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martedì 23 gennaio 2018

Inaccettabile il documento su Amoris laetitia dei Vescovi dell'Emilia Romagna.

di Don Alfredo Morselli


Lo sentivo, era nell'aria… "dopo Palermo, Modena…" mi dicevo "adesso arriva il documento dei Vescovi dell'Emilia Romagna". Ahimè… quello che temevo è successo: Dopo il tango argentino sulla tomba di San Giovanni Paolo II, è venuto il turno del liscio emiliano romagnolo sul sepolcro di Caffarra. Si tratta delle Indicazioni sul capitolo VIII dell'Amoris Laetitia, a firma de I Vescovi dell'Emilia Romagna, pubblicato il 15-1-2018.
Il documento è reperibile qui.

Entro subito in medias res: è inaccettabile quanto affermato a conclusione del § 9 del documento, che riporto per esteso:
"9. Il discernimento sui rapporti coniugali. La possibilità di vivere da “fratello e sorella” per potere accedere alla confessione e alla comunione eucaristica è contemplata dall’AL alla nota 329. Questo insegnamento, che la Chiesa da sempre ha indicato e che è stato confermato nel magistero da Familiaris Consortio 84, deve essere presentata con prudenza, nel contesto di un cammino educativo finalizzato al riconoscimento della vocazione del corpo e del valore della castità nei diversi stati di vita. Questa scelta non è considerata l'unica possibile, in quanto la nuova unione e quindi anche il bene dei figli potrebbero essere messi a rischio in mancanza degli atti coniugali. È delicata materia di quel discernimento in “foro interno” di cui AL tratta al n. 300."
L'affermazione secondo la quale la scelta "di vivere da “fratello e sorella” per potere accedere alla confessione e alla comunione eucaristica […] non è considerata l'unica possibile, in quanto la nuova unione e quindi anche il bene dei figli potrebbero essere messi a rischio in mancanza degli atti coniugali", è incompatibile con la nostra santa fede cattolica.

Essa va contro la verità perché chiama atti coniugali (atti propri degli sposi) atti di persone che in realtà non sono sposate tra loro.

La stessa affermazione va contro il principio fondamentale della morale - naturale ancor prima che cattolica - secondo cui il fine non giustifica i mezzi. Mi piange il cuore a dover citare una frase del magistero per provare ciò che dovrebbe essere scontato e irrinunciabile non dico per dei Vescovi, persino per dei semplici fedeli un minimo istruiti nel catechismo:
“[…] non è lecito, neppure per ragioni gravissime, fare il male, affinché ne venga il bene, cioè fare oggetto di un atto positivo di volontà ciò che è intrinsecamente disordine e quindi indegno della persona umana, anche se nell'intento di salvaguardare o promuovere beni individuali, familiari o sociali” (Paolo VI, Lettera enciclica Humanae Vitae, 25 luglio 1968, § 14.).
La stessa affermazione inoltre contraddice la verità de fide catholica secondo cui esistono degli atti che sono intrinsecamente cattivi e che quindi in qualunque circostanza, se compiuti con piena avvertenza e deliberato consenso, sono sempre peccato.
“ci sono atti che per se stessi e in se stessi, indipendentemente dalle circostanze e dalle intenzioni, sono sempre gravemente illeciti a motivo del loro oggetto; tali la bestemmia e lo spergiuro, l'omicidio e l'adulterio. Non è lecito compiere il male perché ne derivi un bene” (CCC 1756).
“le circostanze, in sé, non possono modificare la qualità morale degli atti stessi; non possono rendere né buona né giusta un'azione intrinsecamente cattiva” (CCC. 1754).
È “sbagliato giudicare la moralità degli atti umani considerando soltanto l'intenzione che li ispira, o le circostanze (ambiente, pressione sociale, costrizione o necessità di agire, etc. che ne costituiscono la cornice)” (CCC. 1756).
La stessa affermazione inoltre almeno insinua che esisterebbero delle situazioni per cui non c'è altra possibilità che peccare e dimentica la promessa divina secondo la quale abbiamo sempre tutti gli aiuti per non commettere alcun peccato.
Infatti “Nessuno, poi, per quanto giustificato, deve ritenersi libero dall'osservanza dei comandamenti, nessuno deve far propria quell'espressione temeraria e proibita dai padri sotto pena di scomunica, esser cioè impossibile per l'uomo giustificato osservare i comandamenti di Dio” (Concilio di Trento, Decreto sulla giustificazione, 13-1-1547, Sessio VI, cap. 11). 
Inoltre “Dio non comanda cose impossibili ordinando di resistere a qualunque tentazione, ma ordinando “ammonisce di fare ciò che puoi, e di chiedere ciò che non puoi e aiuta perché tu possa” (Concilio di Trento, Ibidem). 
“Nessuna tentazione, superiore alle forze umane, vi ha sorpresi; Dio infatti è degno di fede e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze ma, insieme con la tentazione, vi darà anche il modo per poterla sostenere” (1 Cor 10,13).
Inoltre appare fuorviante anche il modo in cui viene presentata la "possibilità di vivere da “fratello e sorella” per potere accedere alla confessione e alla comunione eucaristica": questa scelta coraggiosa viene presentata come una possibilità, quando invece è l'unica scelta da compiere per potersi accostare ai Sacramenti. E allora, in questo contesto, la pur giusta frase "Questo insegnamento, che la Chiesa da sempre ha indicato e che è stato confermato nel magistero da Familiaris Consortio 84, deve essere presentato con prudenza", sembra una resa al mondo, l'ammissione della paura di annunciare la Croce di Cristo.

A conclusione di questo riassunto di tutte le aberrazioni dottrinali contenute esplicitamente e virtualmente nell'asserto preso in esame, non si vede come esso non sia inficiato dall'etica della situazione o, come la chiamava Pio XII, la nuova morale. E mi chiedo come sia possibile che l'enciclica Veritatis splendor non sia più tenuta in alcun conto.

Il Papa scrive al § 131 di Evangelii Gaudium:
"131. Le differenze tra le persone e le comunità a volte sono fastidiose, ma lo Spirito Santo, che suscita questa diversità, può trarre da tutto qualcosa di buono e trasformarlo in dinamismo evangelizzatore che agisce per attrazione. La diversità dev’essere sempre riconciliata con l’aiuto dello Spirito Santo; solo Lui può suscitare la diversità, la pluralità, la molteplicità e, al tempo stesso, realizzare l’unità. Invece, quando siamo noi che pretendiamo la diversità e ci rinchiudiamo nei nostri particolarismi, nei nostri esclusivismi, provochiamo la divisione e, d’altra parte, quando siamo noi che vogliamo costruire l’unità con i nostri piani umani, finiamo per imporre l’uniformità, l’omologazione. Questo non aiuta la missione della Chiesa".
Per riconciliare la diversità nello Spirito Santo non si possono nascondere le questioni dottrinali sotto il tappeto, ma bisogna che elidiamo e non eludiamo i nodi che inevitabilmente vengono al pettine.

Auguro che si compia, per tutti i Vescovi dell'Emilia Romagna, quanto Dio ha giurato al santo profeta Isaia: 
"«Quanto a me — dice il Signore — ecco la mia alleanza con loro: il mio spirito che è sopra di te e le parole che ho posto nella tua bocca non si allontaneranno dalla tua bocca né dalla bocca dei tuoi discendenti né dalla bocca dei discendenti dei tuoi discendenti — dice il Signore — ora e sempre»" (Is 59,21).