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martedì 22 novembre 2022

Echi (pre)tridentini in gastronomia. I maccheroni alla bobbiese di San Colombano

Il 23 Novembre, oltre a S. Clemente, la Chiesa ricorda S. Colombano (e l'orso che gli cedette la grotta), irlandese ma sepolto nella nostra Bobbio (PC). Nel giorno che precede la sua festa proponiamo questo gustoso post.
Luigi

Liana Marabini, La Nuova Bussola Quotidiana, 13-09-2022

Tra i più grandi evangelizzatori dell’Europa, l’irlandese san Colombano si stabilì alla fine della sua vita in Italia, a Bobbio, fondandovi un celebre monastero. Per un periodo visse in Francia, sui Vosgi, dove la tradizione lega la sua storia a quella di un orso.

 Solengo si guardò intorno, meravigliato della bellezza del luogo e felice di essere lì. La grande sala delle feste era addobbata e illuminata con centinaia di candele. Tutti gli ospiti indossavano abiti eleganti, tranne un gruppetto di uomini vestiti da monaci. Il giovane si domandò cosa facessero lì. Il lungo tavolo sistemato sotto una parete affrescata era carico di prelibatezze. I padroni di casa diedero il benvenuto agli ospiti, informandoli del fatto che quella cena festiva era stata organizzata in onore di un monaco molto speciale e dei suoi confratelli. Solengo capì finalmente chi erano quegli uomini, che a lui parevano così fuori luogo, con il loro saio grezzo e la loro aria modesta.

Siamo nel 612, al castello di Bobbio. La cena è offerta dal re dei Longobardi, Agilulfo, e da sua moglie Teodolinda. I monaci sono Colombano e i suoi confratelli, appena arrivati in città, dopo una missione molto speciale: la grande opera diplomatica di pacificazione fra i Longobardi.

Ad un segno della regina un gruppo di servi porta altri vassoi, carichi di carni arrostite: sono uccelli cacciati quella mattina stessa dal re e dai suoi invitati. Il profumo degli arrosti invade la sala. Gli uccelli arrostiti sono posati davanti ai monaci, i quali li guardano, ma non si muovono. La regina pensa di fare bene, ma ignora il fatto che, anche se non è venerdì, quegli uomini hanno una regola ben precisa di sobrietà e povertà e che non possono mangiare quelle squisite preparazioni. Colombano si alza in piedi e spiega con un sorriso timido che potranno mangiarli solo dopo averli benedetti. La regina dà il consenso. Colombano alza la mano e fa una preghiera. La cacciagione si trasforma sotto gli occhi attoniti dei presenti in bellissimi pani bianchi, in forma di colomba: è così che nasce la colomba tradizionale di Pasqua. Il monaco sorride e afferma che adesso possono mangiare. Il re e la regina e tutti i presenti si alzano e chiedono la benedizione, cosa che Colombano fa volentieri.

La regina decise di dare loro il territorio di Bobbio per costruire un’abbazia (sarebbe poi diventata l’Abbazia di San Colombano, vedi foto). Colombano aveva fatto un lungo viaggio prima di arrivare lì.

Nato attorno al 540 nel Regno di Leinster (Irlanda centro-orientale), era attratto dalla cultura fin da piccolo. Imparò presto a leggere e scrivere e fu attratto dalle arti liberali: lettere, grammatica, retorica, geometria. Amava le Sacre Scritture. Come gli altri giovani si occupava inoltre dei lavori della famiglia (allevamento del bestiame, conciatura delle pelli, caccia e pesca) e apprese anche a cavalcare e ad usare l’arco e la spada. Ma, anche se viveva in famiglia, con il suo clan, nel villaggio, sentiva sempre più forte l’attrazione per una vita semplice, lontana dalle lusinghe del mondo.

