Ringraziando per la traduzione da First things l'amico Giovanni.
L
di
Dan Hitchens, 30 settembre 2016
Ogni
volta che qualcuno tenta di difendere la comunione per i divorziati risposati,
la riforma che essi propongono suona sempre più come una eresia. La risposta di
John F. Crosby per me non fa eccezione. Sulla questione di come la riforma
potrebbe essere compatibile con l'insegnamento cattolico, Crosby risponde con
una storia di dubbia rilevanza (o di scarsa precisione). La sua risposta
conferma questa mia tesi: in pratica, tutto ciò significa annullare la disciplina
sacramentale della Chiesa.
Crosby
afferma che l'accesso alla comunione per alcuni cattolici risposati non sarebbe
un grande sconvolgimento, perché "la disciplina della Chiesa" ha già
subito un “grande cambiamento” per la concessione di san Giovanni Paolo II: “Nella
sua riforma del Diritto Canonico della Chiesa del 1983, sollevò la scomunica
che per secoli era imposta automaticamente alle persone che si risposavano
senza che fosse riconosciuto nullo il loro primo matrimonio”. La stessa storia
è stata raccontata dal collega di Crosby, Rocco Buttiglione. Capita di essere
imprecisi: il papa che ha sollevato la scomunica fu Paolo VI, nel mese di
novembre del 1977. Inoltre la scomunica risaliva solo al 1884, quando venne
emanata in un solo paese, gli Stati Uniti, quindi è difficile riferirsi a una “disciplina
della Chiesa” che durò “per secoli”.
Ma
non importa il dettaglio, la storia è comunque irrilevante. La disciplina della
Chiesa sulla
comunione, a differenza delle sue leggi sulla scomunica, è stato insegnata come prassi non modificabile (Giovanni Paolo II, 1981), fondata sulla Scrittura (Benedetto XVI, 2007), e come un “insegnamento costante e universale [...]”, che “non può essere modificato a causa delle diverse situazioni” (Congregazione per la Dottrina della Fede, 1994). Queste dichiarazioni non fanno altro che confermare una dottrina che è stata costante dai tempi della Chiesa primitiva. Non una volta Crosby richiama questo corpo di insegnamenti.
comunione, a differenza delle sue leggi sulla scomunica, è stato insegnata come prassi non modificabile (Giovanni Paolo II, 1981), fondata sulla Scrittura (Benedetto XVI, 2007), e come un “insegnamento costante e universale [...]”, che “non può essere modificato a causa delle diverse situazioni” (Congregazione per la Dottrina della Fede, 1994). Queste dichiarazioni non fanno altro che confermare una dottrina che è stata costante dai tempi della Chiesa primitiva. Non una volta Crosby richiama questo corpo di insegnamenti.
Il
secondo punto di Crosby, inoltre, mantiene la dottrina cattolica a conveniente
distanza. La distinzione che invoca, tra commettere un peccato grave e essere
in una condizione di peccato mortale, è familiare (la stessa ultima disperata difesa
è stata suggerita da Jeff Mirus e P. Paul Keller). Ma si può applicarla alla
comunione per i risposati?
La
risposta, secondo i teologi che hanno studiato l'argomento, è no. Josef Seifert
dice che l'affermazione si basa su “un errore logico”. Vero, bisogna avere
“piena conoscenza” di un peccato perché sia mortale. Ma i cattolici credono che
la legge morale è scritto nel cuore di tutti. “Pertanto”, scrive Seifert, “non
possiamo supporre un'ignoranza senza colpa riguardo la malvagità di un omicidio
o di un adulterio”.
Forse
per qualcuno potrebbe ancora mancare “il pieno consenso” (l'altra condizione)?
Il teologo Brian Harrison ha offerto una trattazione esaustiva a questa
domanda. Egli conclude che, secondo le definizioni di teologi cattolici
ortodossi da San Tommaso d'Aquino in poi, ciò non è possibile. Gli adulti che
si impegnano in una situazione di peccato a lungo termine sono consenzienti ad
esso, per quanto difficile possa essere la loro situazione.
Seifert
e Harrison possono sbagliarsi, ma le loro critiche richiedono una risposta di pari
rigore teologico. E anche se potesse essere fornita, ci sarebbe ancora la
questione di come questa riforma possa funzionare nella pratica. Ho già fatto
questa obiezione allo schema di Rocco Buttiglione; quello di Crosby è ancora
più impraticabile.
Crosby
fornisce due esempi di persone che sono “in una condizione di peccato, senza
essere esattamente ... in peccato mortale” così che potrebbero “forse” fare la
comunione: la Sonia di Dostoevskij, che lavora come prostituta per aiutare la
famiglia povera; e una cattolica divorziata che riscopre la sua fede proprio
mentre si è legata in una nuova relazione a lungo termine. Il compagno della
divorziata dice che la lascerà, e porterà via i loro bambini, a meno che non
continui ad avere rapporti sessuali con lui. La frase successiva merita un
paragrafo a sé stante:
“Questa
donna non si trova forse in una situazione diversa da una comune adultera così
come Sonia è diversa da una comune prostituta?”
Questa
domanda non solo è disumanizzante; rivela perché la riforma secondo Crosby non potrebbe
mai funzionare. Secondo la prassi attuale, i sacerdoti sono guidati da due
principi. Il primo è che, prima di prendere la comunione, si deve confessare il
peccato grave, col fermo proposito di correggersi. Il secondo è che a tutti,
chiunque essi siano, dovrebbero essere offerti amore, misericordia, amicizia e
solidarietà. Ad essi dovrebbe essere offerto il bellissimo insegnamento della
Chiesa, secondo il quale non importa in quale pasticcio ci si possa trovare,
dato che con la grazia di Dio si può sempre uscirne. Ma se la riforma di Crosby
fosse stata emanata, i sacerdoti avrebbero dovuto giudicare le anime del loro
gregge. Le donne risposate sarebbero divise tra coloro le cui vite hanno un
tragico richiamo dostoevskiano e coloro che sono semplicemente “adultere
comuni”.
Anna
può ricevere la comunione, perché il suo partner porterà via i bambini se
smette di fare sesso con lui (situazione dostoevskiana: semplice condizione
peccaminosa). Invece Barbara non può ricevere la comunione, perché il suo
compagno la abbandonerebbe senza portarsi via i bambini (una adultera comune:
peccatore mortale). Chris può ricevere la comunione, perché pensa che se smettesse
di avere rapporti sessuali con la sua partner il loro rapporto andrebbe a
rotoli (dostoevskiano: semplice condizione di peccato), ma David è escluso dalla
comunione, perché il rapporto con la compagna non risentirebbe di tale scelta (adultero
comune: peccatore mortale).
Questo
perfida farsa dovrebbe finire prima di cominciare, prima che porti a ciò che
sta già accadendo in alcuni luoghi: l'abbandono della Disciplina della Chiesa.
Se
si introduce un’assurdità in una sequenza di ragionamenti, spesso si finisce
con grandi mali. I pro-choice dicono
che non vogliono che avvengano gli aborti; credono solo nel diritto della donna
di poter scegliere. Poiché questo "diritto" è incoerente, i pro-choice finiscono per giustificare la
macellazione di massa. I difensori della comunione per i risposati dicono che
non sostengono un “va tutto bene” ma solo che non pensano che tali divorziati
risposati siano tutti “comuni” adulteri. Poiché la distinzione tra “comune” e “non
comune” è illogica, essi finiscono per giustificare la profanazione di massa
dell’Eucaristia.
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