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martedì 13 dicembre 2022

Genova. Uscito il decreto sulla Messa tradizionale in città. I fedeli dovranno "rimborsare" le spese. #traditioniscustodes

Riceviamo dall'Associazione "S. Alberto Magno" (il coetus genovese per la Messa tradizionale in città) e volentieri pubblichiamo per dare ufficiale notizia del cambio di chiesa a Genova.
L'arcivescovo ha spostato la S. Messa tradizionale dall'abbazia di S. Stefano (via XX settembre) nell'oratorio di S. Antonio abate alla Marina (ogni domenica e festa di precetto). 
Il decreto consta di due pagine, più un regolamento (facentene parte integrante) che disciplina, tra le altre cose, anche i rapporti tra il gruppo stabile e la Confraternita di S. Antonio e di S. Giacomo delle Fucine (proprietaria dell'Oratorio). 
Sappiamo che
l'iter è stato travagliato e c'è stato il rischio di peggiori decisioni (e comprendiamo per ciò il tono soddisfatto del coetus) ma, letti i documenti, ci rammarica apprendere che i fedeli tradizionalisti debbano - pur giustamente e con buon senso - provvedere alle spese della tenuta dell'oratorio.
Davvero non c'era un'altra chiesa della diocesi o di una delle tante parrocchie del centro storico genovese (il più grande d'Europa!) che non costringesse i fedeli a mettere mano al portafoglio se non per la questua (magari anche generosa)? 
In questo modo i fedeli della liturgia tradizionale, nonostante la "cura pastorale" proclamata dall'arcivescovo, sono discriminati rispetto ai fedeli della Messa di Paolo VI (che, come noto, non devono contribuire in maniera esplicita e disciplinata da regolamenti, alle spese di gestione della parrocchia/chiesa/oratorio, etc. che frequentano).
Roberto
*
di Guido Ferro Canale, Presidente

Con la diffusione del Decreto Arcivescovile 4 dicembre 2022, in corso di pubblicazione sulla “Rivista Diocesana”, si conclude il percorso relativo all'applicazione del m.p. “Traditionis

Custodes” nell'Arcidiocesi di Genova.

il Decreto 

Il documento emanato dalla Curia Arcivescovile di Genova si compone di due atti distinti, un decreto e un regolamento. Quest'ultimo (ordo, in latino), ai sensi del can. 95, reca le norme “che devono essere osservate nei convegni di persone... come pure in altre celebrazioni”, quanto “alla costituzione, alla conduzione e al modo di agire”, mentre il decreto singolare è l'atto amministrativo con cui si applica la legge, prendendo decisioni relative ad una situazione concreta (cfr. can. 48), in questo caso su come dovrà essere applicato, nell'Arcidiocesi, il m.p. “Traditionis Custodes”. Perciò qui il decreto fissa i punti principali e il regolamento delinea le regole di dettaglio.

La prima scelta è quella fondamentale, che si fa notare in modo particolare proprio perché non viene neppure espressa: queste celebrazioni devono proseguire, e proseguire sine die. Non vi è mai stato dubbio, ci ha assicurato con forza il Vescovo Ausiliare (ora eletto di Rimini) all'incontro del 2, che noi facciamo parte integrante dell'unica Chiesa diocesana, a pieno titolo. In questo senso, possiamo aggiungere, non è mai stato in programma un “esame di adesione al Concilio”, né una “rieducazione al Novus Ordo”, né alcuna delle peggiori creature partorite dalla malevolenza di troppi all'indomani del m.p. “Traditionis Custodes”. E io credo che ciò si debba al fatto che l'Arcivescovo, oltre a non avere pregiudizi, sa bene quanto don Paolo Romeo abbia lavorato per tenere i fedeli lontani da tentazioni antiche o recenti, “lefebvriane” o “minutelliane”.

La seconda scelta è consequenziale a quanto appena detto: non essendovi uno spirito di ostilità, ma un atteggiamento equanime, viene confermato l'essenziale, cioè che la S. Messa avrà luogo ogni Domenica o festa di precetto, demandando al Delegato gli eventuali casi ulteriori.

