiarezza». Adesso il passo che resta, precisa il cardinale Dionigi Tettamanzi, è «l’adesione a tutti i testi conciliari». L’ultimo passo per entrare in comunione con la Chiesa di Roma potrebbe essere più veloce di quanto lascerebbe pensare il clamore mondiale attorno alla vicenda. In Segreteria di Stato affiora l’esplicita intenzione di non lasciare aperta la questione troppo a lungo per non compromettere le relazioni con l’ebraismo, tanto più delicate in vista del viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa. Intanto il Papa si prepara ad accogliere nella piena comunione con Roma i 500 mila anglicani tradizionalisti che, in dissenso con l’Arcivescovo di Canterbury, hanno sottoscritto il catechismo cattolico.
Una curiosità.
RispondiEliminaGli anglicani tradizionalisti che si apprestano a tornare in comunione con Roma, continueranno ad usare il "Book of Common Prayer" tal quale, in edizione corretta o qualche altro Messale?
I problemi teologici non sembrano indifferenti, gravidi come sono si secoli di storica avvversione: il Book nacque anticattolico, lo è ancora?
Il Book of common prayer è stato protestantizzato dall'Arcivescovo Cranmer. Ma in realtà la riforma, per essere meglio "digerita" dai fedeli (ah, se avessero fatto altrettanto negli anni '70!) fu graduale e lenta. Per un bel pezzo nell'Inghilterra elisabettiana si continuò a pregare in latino.
RispondiEliminaSpiace dirlo: ma tolte le opzioni, queste sì, meno in linea con la tradizione, la Holy Eucharistic degli anglicani, almeno nella High Church, assomiglia al rito tridentino più di quanto non faccia la nostra nuova Messa.
Quindi non ci sono soverchi problemi in proposito. Tra l'altro alcuni piccoli gruppi che, in America, hanno già raggiunto Roma ai tempi di Giovanni Paolo II sotto il regime della "pastoral provision" continuano a fruire del diritto all'uso del Book of Common Prayer; anche se ignoro se si avvalgano concretamente di quel diritto.
C'è una bella differenza tra Prelatura personale e Amministrazione Apostolica. preghiamo affinché il Papa e Mons. Fellay trovino un accordo che vada bene per tutti.
RispondiEliminaMons. fellay in un'intervista del 2001 disse che Roma gli aveva proposto un'Amministrazione Apostolica. Per quale motivo oggi dovrebbe proporre una Prelatura? L'Amministrazione Apostolica è molto più di una semplice Prelatura. Chissà quali sono le fonri del giornalista de "La Stampa".
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