A Sua Ecc.za Rev.ma
Mons. Matteo Zuppi
Arcivescovo di Bologna
Pubblica professione di fede in forma di giuramento
I. Premessa.
Eccellenza,
non Le ho mai nascosto le mie perplessità nei confronti
dell'Esortazione Amoris laetitia: perplessità condivise con autorevoli
personalità della Chiesa, Cardinali e Vescovi, soprattutto con il Suo Predecessore.
Mai mi sarei sognato di esternare questi dubbi se anche queste
personalità non si fossero pronunciate in modo analogo.
Inoltre, preliminarmente, dichiaro di sottoporre al giudizio
della Chiesa quanto contenuto in questo scritto, ed intendo fin d'ora per
ritrattato tutto ciò che di contrario alla fede - del tutto involontariamente -
io eventualmente affermassi.
1.
Grande confusione
nella Chiesa
Nuovi fatti sono sopraggiunti da allora: e mentre, appellandosi
all'esortazione vien messa in discussione Humane vitae, mentre alcuni
Vescovi si sono dichiarati favorevoli a benedire la convivenza di persone con
tendenza omosessuale, pure sono state presentate le Indicazioni sul capitolo
VIII dell'Amoris Laetitia, a firma de I Vescovi dell'Emilia Romagna,
pubblicate il 15-1-2018; non riesco a vedere come detto documento non
costituisca un allontanamento da quanto proposto a credere dalla Chiesa, in
modo chiarissimo, fino a pochi anni fa.
2.
Sviluppo omogeneo
del dogma
Certamente è possibile uno sviluppo omogeneo del dogma: San
Tommaso d'Aquino, nello spiegare la definizione "La fede è sustanza di
cose sperate, ed argomento delle non parventi"[3], insegna
che il termine sostanza va inteso come primo cominciamento di tutto ciò
che a partire da quello stesso principio è esplicitabile, in quanto in esso
virtualmente contenuto: "… si suole chiamare sostanza il primo elemento di
qualsiasi cosa, specialmente quando tutto lo sviluppo successivo è contenuto
virtualmente in quel primo principio"[4].l
Quindi la fede da un lato è immutabile - in quanto
partecipazione nell'intelletto umano della Verità prima - e da un altro può esplicitarsi.
Infatti "l'oggetto formale della fede è unico e semplice, non essendo che
la prima verità, come sopra abbiamo dimostrato. Perciò da questo lato la fede
non ha variazioni nei credenti, ma è in tutti della medesima specie"[5]; non di
meno, quoad nos, la fede può crescere, man mano che lo Spirito ci guida nella
Verità tutta intera (e˙n thØv
aÓlhqei÷aˆ pa¿shØ; Gv 16,13).
Spiega San Tommaso: "…le verità materialmente proposte a credere sono
molteplici: e possono essere accolte in maniera più o meno esplicita. E da
questo lato un uomo può credere esplicitamente più cose di un altro. Perciò in
uno può esserci una fede più grande in base all'esplicitazione dei dogmi"[6]. E in
questo senso avanza il progresso dogmatico della Chiesa.
Ma uno sviluppo omogeneo non può ammettere contraddizione,
perché le conclusioni non possono essere contraddittorie con le premesse: il
Card. Caffarra così insegnava:
"…il grande tema dell’evoluzione della dottrina, che ha sempre accompagnato il pensiero cristiano… è stato ripreso in maniera splendida dal beato John Henry Newman. Se c’è un punto chiaro, è che non c’è evoluzione laddove c’è contraddizione. Se io dico che s è p e poi dico che s non è p, la seconda proposizione non sviluppa la prima ma la contraddice. Già Aristotele aveva giustamente insegnato che enunciare una proposizione universale affermativa (e. g. ogni adulterio è ingiusto) e allo stesso tempo una proposizione particolare negativa avente lo stesso soggetto e predicato (e. g. qualche adulterio non è ingiusto), non si fa un’eccezione alla prima. La si contraddice. Alla fine, se volessi definire la logica della vita cristiana, userei l’espressione di Kierkegaard: ‘Muoversi sempre, rimanendo sempre fermi nello stesso punto’" [6 bis].
3.
Affermazioni
contraddittorie
Purtroppo constatiamo che la divisione tra i Pastori verte
su due affermazioni contraddittorie, cioè delle quali se è vera l'una, l'altra è falsa.