La terza scelta, di applicare la legge e non concedere la dispensa richiesta dai fedeli per restare in Parrocchia, avrebbe a mio avviso meritato qualche riga di motivazione, almeno per opportunità... ma in concreto ha condotto ad individuare uno dei pochi luoghi di culto non parrocchiali che, in città, soddisfino i requisiti fondamentali: facilità di accesso, poca o punta concorrenza con altre funzioni (è officiato tre volte l'anno), capienza, buona volontà dei proprietari. L'orario, opportunamente rimesso alle decisioni esecutive, è rimasto quello già invalso in precedenza, che si è dimostrato adatto anche alle famiglie con bambini, che alle nostre Messe non mancano mai.

Il resto del decreto non fa che applicare il diritto universale: nomina il Delegato, ne descrive i compiti pressapoco negli stessi termini del m.p., ricorda che ci sono alcune funzioni che il can. 530 riserva ai Parroci e quindi non rientrano nei compiti del Delegato stesso (essenzialmente, Battesimi, Matrimoni e funerali, che infatti si fanno quasi sempre in Parrocchia), infine demanda ad atti successivi l'autorizzazione dei celebranti. Sarà bene arrivare ad avere almeno un sostituto già pronto e con le carte in regola per p. Stefano, per ogni evenienza; ma, nel frattempo, egli prosegue il prezioso ministero assunto con generosità allorché don Paolo è caduto malato, forte oggi come allora dell'autorizzazione personale, ancorché concessa solo a voce, dell'Arcivescovo.

il Regolamento

Il regolamento si segnala anzitutto per la durata annuale, opportuna trattandosi dell'avvio di una nuova relazione tra più soggetti. La bozza pubblicata conteneva, per la verità, un meccanismo di tipo “contrattuale”, cioè la possibilità di disdetta per ciascuna delle parti, ma esso aveva destato la perplessità del Parroco e perciò era stato modificato già prima dell'incontro del 2 (lo abbiamo saputo perché egli ha appreso della modifica mentre, a nostro beneficio, il Cancelliere leggeva il testo già cambiato). Quindi, le modifiche dovranno avvenire mediante provvedimento dell'Autorità, staremo a vedere se l'Arcivescovo o, come mi sembra più probabile, il Delegato.

Per gli aspetti liturgici, il regolamento non aggiunge molto al decreto. L'esclusione del Triduo Pasquale è forse il punto che più segna una cesura rispetto al tempo di don Paolo (ma anche alla disciplina anteriore, dove i coetus vi avevano diritto, ai sensi del n. 33 dell'Istruzione “Universae Ecclesiae”). A quanto abbiamo potuto capire, non sembra che sia dettata dallo stesso errore presente, ad es., nel decreto per Roma cioè dalla convinzione che sia ormai vietato celebrarlo: pesano piuttosto difficoltà specifiche, come la tendenziale impossibilità per p. Stefano di provvedere anche a quest'impegno e il fatto che la Confraternita ospite dovrà, in quei giorni, partecipare ai riti parrocchiali. Analogo pare il discorso per la vigilia di Natale.

Apprezzabile la scelta di delineare con precisione le incombenze della Confraternita, anche se su alcuni punti, come l'allestimento dell'altare, la collaborazione è necessaria e, sono lieto di poter aggiungere, già fruttuosamente instaurata; contrariamente a quanto devono aver supposto gli estensori, il coetus dispone anche di paramenti propri e perciò la previsione sullo spazio in sacrestia, già di per sé saggia, si è rivelata veramente provvidenziale. Di tutti i punti del regolamento, il n. 7 è quello che con maggiore probabilità vedremo di modificare, di qui ad un anno, per tenere conto dell'applicazione concreta; ma intanto costituisce un buon punto di partenza.