Colombano si rese conto con precisione della propria vocazione un giorno in cui incontrò una donna consacrata a Dio. Parlando con lei, definì meglio ciò che sentiva e comprese il suo desiderio di servire il Signore e di dedicare a Lui la sua vita. Aveva 15 anni quando decise di farsi monaco. Dirlo alla famiglia, che aveva altri piani per lui, fu difficile. La madre si oppose con tutte le sue forze e cercò di impedirgli in ogni modo di uscire di casa ma lui fu irremovibile. Si recò al monastero di Cleenish Island, dove perfezionò lo studio delle Sacre Scritture e apprese il latino. Terminati gli studi, si trasferì presso l’abbazia di Bangor, nell’Irlanda del Nord, dove, sotto la guida dell’abate Comgall, si praticava una stretta disciplina. Qui, entrando nella comunità monastica, si dedicò alla preghiera e alla mortificazione corporale. Oltre a pregare, si applicava nello studio di numerosi codici e pergamene. Bangor era una cittadella monastica che nel massimo splendore arrivò ad accogliere fino a tremila monaci.

Dopo aver trascorso molti anni nell’abbazia, Colombano rivelò all’abate il desiderio di intraprendere la vita missionaria e di lasciare Bangor e la terra irlandese. L’abate, che voleva ritirarsi e lasciare il monastero nelle mani di Colombano, cercò di fargli cambiare idea, ma davanti a tanto zelo missionario diede la sua benedizione, non prima di avere riunito tutti i monaci in preghiera per Colombano e per i confratelli che avevano deciso di unirsi a lui nella missione.

Iniziò così per Colombano, attorno ai cinquant’anni, la peregrinatio pro Domino. Il santo si faceva pellegrino missionario per fondare altri nuclei religiosi e monasteri, evangelizzando e diffondendo la fede e la cultura cristiana. La disciplina di vita era rigidissima: silenzio, preghiera, lavoro, mortificazioni e frequenti digiuni (anche per la scarsità di cibo). Colombano e i suoi monaci conducevano una vita solitaria, eppure la loro fama di santità si diffuse ben rapidamente nelle zone circostanti, ispirando molti giovani che avevano vocazione.

Nella regione montuosa dei Vosgi, in Francia, dove si era stabilito per un periodo, Colombano aveva preso l’abitudine di andare in una grotta per pregare. Il luogo era abitato da un grande orso bruno che lasciò però la grotta all’eremita. Una sorgente cominciò a sgorgare nelle vicinanze, dissetando Colombano. L’orso bruno è un animale simbolo per san Colombano.

Viaggiando dall’Irlanda alla Francia e alla Svizzera, Colombano arrivò finalmente in Italia, nel 612. Dal momento della cena con cui comincia il nostro racconto, avrebbe vissuto ancora tre anni. Nella Quaresima del 615 Colombano si ritirò nell’eremo di San Michele presso Coli, lasciando a Bobbio come suo vice il discepolo Attala e tornando al monastero solo alla domenica.

Ormai vicino alla fine dei suoi giorni, ricevette la visita di Eustasio (suo discepolo e poi successore alla guida del monastero di Luxeuil), latore di una richiesta del re Clotario II che, ormai unico signore dei tre regni merovingi precedentemente esistenti, desiderava il suo ritorno in Francia. Ormai troppo vecchio e stanco per rimettersi in viaggio, Colombano morì a Bobbio, all’età di 75 anni, il 23 novembre del 615. Fu seppellito nella cripta dell’abbazia, dove ancora oggi riposa accanto agli abati suoi successori: Attala, Bertulfo, Bobuleno e Cumiano.

Per tutta la sua vita Colombano ha fatto ciò per cui era venuto al mondo: pregare, predicare, fondare monasteri e diffondere il Verbo. Le sue vicende ci sono note principalmente grazie a una straordinaria fonte a lui vicina nel tempo: la Vita redatta dal suo discepolo Giona. Ma la sua storia è molto più ricca e più complessa di quanto un articolo come il nostro possa esprimere. Ciò che dobbiamo ritenere è che Colombano, globe-trotter della fede, è stato uno dei più grandi evangelizzatori dell’Europa.

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