(a)
non è mai lecito a due
persone non sposate compiere gli atti propri degli sposi
(b) qualche volta è lecito a due persone non sposate compiere gli
atti propri degli sposi
L'ammissione dei fratelli divorziati (civilmente risposati e
conviventi more uxorio) alla S. Comunione presuppone che si ritenga vero
(b), e porta inevitabilmente a conclusioni inaccettabili per ogni buon
cristiano: il Suo venerato Predecessore, infatti, in occasione di un importante
convegno svoltosi a Roma, nel novembre 2015[7], rispondendo
a una domanda circa la possibilità di ammettere i suddetti fratelli alla
ricezione dell’Eucarestia, ci diceva che ciò "non è possibile": e
questo perché "una tale ammissione vorrebbe dire cambiare la dottrina del
matrimonio, della Eucarestia, della confessione, della Chiesa sulla sessualità
umana e quinto, avrebbe una rilevanza pedagogica devastante, perché di fronte a
una tale decisione, specialmente i giovani, potrebbero concludere
legittimamente: - allora è proprio vero, non esiste un matrimonio indissolubile
-"[8].
4.
Amore e devozione
per il Santo Padre.
Di fronte alle problematiche
sopra descritte, che mi fanno vedere nella Chiesa di oggi lo stato della Figlia
di Sion descritta nelle Lamentazioni (non Le nascondo che ritengo
che il Card. Caffarra sia morto di crepacuore, per il dolore dovuto allo stato
della Chiesa), voglio innanzi tutto rinnovare la mia devozione a Papa
Francesco, sempre facendo mie - conservate le debite distanze - le parole del
Suo Predecessore, al cui sentire mi attengo scrupolosamente:
"Desideriamo innanzi tutto rinnovare la nostra assoluta dedizione ed il nostro amore incondizionato alla Cattedra di Pietro e per la Vostra augusta persona, nella quale riconosciamo il Successore di Pietro ed il Vicario di Gesù: il "dolce Cristo in terra", come amava dire S. Caterina da Siena. Non ci appartiene minimamente la posizione di chi considera vacante la Sede di Pietro, né di chi vuole attribuire anche ad altri l'indivisibile responsabilità del "munus" petrino"[9].
E proprio per questa devozione al Romano Pontefice e per
quell'idea che ho appreso circa il suo ministero, mi aspetto ancora dal Vicario
di Cristo la risposta ai dubia dei Cardinali. San Tommaso spiega
chiaramente i principi per cui è lecito aspettarsi un chiarimento dottrinale
inequivocabile da parte del Papa, onde eliminare ogni pericolo di scisma:
"…Ecco perché il Signore disse a Pietro, che aveva costituito Sommo Pontefice: "Io ho pregato per te, o Pietro, affinché la tua fede non venga meno; e tu, quando sarai convertito, conferma i tuoi fratelli". E la ragione di ciò sta nel fatto che la Chiesa deve avere un'unica fede, secondo l'ammonimento di S. Paolo: "Dite tutti la stessa cosa, e non ci siano tra voi degli scismi". Ma questo non si può osservare se, quando sorge una questione di fede, non viene determinata da chi presiede su tutta la Chiesa, in modo che la sua decisione sia accettata dalla Chiesa intera con fermo consenso"[10].
Oggi, quanto l'Aquinate affermava in ipotesi - ovvero il non
potersi osservare che tutti abbiamo la stessa fede e che non ci sono scismi - sembra
essere un dato di fatto; che cosa possiamo fare se, pur essendo sorta una questione
di fede, questo chiarimento - che in questi casi è doveroso chiedere e
ragionevole attendersi - non arriva? Se detta
questione non viene determinata dal Papa, mediante indicazioni certissime,
anche da un punto di vista formale (sicché l'obbligo e la misura dell'assenso richiesto
possano dedursi inequivocabilmente "dal carattere dei documenti, o
dall'insistenza nel proporre una certa dottrina, o dalla maniera di esprimersi"[11]), viene
buona un'altra raccomandazione del Card. Caffarra:
"Ai fedeli cattolici così confusi circa la dottrina della fede riguardo al matrimonio dico semplicemente: leggete e meditate il Catechismo della Chiesa Cattolica nn. 1601-1666. E quando sentite qualche discorso sul matrimonio, anche se fatto da sacerdoti, vescovi, cardinali, e verificate che non è conforme al Catechismo, non ascoltateli. Sono ciechi che conducono altri ciechi"[12].
Sulla base di quanto sopra, in questo doloroso frangente,
non mi rimane altro che confessare la dottrina cattolica certa, dottrina alla
quale ho giurato fedeltà ogni qualvolta l'acquisizione di un ufficio me lo ha
richiesto, a norma del diritto canonico: e se mai, per essere fedele al
Catechismo, mi trovassi a spergiurare rispetto ad Amoris laetitia o
viceversa, allora qualcosa veramente non quadra. E poiché le Indicazioni
dei Vescovi dell'Emilia Romagna sono pubbliche, pubblica è anche questa
professione di fede, comprensiva della Premessa. Molte persone si sono rivolte a me in questi giorni, scandalizzate; in mancanza di più autorevoli interventi, in coscienza non posso tacere.
II. Professione di fede
Io, Sac. Alfredo Maria Morselli, parroco in diocesi di
Bologna, cercando, con l'aiuto di Dio, di mettere in pratica quanto scrive S.