L'aspetto economico – al di là del richiamo al principio “chi rompe paga” per il caso di danni al patrimonio artistico, timore comprensibile perché in Oratorio si trova, per vari motivi, una dotazione ricca anche per gli standard italiani – è stato regolato in termini molto sensati: l'uso del luogo sacro in quanto tale è gratuito, ma sorge un dovere di concorrere alle maggiori spese che esso comporta per la Confraternita. Al riguardo vorrei chiarire, perché molti non lo sanno, che le Parrocchie beneficiano del sostegno dell'8 per mille, ma le Confraternite non vi accedono, salvo che non presentino
progetti specifici come ad es. il restauro del proprio Oratorio, o di un organo, etc. Sono associazioni pubbliche, istituzionalmente deputate all'incremento del culto, e come tali svolgono la propria attività in nome della Chiesa; ma non “sono” la Chiesa nello stesso senso di una Diocesi o di una Parrocchia, da esse ci si aspetta – almeno in prima battuta – che camminino con le proprie gambe. Anche i coetus, in effetti, per lo scopo che perseguono sono Confraternite, o meglio lo sarebbero se venissero eretti canonicamente dai Vescovi; in un certo senso svolgono una missione di supplenza e riparatrice, perché l'onore della Divina Maestà è troppo spesso trascurato; sono ancor più lontani dalle forme istituzionali di sostegno; ma se incontrano una Confraternita propriamente detta e si trovano con essa uniti nella volontà di accrescere lo splendore del culto, la collaborazione è naturale quanto l'identità di fini e, soprattutto, il comune amore che fa dire, con il Salmista, “Domine, dilexi decorem domus Tuae”.

Rispetto all'idea del contributo fisso, che pare fosse stata ispirata da informazioni alquanto vaghe sulla “generosità” dei fedeli, la flessibilità sta consentendo e, anzi, ha già consentito di collaborare in varie forme, specialmente le prestazioni dirette: una fedele che lascio anonima solo perché non perda il suo frutto presso Dio sta realizzando le tovaglie per le balaustre, che purtroppo mancavano; un'altra ha offerto ostie e vino per la S. Messa dell'Immacolata; una piccola squadra si è presentata, questo sabato, per la pulizia e anche per individuare piccole riparazioni, ove occorressero; e di sicuro sto tralasciando qualcuno. Sono piccoli passi, ma iniziano un cammino.

È tempo di bilanci e si può dire che, ripercorrendo il passato e commentando il presente, io già ne abbia tracciato uno. Per me, le luci prevalgono di gran lunga sulle ombre: il coetus non solo è sopravvissuto, ma si trova in condizione di poter prosperare. Certo, gli spazi non sono quelli grandiosi di S. Stefano e al momento sembra difficile l'organizzazione di conferenze; il servizio all'altare dovrà prendere confidenza con le dimensioni di un presbiterio assai più ridotto; sono necessari tanti piccoli apporti, in parte già elencati nelle considerazioni svolte, in parte forse non ancora emersi, e bisognerà anche capire i limiti recisi imposti dai vincoli artistici etc. etc. però, in tutto questo credo che si debba vedere una serie di opportunità, più che di problemi: opportunità di servire Dio, di far conoscere o riscoprire il rito tridentino a persone prima lontane da questa realtà, di restituire alla celebrazione regolare dei Santi Misteri un luogo di culto insigne per storia, bellezza e patrimonio di devozione.

Genova, 12 dicembre 2022

                                                                                                               Avv. Guido Ferro Canale
Associazione “S. Alberto Magno O.P.
Presidente



13 commenti:

  1. Tutto capito. Per ringraziare la comunità genovese di aver evitato la “tentazione lefebvriana”, è stata vietato di ricevere gli altri sacramenti nella forma antica e di celebrare il Triduo Sacro. Sono inquilini nella chiesa di qualcun altro e potrebbero essere cacciati dai proprietari in qualsiasi momento. Così nella nuova chiesa della misericordia.

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  2. Sempre messi da parte....sempre soggiogati ...sempre discriminati....Ma questa non doveva essere la Chiesa della misericordia??

