Il decreto consta di due pagine, più un regolamento (facentene parte integrante) che disciplina, tra le altre cose, anche i rapporti tra il gruppo stabile e la Confraternita di S. Antonio e di S. Giacomo delle Fucine (proprietaria dell'Oratorio).
Sappiamo che l'iter è stato travagliato e c'è stato il rischio di peggiori decisioni (e comprendiamo per ciò il tono soddisfatto del coetus) ma, letti i documenti, ci rammarica apprendere che i fedeli tradizionalisti debbano - pur giustamente e con buon senso - provvedere alle spese della tenuta dell'oratorio.
Davvero non c'era un'altra chiesa della diocesi o di una delle tante parrocchie del centro storico genovese (il più grande d'Europa!) che non costringesse i fedeli a mettere mano al portafoglio se non per la questua (magari anche generosa)?
Custodes” nell'Arcidiocesi di Genova.
il Decreto
Il documento emanato dalla Curia Arcivescovile di Genova si compone di due atti distinti, un decreto e un regolamento. Quest'ultimo (ordo, in latino), ai sensi del can. 95, reca le norme “che devono essere osservate nei convegni di persone... come pure in altre celebrazioni”, quanto “alla costituzione, alla conduzione e al modo di agire”, mentre il decreto singolare è l'atto amministrativo con cui si applica la legge, prendendo decisioni relative ad una situazione concreta (cfr. can. 48), in questo caso su come dovrà essere applicato, nell'Arcidiocesi, il m.p. “Traditionis Custodes”. Perciò qui il decreto fissa i punti principali e il regolamento delinea le regole di dettaglio.
La seconda
scelta è consequenziale a quanto appena detto: non essendovi uno spirito di
ostilità, ma un atteggiamento equanime, viene confermato l'essenziale, cioè che
la S. Messa avrà luogo ogni Domenica o festa di precetto, demandando al
Delegato gli eventuali casi ulteriori.
La terza
scelta, di applicare la legge e non concedere la dispensa richiesta dai fedeli
per restare in Parrocchia, avrebbe a mio avviso meritato qualche riga di
motivazione, almeno per opportunità... ma in concreto ha condotto ad
individuare uno dei pochi luoghi di culto non parrocchiali che, in città,
soddisfino i requisiti fondamentali: facilità di accesso, poca o punta concorrenza
con altre funzioni (è officiato tre volte l'anno), capienza, buona volontà dei
proprietari. L'orario, opportunamente rimesso alle decisioni esecutive, è
rimasto quello già invalso in precedenza, che si è dimostrato adatto anche alle
famiglie con bambini, che alle nostre Messe non mancano mai.
Il resto del
decreto non fa che applicare il diritto universale: nomina il Delegato, ne
descrive i compiti pressapoco negli stessi termini del m.p., ricorda che ci
sono alcune funzioni che il can. 530 riserva ai Parroci e quindi non rientrano
nei compiti del Delegato stesso (essenzialmente, Battesimi, Matrimoni e
funerali, che infatti si fanno quasi sempre in Parrocchia), infine demanda ad
atti successivi l'autorizzazione dei celebranti. Sarà bene arrivare ad avere
almeno un sostituto già pronto e con le carte in regola per p. Stefano, per
ogni evenienza; ma, nel frattempo, egli prosegue il prezioso ministero assunto
con generosità allorché don Paolo è caduto malato, forte oggi come allora
dell'autorizzazione personale, ancorché concessa solo a voce, dell'Arcivescovo.
il Regolamento
Il regolamento
si segnala anzitutto per la durata annuale, opportuna trattandosi dell'avvio di
una nuova relazione tra più soggetti. La bozza pubblicata conteneva, per la
verità, un meccanismo di tipo “contrattuale”, cioè la possibilità di disdetta
per ciascuna delle parti, ma esso aveva destato la perplessità del Parroco e
perciò era stato modificato già prima dell'incontro del 2 (lo abbiamo saputo
perché egli ha appreso della modifica mentre, a nostro beneficio, il
Cancelliere leggeva il testo già cambiato). Quindi, le modifiche dovranno
avvenire mediante provvedimento dell'Autorità, staremo a vedere se
l'Arcivescovo o, come mi sembra più probabile, il Delegato.
Per gli
aspetti liturgici, il regolamento non aggiunge molto al decreto. L'esclusione
del Triduo Pasquale è forse il punto che più segna una cesura rispetto al tempo
di don Paolo (ma anche alla disciplina anteriore, dove i coetus vi
avevano diritto, ai sensi del n. 33 dell'Istruzione “Universae
Ecclesiae”). A quanto abbiamo potuto capire, non sembra che sia dettata
dallo stesso errore presente, ad es., nel decreto per Roma cioè dalla
convinzione che sia ormai vietato celebrarlo: pesano piuttosto difficoltà
specifiche, come la tendenziale impossibilità per p. Stefano di provvedere
anche a quest'impegno e il fatto che la Confraternita ospite dovrà, in quei
giorni, partecipare ai riti parrocchiali. Analogo pare il discorso per la
vigilia di Natale.