Luigi M. Grignion de Montfort, ovvero portando sulle spalle "lo stendardo
insanguinato della Croce; il crocifisso nella mano destra; la corona nella
sinistra; i sacri nomi di Gesù e di Maria nel cuore"[13], in
forma di giuramento, dinnanzi al SS. Sacramento esposto, emetto la seguente
professione di fede:
I - ALCUNI PRINCIPI DI MORALE FONDAMENTALE
1. Credo che esistono degli atti intrinsecamente cattivi che sono
sempre peccato mortale, se commessi con piena avvertenza e deliberato consenso,
e che quindi non possono ricevere una valutazione morale caso per caso.
Infatti “ci sono atti che per
se stessi e in se stessi, indipendentemente dalle circostanze e dalle
intenzioni, sono sempre gravemente illeciti a motivo del loro oggetto; tali la
bestemmia e lo spergiuro, l'omicidio e l'adulterio. Non è lecito compiere il
male perché ne derivi un bene” (CCC 1756).
2. Credo che le circostanze non possono rendere buona un’azione
intrinsecamente cattiva.
Infatti “le circostanze, in sé,
non possono modificare la qualità morale degli atti stessi; non possono rendere
né buona né giusta un'azione intrinsecamente cattiva” (CCC 1754).
3. Credo che non è possibile valutare se un atto sia moralmente
buono o meno, considerando solo l’intenzione e le circostanze.
Infatti è “sbagliato giudicare
la moralità degli atti umani considerando soltanto l'intenzione che li ispira,
o le circostanze (ambiente, pressione sociale, costrizione o necessità di
agire, etc. che ne costituiscono la cornice)” (CCC 1756).
4. Credo che la morale dell’oggetto - così come spiegata
nell'enciclica Veritatis splendor - possa e debba essere opportunamente
applicata all’esperienza pastorale concreta, anche nei casi più critici.
Infatti “il Magistero della
Chiesa […] presenta le ragioni del discernimento pastorale necessario in
situazioni pratiche e culturali complesse e talvolta critiche”
(S. Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Veritatis splendor,
6-8-1993, § 115).
5. Credo che Dio non comanda a nessuno cose impossibili ad
osservarsi (quindi neppure ai divorziati civilmente risposati).
Infatti “Nessuno, poi, per
quanto giustificato, deve ritenersi libero dall'osservanza dei comandamenti,
nessuno deve far propria quell'espressione temeraria e proibita dai padri sotto
pena di scomunica, esser cioè impossibile per l'uomo giustificato osservare i
comandamenti di Dio” (Concilio di Trento, Decreto sulla giustificazione,
13-1-1547, Sessio VI, cap. 11).
Inoltre “Dio non comanda cose
impossibili ordinando di resistere a qualunque tentazione, ma ordinando
“ammonisce di fare ciò che puoi, e di chiedere ciò che non puoi e aiuta perché
tu possa” (Concilio di Trento, Ibidem).
6. Credo che Dio non permette che siamo tentati oltre le nostre
forze.
Infatti “Nessuna tentazione,
superiore alle forze umane, vi ha sorpresi; Dio infatti è degno di fede e non
permetterà che siate tentati oltre le vostre forze ma, insieme con la
tentazione, vi darà anche il modo per poterla sostenere” (1 Cor 10,13).
7. Credo che non bisogna violare i comandamenti di Dio anche nelle
circostanze più gravi.
Infatti “La Chiesa
propone l'esempio di numerosi santi e sante, che hanno testimoniato e
difeso la verità morale fino al martirio o hanno preferito la morte ad un solo
peccato mortale. Elevandoli all'onore degli altari, la Chiesa ha canonizzato la
loro testimonianza e dichiarato vero il loro giudizio, secondo cui l'amore di
Dio implica obbligatoriamente il rispetto dei suoi comandamenti, anche nelle
circostanze più gravi, e il rifiuto di tradirli, anche con l'intenzione di
salvare la propria vita” (S. Giovanni Paolo II, Lettera enciclica
Veritatis splendor, 6-8-1993, § 91).
8. Credo che non è lecito commettere un peccato neppure nel caso si
voglia favorire l’educazione dei figli avuti al di fuori del legittimo
matrimonio.
Infatti “non è lecito, neppure
per ragioni gravissime, fare il male, affinché ne venga il bene, cioè fare
oggetto di un atto positivo di volontà ciò che è intrinsecamente disordine e
quindi indegno della persona umana, anche se nell'intento di salvaguardare o
promuovere beni individuali, familiari o sociali” (Paolo VI, Lettera enciclica
Humanae Vitae, 25-7-1968, § 14).
9. Credo che la coscienza debba adeguarsi a ciò che è bene e non
deciderlo autonomamente.
Infatti “La coscienza, all’atto
pratico, è il giudizio circa la rettitudine, cioè la moralità, delle nostre
azioni, sia considerate nel loro abituale svolgimento, sia nei loro singoli
atti”. (Paolo VI, Udienza generale,12-8-1969).
