Decimo incontro sulla Controstoria del movimento liturgico del M° Aurelio Porfiri.
Qui i precedenti nove.
Roberto
La questione della lingua liturgica:
Johann Michael Sailer (1751-1834)
Una delle questioni più importanti che hanno riguardato la liturgia e la sua riforma fu quella della lingua liturgica. In effetti gran parte delle definizioni della Messa in rito antico la definiscono, anche se impropriamente, “Messa in latino”. È vero che essa è in latino, ma è anche vero che per sè nulla vieta che una Messa novus ordo sia in latino. Comunque, la questione della lingua liturgica è stata ed è di prima importanza per quello che riguarda la riforma della liturgia. Si occupò di questo il teologo e pedagogista tedesco Johann Michael Sailer (1). Fu sacerdote gesuita fino alla soppressione dell’ordine, e divenne anche Vescovo di Ratisbona. Ad un certo punto della sua carriera, nel 1797, fu anche licenziato da una scuola per un motivo alquanto singolare, cioè perché sembrava avesse delle simpatie per la setta degli Illuminati. La sua opera fondamentale in campo pedagogico è Über Erziehung für Erzieher.
Una valutazione sostanzialmente positiva dell’influenza del Sailer sullo sviluppo della liturgia la dà don Claudio Magnoli nelle sue dispense per un corso di liturgia: “Mentre la situazione liturgica generale rimane fortemente statica sul versante della prassi celebrativa e decisamente povera sul versante delle prese di posizioni magisteriali, dobbiamo segnalare, accanto al già accennato pensiero di Rosmini – che non ha avuto modo di approfondirsi - altri fatti che ormai unanimemente sono segnalati dagli storici come «prodromi» di una rinascita di interesse per la liturgia e come «premesse» alla nascita di un vero e proprio Movimento Liturgico. Si tratta anzitutto del «risveglio teologico» del sec. XIX sul versante dell’ecclesiologia. Tra gli autori più significativi si possono citare il vescovo di Regensburg Johann Michael Sailer (1751-1832), il teologo moralista Johann Baptist von Hirscher (1788-1865), Markus Adam Nickel (1800-1869) e soprattutto Adam Johann Möhler (1796-1838) con le due opere L’unità nella Chiesa (1825) e Simbolica o esposizione delle antitesi dogmatiche tra cattolici e protestanti secondo i loro scritti confessionali pubblici (1832). Questi teologi, salvo forse il Nickel, non sono direttamente interessati alla liturgia e non le dedicano grande spazio nei loro scritti. Essi però, recuperando la ricchezza della tradizione biblico - patristica, tentano di superare una visione solo giuridica e istituzionale della Chiesa per attingere alla sua dimensione teologica più profonda, quella di essere un organismo vivo e sacramentale. La loro riflessione, che avvia un rinnovamento ecclesiologico che giungerà a maturazione solo al concilio Vaticano II, risulterà così preziosa anche sul versante liturgico. Essi aprono infatti la strada per ricollocare il culto cristiano al cuore stesso della vita della Chiesa e per superare le categorie puramente giuridiche ed esteriori con cui la scienza teologica del tempo definiva il fatto liturgico-cultuale” (2). Insomma, il nostro teologo viene considerato come un anticipatore del Concilio Vaticano II, usando categorie ermeneutiche che sono ben presenti a chi si occupa del rinnovamento della liturgia nel secolo passato e ai suoi problemi.
Una valutazione sostanzialmente positiva dell’operato del Sailer viene data da Remigius Stölzle: “L'età in cui visse Sailer fu dominata dall'"Illuminismo", che nella sua forma radicale contestava i dogmi fondamentali del cristianesimo, ed era caratterizzata da esteriorità, disprezzo per la mistica cristiana, mondanità del clero, degradazione del pulpito per il trattamento dei temi secolari, allentamento della disciplina ecclesiastica, negazione del primato della giurisdizione papale, sforzi dello Stato per ottenere il controllo della Chiesa, riforme turbolente all'interno della Chiesa e una formazione unilaterale della mente nell'educazione. In opposizione a queste tendenze distruttive Sailer è venuto a difendere la fede in Cristo e nei principi fondamentali del cristianesimo, lottando per un cristianesimo interiore, vivo, pratico, per una fede che dovrebbe manifestarsi nella carità, per il mantenimento della pietà (misticismo cristiano), e per la formazione di un clero pio e intelligente. Insisteva anche che il pulpito fosse riservato esclusivamente alla predicazione del Vangelo e che i vescovi fossero in unione con il papa; sostenne il primato della giurisdizione pontificia, e difese la libertà e i diritti della Chiesa contro le usurpazioni dello Stato. Egli desiderava ardentemente la riforma ecclesiastica, non però attraverso organismi non autorizzati, ma dagli organi preposti della Chiesa; ed esigeva che l'educazione mirasse a formare sia la mente che la volontà. Sailer ha lavorato per l'ideale cristiano con la sua personalità vincente, con le sue espressioni come insegnante, parroco e predicatore e con le sue numerose opere di carattere filosofico, teologico, devozionale e biografico” (3).
