Una approfondita riflessione di un caro amico su un libro appena uscito e sulla 71° Settimana Liturgica Nazionale svoltasi a Cremona nei giorni scorsi.
Anziani curatori fallimentari di una Chiesa in disarmo: "La nostra impressione è che se questi rimangono i capisaldi del pensiero e della riflessione progressista non solo la Messa antica – nonostante le persecuzioni – ha ed avrà un futuro, ma la marginalità e il declino della liturgia riformata continuerà inesorabile. Il Covid vi ha solo impresso una accelerazione".
Luigi
Su Vatican Insider è comparsa la segnalazione di un recente volume curato dal liturgista Damiano Passarin, prefato da uno dei primi e più fieri nemici di Summorum Pontificum, il liturgista salesiano Manlio Sodi, dal titolo Ordinamento Generale del Messale Romano. Incurante delle generali critiche dei sacerdoti, in particolare sulla orrenda iconografia che correda la terza edizione in lingua italiana del Messale uscita quest’anno, tutta centrata sulla figura umana, il testo di Passarin ne tesse le lodi affermando subito che esso non può e non deve essere «un manuale da osservare puntigliosamente». In sostanza, il libro liturgico è soltanto una traccia, un filo conduttore modificabile a piacere, in esso si trovano riassunti rito e teologia, forma e contenuto e, pertanto, «il clima e la scaturigine di ogni creatività». Proprio in queste teorie, insegnate da decenni in tutti i seminari del mondo, sta l’essenza e la radice della decadenza e della dissoluzione della liturgia, della drastica riduzione della partecipazione alle Messe domenicali, aggravata dal Covid e destinata a non essere più recuperata. La liturgia non è più «l’esercizio dell’ufficio sacerdotale di Cristo e della sua Chiesa» (Mediator Dei) né la ripresentazione del Sacrificio di Cristo ma, semplicemente, «l’andare all’assemblea celebrante » dove «si manifesta il mistero della Chiesa».
Sono i concetti che sono risuonati in questi giorni, sempre più stancamente, alla 71° settimana liturgica nazionale svoltasi a Cremona introdotti dal messaggio di papa Francesco che ha lamentato come la liturgia, che dovrebbe essere , secondo Sacrosantum Concilium, fons et culmen della vita cristiana, stia ormai «inesorabilmente precipitando » verso una marginalità sempre più diffusa. Secondo il Santo Padre, la soluzione si troverebbe nelle terza edizione del Messale Romano e nella volontà dei vescovi «di accompagnarla con una robusta ripresa della formazione liturgica del popolo santo di Dio». Insomma, dopo cinquant’anni di una cura somministrata al paziente senza miglioramenti, non si pensa, come farebbe il buon medico, di correggerla o di sostituirla ma di somministragliene dosi ancor più massicce, probabilmente, come è sotto gli occhi di tutti, letali.
In una cattedrale di Cremona in procinto di essere massacrata dall’«adeguamento liturgico» voluto dal vescovo Antonio Napolioni - che ha condotto senza tregua una guerra insensata e oseremmo dire senza misericordia contro i fedeli legati alla Messa antica – e ridotta, per l’occasione, a sala convegni dove troneggia in presbiterio il tavolo dei relatori che rivolgono le spalle allo splendido vecchio altare spoglio più che il Venerdì Santo, si sono svolti i lavori e dispensate, da parte di liturgisti onusti di incarichi e di titoli accademici, quanto poveri di fedeli, le ricette per risolvere la situazione.