10. Credo che la coscienza, intesa come sopra, è necessaria.
Infatti, la coscienza è
necessaria perché “la bontà dell’azione umana dipende dall’oggetto in cui è
impegnata e, oltre che dalle circostanze in cui è compiuta, dall’intenzione che
la muove (Cfr. S. TH. I-IIæ, 18, 1-4); ora questa complessa specificazione
dell’azione, se vuol essere umana, implica un giudizio soggettivo, immediato di
coscienza, che poi si sviluppa nella virtù regolatrice dell’azione stessa, la
prudenza”. (Paolo VI, Udienza generale, 2-8-1972).
11. Credo che la coscienza, intesa come sopra, è insufficiente.
Infatti la coscienza è
insufficiente perché da sola “non basta. Anche se essa porta in se stessa i
precetti fondamentali della legge naturale (Cfr. Rom. 2, 2-16). Occorre appunto
la legge: e quella che la coscienza offre da sé alla guida della vita umana non
basta; dev’essere educata e spiegata; dev’essere integrata con la legge
esterna, sia nell’ordinamento civile - chi non lo sa? - e sia nell’ordinamento
cristiano - anche questo: chi non lo sa? -. La «via» cristiana non ci sarebbe
nota, con verità e con autorità, se non ci fosse annunciata dal messaggio della
Parola esteriore, del Vangelo e della Chiesa” (Paolo VI, Ibidem).
12. Credo che la coscienza non è arbitra del valore morale delle azioni
che essa suggerisce.
Infatti la coscienza “è
interprete d’una norma interiore e superiore; non la crea da sé. Essa è
illuminata dalla intuizione di certi principi normativi, connaturali nella
ragione umana (cfr. S. Th., I, 79, 12 e 13; I-II, 94, 1); la coscienza non è la
fonte del bene e del male; è l’avvertenza, è l’ascoltazione di una voce, che si
chiama appunto la voce della coscienza, è il richiamo alla conformità che
un’azione deve avere ad una esigenza intrinseca all’uomo, affinché l’uomo sia
uomo vero e perfetto. Cioè è l’intimazione soggettiva e immediata di una legge,
che dobbiamo chiamare naturale, nonostante che molti oggi non vogliano più
sentir parlare di legge naturale” (Paolo VI, Udienza generale,
12-2-1969).
13. Credo che la ragione umana non può creare essa stessa la norma
morale
Infatti “La giusta autonomia
della ragione pratica significa che l'uomo possiede in se stesso la propria
legge, ricevuta dal Creatore. Tuttavia, l'autonomia della ragione non può
significare la creazione, da parte della stessa ragione, dei valori e delle
norme morali. Se questa autonomia implicasse una negazione della partecipazione
della ragione pratica alla sapienza del Creatore e Legislatore divino, oppure
se suggerisse una libertà creatrice delle norme morali, a seconda delle
contingenze storiche o delle diverse società e culture, una tale pretesa
autonomia contraddirebbe l'insegnamento della Chiesa sulla verità dell’uomo”
(S. Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Veritatis splendor,
6-8-1993, § 40).
14. Credo che un colloquio con un sacerdote non può mai rendere lecita
un’azione intrinsecamente cattiva.
Infatti il sacerdote ha il
dovere di spiegare la malizia di un atto intrinsecamente cattivo: “nel campo
della morale come in quello del dogma, tutti si attengano al Magistero della
Chiesa e parlino uno stesso linguaggio” (Paolo VI, Lettera enciclica Humanae
Vitae, 25-7-1968, § 28).
15. Credo che i precetti negativi della legge naturale - quali ad
esempio non bestemmiare, non spergiurare, non commettere omicidio, non
commettere adulterio (cf. CCC 1756) - sono universalmente validi.
Infatti “I precetti negativi
della legge naturale sono universalmente validi: essi obbligano tutti e
ciascuno, sempre e in ogni circostanza. Si tratta infatti di proibizioni che
vietano una determinata azione semper et pro semper, senza eccezioni, perché la
scelta di un tale comportamento non è in nessun caso compatibile con la bontà
della volontà della persona che agisce, con la sua vocazione alla vita con Dio
e alla comunione col prossimo. È proibito ad ognuno e sempre di infrangere
precetti che vincolano, tutti e a qualunque costo, a non offendere in alcuno e,
prima di tutto, in se stessi la dignità personale e comune a tutti”
(S. Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Veritatis splendor, 6-8-1993,
§ 51).
16. Credo che chi commette un peccato mortale è privo della grazia di
Dio.
Infatti “Il peccato mortale è
una possibilità radicale della libertà umana, come lo stesso amore. Ha come
conseguenza la perdita della carità e la privazione della grazia santificante,
cioè dello stato di grazia” (CCC 1861).