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  3. L'anonimo precedente coglie nel segno: mazzuolati, costretti a pagare per la Messa e il sacerdote, appesi a un filo... E anche contenti...mah... Ma se l'incarico di celebrare viene dato dall'ordinario, non tocca alla Diocesi retribuito? Mons Ganabano viene retribuito per l'incarico ricevuto? Celebra lui o altri? Se celebra lui probabilmente il tutto rientra nel compenso che la diocesi dovrebbe dargli. Se non celebra lui, chi celebra? Non ci sono nomi nel decreto, a parte un don Stefano citato nel commento. Chi è questo? Non pare il delegato drl decreto... Non si chiama Stefano...

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  4. Non capisco quale sia il problema. La diocesi cerca di accomodare un pugno di fedeli che hanno la pretesa di avere un luogo per dirsi messa per i fatti loro perché troppo delicati ed acculturati per andare a messa in parrocchia come tutti, impegnando anche un sacerdote sottratto ad altri impegni.
    Si chiede di contribuire alle utenze…scoppia lo scandalo sul webbe d’area!

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    1. Si informi. Lo ERANO in parrocchia, di s. Stefano e sono stati fatti accomodatevi...fuori. legga prima di scrivere

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    2. "Non capisco"

      Lo sappiamo.

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    3. Ho letto, ma non erano “in parrocchia”, ma usavano la parrocchia per fare i loro riti. Esattamente come i neocat su queste pagine ampiamente criticati per lo stesso motivo.

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  5. in tutte le parrocchie i parrocchiani sostengono le spese ordinarie (pulizie, luce, gas, sacrestano...) e straordinarie (adeguamenti tecnici e strutturali, ristrutturazioni, migliorie...).
    Ci sono cristiani di serie B che sostengono le chiese in cui pregano e cristiani di serie A che pensano di esserne esentati?

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    1. ma cosa sta dicendo???
      Ma si è mai visto che ai parrocchiani si chiede di partecipare alle bollette, alla pulizia e all'assicurazione della Chiesa? I fedeli partecipano con la questua (che è libera e volontaria).

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    2. Mi spiace per lei che forse non conosce molto le parrocchie. Se le parrocchie dovessero vivere della sola questua sarebbero già chiuse quasi tutte. Ha la vaga idea di quale sia l'impatto dell'aumento delle risorse energetiche sui costi di una parrocchia? Mediamente siamo di fronte ad un aumento di costi di varie decine di migliaia di euro per parrocchia. Per non parlare della dimensione strutturale delle chiese, contratti di manutenzione, adeguamenti strutturali...
      I parrocchiani partecipano in mille forme: con offerte straordinarie finalizzate, con lasciti testamentari e svariate altre forme.
      Se pensa di poter tenere aperta, calda, in ordine e custodita una chiesa per anni con la questua domenicale (libera e facoltativa) ci provi...

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    3. Guardi, abbiamo idea sì, eccome!!!
      Ma lei non ha letto il post o non ha capito il senso del mio commento.
      Lei dice il vero, quando parla di contributi da parte dei fedeli con offerte straordanarie, eredità o legati, donazioni, ecc. A Genova, se avesse letto il post lo avrebbe appreso: si chiede una partecipazione diretta e obbligatoria alle spese di manutenzione ordinaria dell'oratorio (luce, assicurazione, pulizia, ecc). Oltre alla offerta per il prete (diocesano).
      Ovviamente, essendo l'oratorio una proprietà privata di una confraternita, è giusto che chi lo usa (siano fedeli, siano associazioni culturali per concerti ecc) contribuiscano alle spese).
      Ma il nostro discorso riguardava un altro punto di vista, che le deve essere sfuggito: possibile che nel centro storico non ci fossero altre chiese diocesane in cui non si chiede in maniera esplicita (con tanto di scrittura privata tra le parti...) il rimborso spese assunto quale onere da parte dei fedeli tradizionali?
      I casi sono due: o non ha letto il post (che diceva quanto sopra) o fa finta di non capire la disparità di trattamento.
      Cordialità

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  6. Son lacci e laccioli che dicono chiaramente ,anche se non esplicitamente ,che questa messa è invisa a chi (quasi) tutto puote.Poi ci sono i servitori zelanti,che godono, nel recepire certe direttive.Zelanti ,purtroppo per loro,solo nel fare del male.

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