La prolusione di apertura è stata offerta da mons. Franco Giulio Brambilla, uno dei 61 teologi italiani che nel 1989, in adesione ad un documento dei colleghi tedeschi, sottoscrissero – c’era pure Enzo Bianchi - una dichiarazione di fuoco contro le «spinte regressive» e le «involuzioni» del papato di Giovanni Paolo II e dell’allora cardinale Joseph Ratzinger. Il quale, diventato Benedetto XVI, con una magnanimità che nel suo successore al Soglio petrino non vedremo mai, lo nominò nel 2007 vescovo di Novara. Per Brambilla i cristiani si riuniscono per celebrare nel nome del Signore (la cui festa dopo il concilio è stata ridotta a memoria facoltativa) essendo la liturgia «azione di riconoscimento della presenza salutare di Cristo nel grembo orante della Chiesa» in cui si spezza il pane e si condivide il calice riconoscendo che Gesù è il Signore, un’ affermazione quest’ultima che, considerato il vituperio che da parte progressista dovette subire Dominus Jesus, non è affatto scontata ; il sacro poi non andrebbe demonizzato ma semmai «assunto e purificato» e inoltre che «ogni ferita al rito è una ferita al corpo della Chiesa». Tuttavia, per il vescovo di Novara due sarebbero i pericoli da evitare : la spettacolarizzazione chiassosa ( di abusi non si parla essendo il Messale soltanto una indicazione ) e, naturalmente, la «sacralizzazione estetizzante» propria dei i veri nemici - mai citatati con il loro nome e cioè i tradizionalisti – la cui caratteristiche sarebbero la solita «rigidità personale» e la loro ovvia «povertà culturale» . La liturgia riformata dovrebbe invece essere contraddistinta da «bellezza, ministerialità e forme espressive» con citazione finale del teologo calvinista Jean Jacques von Allmen : « avessimo noi lo splendore della liturgia cattolica». Quello splendore che, diciamo invece noi, avevamo ed è andato perduto.
Il liturgista torinese Paolo Tomatis ha ripercorso la congerie di documenti sulla liturgia prodotti dalla Cei dagli Anni Settanta ad oggi con i relativi «slogans» e che, anche per i presenti, ma sicuramente per i fedeli, sono rimasti tutti lettera morta . Andiamo così dall’«assemblea ritrovata», alla «riforma in cammino», alla «fedeltà all’assemblea», all’«assemblea sacramento», all’«andare sempre oltre» il Messale, all’«elogio delle differenze» etc. Se nel frattempo, in questo mezzo secolo, le chiese si sono svuotate, non importa, poiché rispetto ad altri continenti «noi siamo figli di un’altra storia». Quindi nessuna autocritica, bisogna continuare ad educare il popolo alla bellezza della riforma liturgica. La conclusione è scontata e scoraggiante insieme : occorre «riscoprire l’ecclesialità, avere sensibilità celebrativa nella unità e pluralità delle figure assembleari». Provocatoriamente, si sarebbe potuto chiedere se Traditionis Custodes rientri in questa linea di accoglienza delle pluralità.
L’arcivescovo Gianpiero Palmieri, vicegerente di Roma, ha colto nelle conseguenze del Covid come rimanga inalterata «la fede nella bontà della vita» e la domanda di senso alla quale bisogna però rispondere senza «rigidità» e soprattutto senza cadere nell’«identitarismo».
La liturgista torinese Morena Baldacci ha osservato come le assemblee liturgiche dei giorni nostri siano segnate dall’invecchiamento dei fedeli più impegnati, dalla «tristezza delle assemblee», dal fatto che i frequentatori dei corsi di liturgia «spadroneggiano e litigano fra di loro» e segnalando il pericolo che le nuove ministerialità producano, come già avviene, dei «padroni della liturgia». Verrebbe voglia di ricordare all’amabile ex religiosa di origini abbruzzesi che nel Vetus Ordo tutti comprendono immediatamente e istintivamente come in esso il Padrone sia Uno e soltanto Uno . Tutto questo mentre «le comunità avvizziscono» e aumentano i «praticanti occasionali in cerca della bellezza». Il rimedio starebbe nell’inventare «nuovi stili di festeggiare», non perdere la creatività ma, soprattutto, lottare contro ogni «ripiegamento nostalgico» e ogni approccio «intimista e passatista» consapevoli che «l’attenzione alle rubriche è idolatrico». I tempi sono difficili ma di essi dobbiamo essere grati al Signore perché oggi la liturgia può diventare il «luogo dell’artigianato» in cui si può sperimentare…ma senza esagerare. C’è da chiedersi se non si sia ormai completamente fuori della realtà.