II - CIRCA L'INDISSOLUBILITÀ
DEL MATRIMONIO
17. Credo che l’unione matrimoniale dell'uomo e della donna è
indissolubile in ogni caso.
Infatti “Nella sua predicazione
Gesù ha insegnato senza equivoci il senso originale dell'unione dell'uomo e
della donna, quale il Creatore l'ha voluta all'origine: il permesso, dato da
Mosè, di ripudiare la propria moglie, era una concessione motivata dalla
durezza del cuore; [Cf Mt 19,8] l'unione matrimoniale dell'uomo e della donna è
indissolubile: Dio stesso l'ha conclusa. “Quello dunque che Dio ha congiunto,
l'uomo non lo separi” (Mt 19,6)” (CCC 1614).
18. Credo che l’indissolubilità del matrimonio non è mai un’esigenza
irrealizzabile.
Infatti “Questa inequivocabile
insistenza sull'indissolubilità del vincolo matrimoniale ha potuto lasciare
perplessi e apparire come un'esigenza irrealizzabile [Cf. Mt 19,10]. Tuttavia
Gesù non ha caricato gli sposi di un fardello impossibile da portare e troppo
gravoso, [Cf. Mt 11,29-30] più pesante della Legge di Mosè” (CCC 1615).
19. Credo che è sempre possibile rimanere fedeli al matrimonio
indissolubile, pur in mezzo a tante difficoltà.
Infatti “Venendo a ristabilire
l'ordine iniziale della creazione sconvolto dal peccato, [Gesù] stesso dona la
forza e la grazia per vivere il matrimonio nella nuova dimensione del Regno di
Dio” (CCC 1615).
20. Credo che tutti gli sposi possono capire il senso originale del
matrimonio e viverlo con l'aiuto di Cristo.
Infatti “Seguendo
Cristo, rinnegando se stessi, prendendo su di sé la propria croce [Cf. Mc 8,34]
gli sposi potranno “capire” [Cf. Mt 19,11] il senso originale del matrimonio e
viverlo con l'aiuto di Cristo. Questa grazia del Matrimonio cristiano è un
frutto della croce di Cristo, sorgente di ogni vita cristiana” (CCC 1615).
21. Credo che chi causa il divorzio pecca
gravemente.
Infatti
“il divorzio è una grave offesa alla legge naturale. Esso pretende di
sciogliere il patto liberamente stipulato dagli sposi, di vivere l'uno con
l'altro fino alla morte. Il divorzio offende l'Alleanza della salvezza, di cui
il matrimonio sacramentale è segno” (CCC 2384).
22. Credo che un coniuge che contrae un nuovo matrimonio meramente
civile si trova in una situazione che oggettivamente contrasta con la legge di
Dio.
Infatti “Se i divorziati si
sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente
contrasta con la legge di Dio” (CCC 1650).
Inoltre “Il fatto di
contrarre un nuovo vincolo nuziale, anche se riconosciuto dalla legge civile,
accresce la gravità della rottura: il coniuge risposato si trova in tal caso in
una condizione di adulterio pubblico e permanente” (CCC 2384).
23. Credo che la Chiesa non può riconoscere come valida una nuova
unione se era valido il primo matrimonio.
Infatti, anche se oggi, “in
molti paesi, sono numerosi i cattolici che ricorrono al divorzio secondo le
leggi civili e che contraggono civilmente una nuova unione. La Chiesa sostiene,
per fedeltà alla parola di Gesù Cristo (“Chi ripudia la propria moglie e ne
sposa un'altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito
e ne sposa un altro, commette adulterio”: (Mc 10,11-12), che non può
riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il primo matrimonio” (CCC
1650).
24. Credo che non è possibile applicare analogicamente, ad una relazione
adulterina, il principio per cui se mancano alcune espressioni di intimità,
«non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il
bene dei figli» (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 51).
Infatti, essendo l’adulterio un
grave peccato e “il peccato il principio attivo della divisione -
divisione fra l'uomo e il Creatore, divisione nel cuore e nell'essere
dell'uomo, divisione fra gli uomini singoli e fra i gruppi umani, divisione fra
l'uomo e la natura creata da Dio -, soltanto la conversione dal peccato è
capace di operare una profonda e duratura riconciliazione dovunque sia
penetrata la divisione” (S. Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Reconciliatio
et paenitentia, 2-12-1984, § 23).
25. Credo che l'astensione dagli atti propri degli sposi non danneggia i
figli nati dalla nuova unione e quindi non costituisce una nuova colpa.
Infatti provvedere ai figli
nati dalla nuova unione non rende necessario compiere gli atti propri degli
sposi tra persone che non sono in realtà sposi. Se i divorziati risposati hanno
dei figli nati nell'ambito del nuovo matrimonio civile, possono meglio
provvedere loro vivendo in grazia di Dio.