Apprezzabile
la scelta di delineare con precisione le incombenze della Confraternita, anche
se su alcuni punti, come l'allestimento dell'altare, la collaborazione è
necessaria e, sono lieto di poter aggiungere, già fruttuosamente instaurata;
contrariamente a quanto devono aver supposto gli estensori, il coetus
dispone anche di paramenti propri e perciò la previsione sullo spazio in
sacrestia, già di per sé saggia, si è rivelata veramente provvidenziale. Di
tutti i punti del regolamento, il n. 7 è quello che con maggiore probabilità
vedremo di modificare, di qui ad un anno, per tenere conto dell'applicazione
concreta; ma intanto costituisce un buon punto di partenza.
L'aspetto
economico – al di là del richiamo al principio “chi rompe paga” per il caso di
danni al patrimonio artistico, timore comprensibile perché in Oratorio si
trova, per vari motivi, una dotazione ricca anche per gli standard italiani – è
stato regolato in termini molto sensati: l'uso del luogo sacro in quanto tale è
gratuito, ma sorge un dovere di concorrere alle maggiori spese che esso
comporta per la Confraternita. Al riguardo vorrei chiarire, perché molti non lo
sanno, che le Parrocchie beneficiano del sostegno dell'8 per mille, ma le
Confraternite non vi accedono, salvo che non presentino progetti
specifici come ad es. il restauro del proprio Oratorio, o di un organo,
etc. Sono associazioni pubbliche, istituzionalmente deputate all'incremento del
culto, e come tali svolgono la propria attività in nome della Chiesa; ma non “sono”
la Chiesa nello stesso senso di una Diocesi o di una Parrocchia, da esse ci si
aspetta – almeno in prima battuta – che camminino con le proprie gambe. Anche i
coetus, in effetti, per lo scopo che perseguono sono Confraternite, o
meglio lo sarebbero se venissero eretti canonicamente dai Vescovi; in un certo
senso svolgono una missione di supplenza e riparatrice, perché l'onore della
Divina Maestà è troppo spesso trascurato; sono ancor più lontani dalle forme
istituzionali di sostegno; ma se incontrano una Confraternita propriamente
detta e si trovano con essa uniti nella volontà di accrescere lo splendore del
culto, la collaborazione è naturale quanto l'identità di fini e, soprattutto,
il comune amore che fa dire, con il Salmista, “Domine, dilexi decorem domus
Tuae”.
Rispetto
all'idea del contributo fisso, che pare fosse stata ispirata da informazioni
alquanto vaghe sulla “generosità” dei fedeli, la flessibilità sta consentendo
e, anzi, ha già consentito di collaborare in varie forme, specialmente le prestazioni
dirette: una fedele che lascio anonima solo perché non perda il suo frutto
presso Dio sta realizzando le tovaglie per le balaustre, che purtroppo
mancavano; un'altra ha offerto ostie e vino per la S. Messa dell'Immacolata;
una piccola squadra si è presentata, questo sabato, per la pulizia e anche per
individuare piccole riparazioni, ove occorressero; e di sicuro sto tralasciando
qualcuno. Sono piccoli passi, ma iniziano un cammino.
È tempo di bilanci e si
può dire che, ripercorrendo il passato e commentando il presente, io già ne
abbia tracciato uno. Per me, le luci prevalgono di gran lunga sulle ombre: il coetus
non solo è sopravvissuto, ma si trova in condizione di poter prosperare. Certo,
gli spazi non sono quelli grandiosi di S. Stefano e al momento sembra difficile
l'organizzazione di conferenze; il servizio all'altare dovrà prendere
confidenza con le dimensioni di un presbiterio assai più ridotto; sono
necessari tanti piccoli apporti, in parte già elencati nelle considerazioni
svolte, in parte forse non ancora emersi, e bisognerà anche capire i limiti
recisi imposti dai vincoli artistici etc. etc. però, in tutto questo credo che
si debba vedere una serie di opportunità, più che di problemi: opportunità di
servire Dio, di far conoscere o riscoprire il rito tridentino a persone prima
lontane da questa realtà, di restituire alla celebrazione regolare dei Santi
Misteri un luogo di culto insigne per storia, bellezza e patrimonio di
devozione.
