"A Pinerolo il vescovo ha deciso di sospendere le messe per due settimane. Lei farà lo stesso a Torino e Susa?
«No, perché l’Eucaristia è il centro della vita e della fede cristiana, non ha alternative e non può essere sostituita da null’altro. Se le chiese possono rimanere aperte e si può celebrare, si celebra»."
Luigi
L’arcivescovo Nosiglia: sospendere le messe? No, le celebreremo finché si potrà
Corriere della Sera, 11.11.20
di Gabriele Guccione
Arcivescovo Cesare Nosiglia, il Piemonte è zona rossa e Torino paga uno dei prezzi più alti di questa seconda ondata di coronavirus. Ci si è fatti cogliere impreparati?
«Mi pare che il problema non sia solo del Piemonte ma di tutta Italia, e di gran parte dell’Europa».
Le chiusure stanno mettendo in ginocchio migliaia di famiglie e lavoratori. Che cosa si deve fare?
«È il momento di avere coraggio. Bisogna lottare uniti sul fronte dell’emergenza, e dunque applicare ogni possibile forma di solidarietà».
La Chiesa lo sta facendo?
«La Chiesa si è sempre trovata ad affrontare situazioni di emergenza; si potrebbe dire che se le va a cercare. Il Vangelo ci invita a fare attenzione ai segni dei tempi, e cioè a essere capaci di riconoscere i più bisognosi, dedicando loro quell’attenzione che nessun altro è pronto a dare».
E come?
«La pandemia c’è per tutti, e anche i nostri servizi caritativi devono fare i conti con il pieno rispetto delle misure di sicurezza e con i limiti delle nostre forze. L’impegno è al massimo anche perché, come si stringono intorno a noi le maglie del contagio, diventano anche più vicine le persone bisognose».
Caritas e parrocchie sono in prima linea nel dare aiuto ai più colpiti dalla crisi. Lo saranno ancora di più?
«In tutto il mondo domenica si celebra la giornata dei poveri voluta da papa Francesco. A Torino abbiamo preparato una distribuzione straordinaria di aiuti alimentari in borgo San Paolo: vuole essere il segno di come vorremmo operare in tutto il territorio».
E la politica torinese che cosa dovrebbe fare?
«In questo momento non deve far cadere quella progettualità per una nuova Torino su cui, da più parti, si è cominciato a ragionare».
La città di domani, quella che dipenderà anche dall’esito delle prossime elezioni...
«Il mio appello è a costruire uno spirito di vera collaborazione fra le istituzioni, il mondo imprenditoriale e le forze della cultura e del sociale per riannodare fin da adesso i fili di un progetto per Torino e il suo territorio. È questo l’unico modo che abbiamo per uscire davvero dall’emergenza: progettare un futuro».
Il giorno di tutti i Santi lei ha chiesto che i cappellani siano fatti entrare negli ospedali. Ci sono luoghi dove non vengono fatti avvicinare?
«Sì, purtroppo. Ci sono preti e diaconi disponibili, ma in alcuni reparti non abbiamo potuto essere vicini a tutti i malati. Spero che sia possibile risolvere al più presto questo problema, per portare almeno una parola di conforto».
In alcuni ospedali le chiese sono state riempite di brandine per i malati di Covid. Che effetto le ha fatto vedere quelle immagini?
«È giusto usare tutti gli spazi disponibili per l’emergenza, se questa è un’esigenza temporanea».
Qual è il prezzo in termini di vite umane pagato dalla Chiesa torinese?
«Un religioso è morto all’inizio della pandemia. E molti altri preti e diaconi sono passati attraverso il contagio. Il nostro lavoro ci espone a più situazioni di rischio, ma questo significa prima di tutto che abbiamo il dovere di adottare le precauzioni necessarie».
A Pinerolo il vescovo ha deciso di sospendere le messe per due settimane. Lei farà lo stesso a Torino e Susa?
«No, perché l’Eucaristia è il centro della vita e della fede cristiana, non ha alternative e non può essere sostituita da null’altro. Se le chiese possono rimanere aperte e si può celebrare, si celebra».
C’è un episodio che più d’altri l’ha colpita in questi mesi?
«Un giorno sono andato a trovare in ospedale una catechista ammalata che aveva chiesto di incontrarmi. A un certo punto si è strappata la maschera dell’ossigeno, voleva dirmi qualcosa e non ce la faceva a farsi capire. Il medico l’ha ripresa: “Signora, deve tenerla, ne va della sua vita”. Allora lei mi ha guardato con un sorriso e stentatamente ha detto: “Ma in questo momento il vescovo è il mio ossigeno…”. Siamo rimasti tutti senza parole. Dopo quindici giorni è morta, ma il suo ricordo e le sue parole mi sono rimaste impresse».