III -
ALCUNI PRINCIPI DI TEOLOGIA SACRAMENTARIA
26. Credo che chi è conscio di essere in peccato
grave è tenuto a non celebrare la S. Messa e a non comunicarsi al Corpo del
Signore senza avere premesso la confessione sacramentale.
Infatti “La consuetudine della
Chiesa afferma […] la necessità che ognuno esamini molto a fondo se stesso [Cf.
1 Cor 11, 28], affinché chi sia conscio di essere in peccato grave non
celebri la Messa né comunichi al Corpo del Signore senza avere premesso la
confessione sacramentale” (Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina
dei Sacramenti, Istruzione Redemptionis sacramentum, 25-3-2004, § 80).
27. Credo che il principale ed indispensabile atto del penitente per
ricevere validamente l’assoluzione sacramentale è la contrizione.
Infatti, “Tra gli atti del
penitente, la contrizione occupa il primo posto. Essa è “il dolore dell'animo e
la riprovazione del peccato commesso, accompagnati dal proposito di non peccare
più in avvenire” [Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1676]” (CCC 1451).
Inoltre “'atto essenziale della penitenza, da parte del penitente, è la
contrizione, ossia un chiaro e deciso ripudio del peccato commesso insieme col
proposito di non tornare a commetterlo, per l'amore che si porta a Dio e che
rinasce col pentimento. Così intesa, la contrizione è, dunque, il principio e
l'anima della conversione” (S. Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Reconciliatio
et paenitentia, 2-12-1984, § 31, III).
28. Credo che l’accusa dei peccati deve includere il proponimento serio
di non commetterne più nel futuro.
Infatti “se questa disposizione
dell’anima mancasse, in realtà non vi sarebbe pentimento: questo, infatti,
verte sul male morale come tale, e dunque non prendere posizione contraria
rispetto ad un male morale possibile sarebbe non detestare il male, non avere
pentimento” (S. Giovanni Paolo II, Lettera al Card. William W. Baum in
occasione del corso sul foro interno organizzato dalla Penitenzieria Apostolica,
22-3-1996, § 5).
29. Credo che se uno fosse scoraggiato per le frequenti cadute o
spaventato dalla difficoltà di non peccare, deve fondare il pur richiesto
proposito di non offendere più Dio sulla grazia divina, che il Signore non
lascia mai mancare.
Infatti “Il proposito di non
peccare deve fondarsi sulla grazia divina, che il Signore non lascia mai mancare
a chi fa ciò che gli è possibile per agire onestamente” (Ibidem).
30. Credo che se una persona teme di ricadere in peccato, può
ugualmente avere il buon proposito di non peccare.
Infatti “non pregiudica
l'autenticità del proposito, quando a quel timore di ricadere in peccato sia
unita la volontà, suffragata dalla preghiera, di fare ciò che è possibile per
evitare la colpa” (Ibidem).
31. Credo che è possibile a persone divorziate risposate ricevere
l’assoluzione solo quando sono sinceramente disposti ad una forma di vita non
più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio.
Infatti, l’assoluzione “può
essere data «solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza
e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non
più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio” (Congregazione per
la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica circa la
recezione della comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati,
14-9-1994, § 4).
32. Credo che l’espressione “forma di vita non più in contraddizione
con l'indissolubilità del matrimonio” significa in concreto l'assunzione
dell'impegno di vivere in piena continenza.
Infatti “Ciò importa, in
concreto, che quando l'uomo e la donna, per seri motivi - quali, ad esempio,
l'educazione dei figli - non possono soddisfare l'obbligo della separazione,
"assumano l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli
atti propri dei coniugi” (S. Giovanni Paolo II, Omelia per la chiusura
del VI Sinodo dei Vescovi, 25-10-1980, § 7). In tal caso essi possono
accedere alla comunione eucaristica, fermo restando tuttavia l'obbligo di
evitare lo scandalo” (Ibidem).
33. Credo che se un fedele divorziato risposato fosse convinto della
nullità del precedente matrimonio, pur non potendola dimostrare nel foro
esterno, non può ugualmente accedere ai sacramenti.
Infatti “É certamente
vero che il giudizio sulle proprie disposizioni per l'accesso all'Eucaristia
deve essere formulato dalla coscienza morale adeguatamente formata. Ma è
altrettanto vero che il consenso, col quale è costituito il matrimonio, non è
una semplice decisione privata, poiché crea per ciascuno dei coniugi e per la
coppia una situazione specificamente ecclesiale e sociale. Pertanto il giudizio
della coscienza sulla propria situazione matrimoniale non riguarda solo un
rapporto immediato tra l'uomo e Dio, come se si potesse fare a meno di quella
mediazione ecclesiale, che include anche le leggi canoniche obbliganti in coscienza”
(Ibidem, § 8).
34. Credo che non è possibile non riconoscere la mediazione ecclesiale
nel valutare nullo il precedente matrimonio.