Dall’insieme delle relazioni della settimana liturgica di Cremona e dal suo uditorio composto da liturgisti, animatori liturgici, operatori pastorali, attempate religiose e da qualche vescovo dormiente, tutti cioè appartenenti agli addetti ai lavori e perciò in qualche modo beneficiati del «sistema», si possono trarre varie conclusioni. I relatori più avvertiti si rendono conto che la liturgia, così come oggi vissuta e celebrata, è entrata in una crisi senza uscita, ma non sanno o non vogliono risalire alle vere cause, delle quali la prima – ma non la sola - è la centralità e la preminenza dell’assemblea che ha sostituito l’orientazione orante a Dio. In tutti gli interventi si ripropone una sorta di «via media» impossibile tra fedeltà al testo e creatività per cui continuerà la lamentata - ma anche esaltata - «diversità liturgica» e cioè il «fai da te» delle assemblee che è insito nel Novus Ordo, caratterizzato come ebbe a dire il cardinale Siri , da un pervasivo vel,vel,vel, . Citatissimo dai vescovi lungo tutto il convegno, - e non poteva essere diversamente - è stato il loro teorico e ideologo Andrea Grillo, in particolare dall’arcivescovo Palmieri secondo il quale deve rimanere ben fermo l’invito del grande ispiratore di Traditionis Custodes allorquando afferma come in ogni celebrazione eucaristica vadano superati l’individualismo e la contemplazione per passare invece all’azione. Il famigerato motu proprio di papa Francesco è stato espressamente citato una sola volta – incidentalmente – dal liturgista Angelo Lameri secondo cui esso non svaluta o misconosce la Tradizione ma – incredibile! - proibendo la celebrazione del Vetus Ordo, la ricomprende nel Novus Ordo. Insistiti sono stati i richiami alla necessità di riscoprire la bellezza del rito nella cura dell’ ars celelebrandi per giungere infine ad uno «stile contemplativo» che, diciamo noi, è l’essenza della Messa antica. Le conclusioni sono state tratte dal vescovo di Crema Daniele Gianotti che ha rinnovato l’invito alla fedeltà ai libri liturgici ma aggiungendo poi che in fondo occorre non fare altro che « continuare a celebrare così come ora» , magari impegnandosi un po' di più nello studio dei Praenotanda del Messale . La sua immancabile citazione di Andrea Grillo è stata quella dove egli scrive che nelle nostre assemblee liturgiche si è ancora «troppo seri, troppo forti, troppo rigidi». Sulle conseguenze del Covid, si sono soffermati in molti. Don Paolo Carrara, del clero di Bergamo, ne ha individuata, fra le altre, una positiva : la diffusione della terza formula del Sacramento della Riconciliazione, quella della confessione e della assoluzione generale dei peccati verso la quale occorre superare ogni residua perplessità.
La nostra impressione è che se questi rimangono i capisaldi del pensiero e della riflessione progressista non solo la Messa antica – nonostante le persecuzioni – ha ed avrà un futuro, ma la marginalità e il declino della liturgia riformata continuerà inesorabile. Il Covid vi ha solo impresso una accelerazione.
Michele Di Pietro
Beh, rifilare ai poveri fedeli un vescovo come Brambilla non mi sembra proprio un "atto di magnanimità" da parte di Papa Benedetto XVI, no?...
RispondiEliminaUno dei principali grandi problemi della Santa Chiesa sono stati sempre, dal Vaticano II ad oggi, i vescovi vaticansecondisti rifilati puntualmente con grande "magnanimità" da tutti i Papi 'conciliari' ai fedeli nella stragrande maggioranza delle Diocesi del mondo, poveri fedeli che se li sono dovuti sorbire venendo - molti - rovinati spiritualmente da loro.
don Andrea Mancinella