Genova, 12
dicembre 2022
Tutto capito. Per ringraziare la comunità genovese di aver evitato la “tentazione lefebvriana”, è stata vietato di ricevere gli altri sacramenti nella forma antica e di celebrare il Triduo Sacro. Sono inquilini nella chiesa di qualcun altro e potrebbero essere cacciati dai proprietari in qualsiasi momento. Così nella nuova chiesa della misericordia.
RispondiEliminaSempre messi da parte....sempre soggiogati ...sempre discriminati....Ma questa non doveva essere la Chiesa della misericordia??
RispondiEliminaL'anonimo precedente coglie nel segno: mazzuolati, costretti a pagare per la Messa e il sacerdote, appesi a un filo... E anche contenti...mah... Ma se l'incarico di celebrare viene dato dall'ordinario, non tocca alla Diocesi retribuito? Mons Ganabano viene retribuito per l'incarico ricevuto? Celebra lui o altri? Se celebra lui probabilmente il tutto rientra nel compenso che la diocesi dovrebbe dargli. Se non celebra lui, chi celebra? Non ci sono nomi nel decreto, a parte un don Stefano citato nel commento. Chi è questo? Non pare il delegato drl decreto... Non si chiama Stefano...
RispondiEliminaNon capisco quale sia il problema. La diocesi cerca di accomodare un pugno di fedeli che hanno la pretesa di avere un luogo per dirsi messa per i fatti loro perché troppo delicati ed acculturati per andare a messa in parrocchia come tutti, impegnando anche un sacerdote sottratto ad altri impegni.
RispondiEliminaSi chiede di contribuire alle utenze…scoppia lo scandalo sul webbe d’area!
Si informi. Lo ERANO in parrocchia, di s. Stefano e sono stati fatti accomodatevi...fuori. legga prima di scrivere
Elimina"Non capisco"
EliminaLo sappiamo.
Ho letto, ma non erano “in parrocchia”, ma usavano la parrocchia per fare i loro riti. Esattamente come i neocat su queste pagine ampiamente criticati per lo stesso motivo.
Eliminain tutte le parrocchie i parrocchiani sostengono le spese ordinarie (pulizie, luce, gas, sacrestano...) e straordinarie (adeguamenti tecnici e strutturali, ristrutturazioni, migliorie...).
RispondiEliminaCi sono cristiani di serie B che sostengono le chiese in cui pregano e cristiani di serie A che pensano di esserne esentati?
ma cosa sta dicendo???
EliminaMa si è mai visto che ai parrocchiani si chiede di partecipare alle bollette, alla pulizia e all'assicurazione della Chiesa? I fedeli partecipano con la questua (che è libera e volontaria).
Mi spiace per lei che forse non conosce molto le parrocchie. Se le parrocchie dovessero vivere della sola questua sarebbero già chiuse quasi tutte. Ha la vaga idea di quale sia l'impatto dell'aumento delle risorse energetiche sui costi di una parrocchia? Mediamente siamo di fronte ad un aumento di costi di varie decine di migliaia di euro per parrocchia. Per non parlare della dimensione strutturale delle chiese, contratti di manutenzione, adeguamenti strutturali...
EliminaI parrocchiani partecipano in mille forme: con offerte straordinarie finalizzate, con lasciti testamentari e svariate altre forme.
Se pensa di poter tenere aperta, calda, in ordine e custodita una chiesa per anni con la questua domenicale (libera e facoltativa) ci provi...
Guardi, abbiamo idea sì, eccome!!!
EliminaMa lei non ha letto il post o non ha capito il senso del mio commento.
Lei dice il vero, quando parla di contributi da parte dei fedeli con offerte straordanarie, eredità o legati, donazioni, ecc. A Genova, se avesse letto il post lo avrebbe appreso: si chiede una partecipazione diretta e obbligatoria alle spese di manutenzione ordinaria dell'oratorio (luce, assicurazione, pulizia, ecc). Oltre alla offerta per il prete (diocesano).
Ovviamente, essendo l'oratorio una proprietà privata di una confraternita, è giusto che chi lo usa (siano fedeli, siano associazioni culturali per concerti ecc) contribuiscano alle spese).
Ma il nostro discorso riguardava un altro punto di vista, che le deve essere sfuggito: possibile che nel centro storico non ci fossero altre chiese diocesane in cui non si chiede in maniera esplicita (con tanto di scrittura privata tra le parti...) il rimborso spese assunto quale onere da parte dei fedeli tradizionali?
I casi sono due: o non ha letto il post (che diceva quanto sopra) o fa finta di non capire la disparità di trattamento.
Cordialità
Son lacci e laccioli che dicono chiaramente ,anche se non esplicitamente ,che questa messa è invisa a chi (quasi) tutto puote.Poi ci sono i servitori zelanti,che godono, nel recepire certe direttive.Zelanti ,purtroppo per loro,solo nel fare del male.
RispondiEliminaSoldi ben spesi!
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