Infatti “Non riconoscere questo
essenziale aspetto significherebbe negare di fatto che il matrimonio esiste come
realtà della Chiesa, vale a dire, come sacramento” (Ibidem).
35. Credo che un sacerdote, di fronte a un fedele che, pur vivendo more
uxorio con persona diversa dal proprio coniuge legittimo, ritenesse giusto
in coscienza di poter accedere all’Eucarestia, ha l'obbligo di ammonirlo che
tale giudizio è in aperto contrasto con la dottrina della Chiesa.
Infatti “I pastori e i
confessori, date la gravità della materia e le esigenze del bene spirituale
della persona e del bene comune della Chiesa, hanno il grave dovere di
ammonirlo che tale giudizio di coscienza è in aperto contrasto con la dottrina
della Chiesa” (Ibidem, § 6).
36. Credo che l’errata convinzione di poter accedere alla Comunione
eucaristica da parte di un divorziato risposato presuppone l'arrogarsi la
facoltà di decidere in ultima analisi, sulla base del proprio pensiero.
Infatti “L’errata convinzione
di poter accedere alla Comunione eucaristica da parte di un divorziato
risposato, presuppone normalmente che alla coscienza personale si attribuisca
il potere di decidere in ultima analisi, sulla base della propria convinzione
(Cf. Lett. enc. Veritatis splendor, n. 55: AAS 85 (1993) 1178),
dell'esistenza o meno del precedente matrimonio e del valore della nuova
unione. Ma una tale attribuzione è inammissibile (Cf. Codice di Diritto
Canonico, can. 1085 § 2). Il matrimonio infatti, in quanto immagine
dell'unione sponsale tra Cristo e la sua Chiesa, e nucleo di base e fattore
importante nella vita della società civile, è essenzialmente una realtà
pubblica” (Ibidem, § 7).
37. Credo che i sacerdoti debbano illuminare la coscienza dei fedeli
affinché questi non pensino che l'unico modo di partecipare alla vita della
Chiesa sia quello di accostarsi all'Eucarestia.
Infatti “È necessario
illuminare i fedeli interessati affinché non ritengano che la loro
partecipazione alla vita della Chiesa sia esclusivamente ridotta alla questione
della recezione dell'Eucaristia. I fedeli devono essere aiutati ad approfondire
la loro comprensione del valore della partecipazione al sacrificio di Cristo
nella Messa, della comunione spirituale, della preghiera, della meditazione
della Parola di Dio, delle opere di carità e di giustizia” (Ibidem, §
6).
38. Credo che i sacerdoti confessori devono sempre mostrare pazienza e
bontà nei confronti di chi non riesce ancora ad uscire dallo stato di peccato.
Infatti “Non sminuire in nulla
la salutare dottrina di Cristo è eminente forma di carità verso le anime. Ma
ciò deve sempre accompagnarsi con la pazienza e la bontà di cui il Signore
stesso ha dato l'esempio nel trattare con gli uomini. Venuto non per giudicare
ma per salvare, Egli fu certo intransigente con il male, ma misericordioso
verso le persone” (Paolo VI, Lettera enciclica Humanae Vitae, 25-7-1968, § 29).
39. Credo che possiamo e dobbiamo aiutare in tanti modi - che non siano
l'ammissione alla recezione dell'Eucaristia - chi non riesce ancora ad uscire
dallo stato di peccato.
Infatti dobbiamo ribadire che
“I divorziati risposati, tuttavia, nonostante la loro situazione, continuano ad
appartenere alla Chiesa, che li segue con speciale attenzione, nel desiderio
che coltivino, per quanto possibile, uno stile cristiano di vita attraverso la
partecipazione alla santa Messa, pur senza ricevere la Comunione, l'ascolto
della Parola di Dio, l'Adorazione eucaristica, la preghiera, la partecipazione
alla vita comunitaria, il dialogo confidente con un sacerdote o un maestro di
vita spirituale, la dedizione alla carità vissuta, le opere di penitenza,
l'impegno educativo verso i figli” (Benedetto XVI, esortazione apostolica Sacramentum
Caritatis, 22-2-2007, § 29).
40. Credo che un’assoluzione data con leggerezza e contraffatta
misericordia a chi non ha le dovute disposizioni non può rendere felice lo
stesso penitente.
Infatti “Nessuna assoluzione,
offerta da compiacenti dottrine anche filosofiche o teologiche, può rendere
l'uomo veramente felice: solo la Croce e la gloria di Cristo risorto possono
donare pace alla sua coscienza e salvezza alla sua vita”. (S. Giovanni
Paolo II, Lettera enciclica Veritatis splendor, 6-8-1993, § 120).
41. Credo che i divorziati risposati civilmente e conviventi more
uxorio non possono accedere alla Comunione eucaristica.