Ma dicevamo del problema della lingua liturgica. Ci serviamo di un testo del cardinale Walter Brandmüller pubblicato nel 2002 e riproposto di recente nel blog Settimo cielo del giornalista Sandro Magister. Ecco un passaggio: “Fino al Concilio Vaticano II, del messale latino-tedesco del benedettino Anselm Schott sono state fatte ben 67 (!) edizioni. Attraverso quel libro, generazioni di cattolici hanno imparato a conoscere, vivere e amare la liturgia della Chiesa. Ciononostante, quanti si oppongono oggi al latino come lingua della liturgia continuano instancabilmente a obiettare che, a parte i pochi che sanno il latino, nessuno la comprende. Questa argomentazione ha una storia, perlomeno a partire dall'Illuminismo. Quasi contemporaneamente, però, si confrontò con quella stessa argomentazione anche Johann Michael Sailer, ritenuto uno tra i personaggi più importanti per il superamento degli eccessi dell'Illuminismo nella Germania cattolica. Certamente anche Sailer auspica una liturgia in tedesco. Al tempo stesso, però, ritiene evidente che in fondo la questione della lingua liturgica non è decisiva, poiché “la messa ha una lingua fondamentale, una lingua madre, che non è né il latino né il tedesco, né l'ebraico né il greco; in breve: non è una lingua fatta di parole". Sailer individua questa lingua fondamentale della messa nella espressione totale della religione. Lo afferma nel 1819, ma il suo è ancora adesso un punto di vista molto moderno; oggi si parla di comprensione complessiva, che è molto di più della semplice comprensione razionale e rispetto a essa penetra in strati più profondi dell'uomo. Se nella vita e in tutto l'aspetto esteriore dell'uomo la celebrazione liturgica viene vissuta come autentica espressione totale della religione, allora – sostiene Sailer – la lingua non è più così importante. Piuttosto, è molto più importante che “chiunque voglia riformare la funzione religiosa pubblica, inizi col formare sacerdoti illuminati, santi". La comprensione vera, complessiva della liturgia – e ciò vale anche per la realtà in assoluto – non è solo un processo intellettuale. La persona, in fondo, non è fatta solo di ragione e volontà, ma anche di corpo e sensi. Quindi, se di una liturgia celebrata in un linguaggio sacrale non si comprende ogni singolo testo – escludendo naturalmente le letture bibliche e l'omelia –, comunque l'intero evento, il canto, le suppellettili, i paramenti e il luogo sacro, ogni qual volta danno adeguata espressione alla celebrazione, toccano in modo molto più diretto la dimensione profonda dell'uomo di quanto possano fare le parole comprensibili. Diversamente che ai tempi di Sailer, oggi ciò è molto più semplice, poiché chi assiste alla messa conosce già la struttura del rito e i testi che ricorrono nella liturgia, perciò quando partecipa a una messa in latino sa abbastanza di che cosa si tratta”. Credo sia molto importante questa riflessione perché è proprio qui, sul terreno della comprensione che si gioca la battaglia di tanti rinnovatori. Persone che riducono il rito ad un’esperienza puramente di decodificazione semantica, senza tenere conto nella dovuta maniera, e malgrado la loro continua enfasi nell’importanza delle nuove scienze, del ruolo fondamentale di quella partecipazione olistica all’atto di culto. Se il comprendere il “cosa” di quello che viene celebrato può essere rilevante, non di meno qualifica quel “cosa” non solo come il significato si palesa, ma come il significante lo presenta, tenendo presente che stiamo parlando di un atto sacro e non di un gesto dal sapore quotidiano.
Quindi, la riflessione sulla lingua liturgica va fatta in un senso molto più ampio di quello della mera decodifica concettuale, che del resto paradossalmente anche la celebrazione nelle lingue vernacolari non assicura, come una esperienza decennale ci insegna.
(1) Per i dati biografici faccio riferimento alla voce di Giovanni Calò del 1936 sulla Treccani.
(2) MAGNOLI, Claudio (2012). Introduzione teologico-storica alla liturgia (dispense). Milano: FTIS/ISSR.
(3) STÖLZLE, R. (1912). Johann Michael Sailer. In The Catholic Encyclopedia. New York: Robert Appleton Company. Retrieved December 13, 2021 from New Advent: http://www.newadvent.org/cathen/13328a.htm
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