Infatti “Se i divorziati si
sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente
contrasta con la legge di Dio. Perciò essi non possono accedere alla Comunione
eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione. Per lo stesso
motivo non possono esercitare certe responsabilità ecclesiali. La riconciliazione
mediante il sacramento della Penitenza non può essere accordata se non a coloro
che si sono pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a
Cristo, e si sono impegnati a vivere in una completa continenza” (CCC1650).
42. Credo che la norma che preclude la ricezione dell’Eucaristia ai
divorziati risposati non deve essere considerata una sorta di punizione.
Infatti “Questa norma non ha affatto un carattere
punitivo o comunque discriminatorio verso i divorziati risposati, ma esprime piuttosto
una situazione oggettiva che rende di per sé impossibile l'accesso alla
Comunione eucaristica: «Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che
il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a
quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata
dall’Eucaristia” (Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai
Vescovi della Chiesa Cattolica circa la recezione della comunione eucaristica
da parte di fedeli divorziati risposati, 14-9-1994, § 4).
43. Credo che ammettere i divorziati risposati all’Eucarestia, oltre a
essere in sé una cosa cattiva, potrebbe indurre i fedeli in errore e in
confusione.
Infatti “C’è inoltre un altro
peculiare motivo pastorale; se si ammettessero queste persone all'Eucaristia, i
fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della
Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio” (Ibidem).
44. Credo che Maria Santissima, debellatrice di tutte le eresie,
debellerà anche gli errori circa la dottrina sul matrimonio.
Ne sono certo, perché Ella “non
accetta che l'uomo peccatore venga ingannato da chi pretenderebbe di amarlo
giustificandone il peccato, perché sa che in tal modo sarebbe reso vano il
sacrificio di Cristo, suo Figlio” (S. Giovanni Paolo II, Lettera enciclica
Veritatis splendor, 6-8-1993, § 120).
Hanc veram catholicam fidem, extra quam nemo salvus
esse potest, quam in praesenti sponte profiteor et veraciter teneo, eamdem
integram et immaculatam usque ad extremum vitae spiritum constantissime, Deo
adiuvante, retinere et confiteri atque a meis subditis vel illis, quorum cura
ad me in munere meo spectabit, teneri, doceri et praedicari, quantum in me
erit, curaturum, ego idem Sac. Alfredo Maria Morselli spondeo, voveo ac iuro:
sic me Deus adiuvet, et haec sancta Dei Evangelia.
San Benedetto del
Querceto (BO), 20 febbraio 2018
[1] «“Solo un cieco può negare
che nella Chiesa ci sia grande confusione”. Intervista al cardinale Caffarra», Il
Foglio, 14-1-2017, https://tinyurl.com/ybhlmbt8.
[2] Ibidem
[3] Eb 11,1, come reso
da Dante in Par. XXIV, 64-65.
[4] "Substantia enim
solet dici prima inchoatio cuiuscumque rei, et maxime quando tota res sequens
continetur virtute in primo principio"; Summa theologiae, IIª-IIae
q. 4 a. 1 co.
[5] "Formale autem
obiectum fidei est unum et simplex scilicet veritas prima, ut supra dictum est.
Unde ex hac parte fides non diversificatur in credentibus, sed est una specie
in omnibus"; Summa Theologiae, IIª-IIae q. 5 a. 4 co.
[6] "… ea quae
materialiter credenda proponuntur sunt plura, et possunt accipi vel magis vel
minus explicite. Et secundum hoc potest unus homo plura explicite credere quam
alius. Et sic in uno potest esse maior fides secundum maiorem fidei
explicationem."; Ibidem
[6 bis] «Solo un cieco…»
[6 bis] «Solo un cieco…»
[7] "Permanere nella
verità di Cristo" - Convegno internazionale in vista del Sinodo sulla
famiglia, Roma, 30 settembre 2015.
[8] È possibile vedere il
video dell’intervista qui: https://youtu.be/iKRLWE96RCw.
[9] Testo ripreso da: «Un'altra
lettera dei quattro cardinali al papa. Anche questa senza risposta», Settimo
cielo, 20 giugno 2017, https://tinyurl.com/ycxkt235.
[10] "Unde et Dominus,
Luc. XXII, Petro dixit, quem summum pontificem constituit, ego pro te
rogavi, Petre, ut non deficiat fides tua, et tu aliquando conversus confirma
fratres tuos. Et huius ratio est quia una fides debet esse totius
Ecclesiae, secundum illud I ad Cor. I, idipsum dicatis omnes, et non
sint in vobis schismata. Quod servari non posset nisi quaestio fidei de
fide exorta determinaretur per eum qui toti Ecclesiae praeest, ut sic eius
sententia a tota Ecclesia firmiter teneatur". Summa theologiae, IIª-IIae
q. 1 a. 10 co.
[11] Lumen gentium 25,
[12] «Santità, la prego
risponda a queste tre domande su Amoris Laetitia», a c. di Maike Hickson,
http://tinyurl.com/hhfqe3f.
[13] Trattato della vera
devozione a Maria, § 59.